Pedofilia

La CIA, i pedofili, il traffico dei bambini: quale verità?

Pubblicato

il

Il film indipendente Sound of Freedom ha incassato più di 149 milioni di dollari nei solo USA dalla sua première lo scorso 4 luglio, a fronte di un costo di produzione di «soli» 14,5 milioni di dollari. Una cifra risibile per una produzione americana per un guadagno, in termini di biglietti venduti, gigantesco.

 

Per chi non avesse presente la pellicola di cui tutti parlano, si tratta della storia, che ci viene assicurato essere reale, dell’agente governativo Tim Ballard, interpretato dall’indimenticabile attore della Passione di Mel Gibson Jim Caviezel. Il Ballard nella vita si occupava del più orribile ambito che può toccare alle forze dell’ordine: la lotta contro i pedofili e i trafficanti di bambini. Del personaggio abbiamo parlato su queste pagine di recente: aveva millantato un coinvolgimento diretto di Gibson in un documentario sui bambini da salvare in Ucraina, poi ha ritrattato tutto.

 

Sound of Freedom è stato linciato a scatola chiusa, e pure aperta, dalla stampa mainstream, che è arrivata a livelli di grottesco quasi illegali: c’è stato il caso di un giornalista che ha ferocemente criticato la pellicola che poi si è scoperto lavorare per realtà che sembrano atte a normalizzare la condizione del «MAP», cioè delle «persone attratte dai minori» – espressione della neolingua orwelliana per definire i pedofili e farceli accettare.

 

Altri sono arrivati a stampare articoli in cui si dichiara che il film è tremendo tanto quanto la realtà che descrive: in pratica, tra la pedofilia e il film antipedofilo c’è una pari gravità.

 

Il motivo di questo odio, almeno da ciò che è visibile in superficie, è presto detto: il tema della tratta dei bimbi sul quale è incentrato il film è un caposaldo della narrazione di QAnon, la strana religione oracolare nata attorno al presidente Trump. Secondo i messaggi di Q, criptico ma infallibile oracolo per migliaia di fanatici del biondo presidente, il mondo è governato da una cabala di pedofili, e Donald è qui per spazzarli via, secondo un piano sorprendente che alla fine li arresterà tutti.

 

L’establishment americano odia nel profondo QAnon, e non è escluso che l’intera operazione del 6 gennaio 2021, con torme di agenti infiltrati nella folla dei rivoltosi dall’FBI e da altre agenzie – magari come agents provocateurs – non sia stato un grande tentativo di eliminarne i seguaci, in ispecie nelle forze armate, dove pare avere preso piede.

 

In pratica, il January 6 potrebbe essere stato una grande operazione di deradicalizzazione delle masse e delle forze armate: è la «purga dei patrioti», come l’ha definita Tucker Carlson, con tanto di personaggio-simbolo (suo malgrado), il «QAnon Shaman» Jacob Chansley detto anche Jake Angeli, messo in galera per anni, e uscito solo recentemente grazie a video che mostrano come in realtà la polizia gli abbia aperto le porte del Campidoglio.

 

Quindi, il mainstream si chiude a riccio temendo una risorgenza dei temi di Q, che erano esplosi anche nel 2016 con la storia del Pizzagate – una teoria per cui una pizzeria di Washington era un ritrovo dell’élite americana intenta a cruente gozzoviglie pedofile – e che con difficoltà, in ambo i casi, erano stati messi a nanna.

 

Ecco quindi che la piattaforma video streaming, qualcuno dice, comincia a fare shadow-banning dei materiali video accessori al film – interviste ad attori e produttori, ospitate, recensioni, etc. vengono occultate dall’algoritmo. Altri hanno filmato strani incidenti che avvengono alle sale che proiettano la pellicola: le luci restano accese, tolgono l’audio, chiamano i pompieri, interrompono la proiezione… in vari Stati americani.

 

Jim Caviezel, di fatto emarginato da Hollywood dopo il successo della Passione di Gibson, ci mette del suo: rilascia in video discorsi mistici, con quel suo tono che ti scava dentro (siamo al limite dell’ASMR) e quell’occhio a fanale abbagliante; parla di Dio e della sua vita, della sua morte; quindi va ospite da Steve Bannon e fa dichiarazioni sui barili di adrenocromo (sostanza che, secondo Q e teorie precedenti, la cabala dei potenti estrae dai bambini torturandoli), che se è vero quel che dice sono pure a buon mercato.

 

Infine, è arrivato il bacio della morte: Donald Trump ha organizzato una proiezione a Mar-a-Lago con cast e produttori; al termine ha pubblicato un video in cui promette la pena di morte per i trafficanti di bambini.

 

Qualcuno, tuttavia, comincia a far notare qualche incongruenza. In un suo commento video, il giornalista e studioso Greg Reese nota che il sito della casa di produzione del film, Angel Studios, nel suo sito rimanda in link ad organizzazioni che combattono il traffico di bambini come l’ICMEC e Amber Ready.

 

Il National Center for Missing and Exploited Children, o NCMEC, che è un ente per i bambini che spariscono, nel 1999 è stato internazionalizzato con il nome di ICMEC è lanciato da Hillary Clinton e Tony Blair, con Richard Branson in qualità di sponsor fondatore. l’ICMEC collabora con le forze dell’ordine in oltre centocinquanta territori, tra cui Interpol ed Europol.

 

Un’altra organizzazione, Amber Ready, per la promozione della sua tecnologia basata su cellulari – che crea un database dei bambini – ha fatto una scelta che per alcuni potrebbe risultare difficile da capire: come società di pubbliche relazioni hanno deciso per il gruppo Podesta, i famigerati collezionisti di opere d’arte allucinanti, emerse con forza durante lo scandalo delle e-mail Wikileaks durante la campagna presidenziale 2016, dove John Podesta dirigeva lo sforzo verso la Casa Bianca di Hillary Clinton. Da qui, è facile pensare, è nata poco dopo la storia del Pizzagate, dichiarata ben fresco fake news pure da coloro che l’avevano messa in circolo.

 

«Una volta lanciato questo coordinamento di database per i bambini, il traffico di esseri umani è aumentato» dice amaramente Reese. «In nove anni l’industria del traffico di esseri umani è passata da circa trenta miliardi di dollari l’anno a centocinquanta miliardi di dollari l’anno. Quasi tutta la pornografia infantile viene elaborata e archiviata all’interno di questo quadro su server stranieri in Svezia. Nel 2014 il presidente Obama ha assegnato a John Podesta il compito di gestire questi dati di intelligence raccolti». Non sappiamo in alcun modo verificare queste affermazioni.

 

Tuttavia è facile capire dove vuole andare a parare: il database per i bambini scomparsi potrebbe essere, come dire, dual use. Può essere utilizzato sia da chi vuole salvare i bambini, sia da chi vuole predarli. Il fenomeno era descritto anni fa nel romanzo Piattaforma di Michel Houellebecq, che trattava del turismo sessuale in Tailandia: lo sporcaccione occidentale, diceva un personaggio, per sapere dove andare, doveva recuperare una di quelle guide che i missionari cattolici compilavano sui posti da evitare per non alimentare l’orrore della prostituzione più abietta – invece che evitare i luoghi segnalati, il perverso vi si ficca.

 

Salta fuori poi, un’altra accusa: Ballard, l’ispiratore del film e il capo di questa ONG che vuole salvare i bambini che sta dietro all’operazione cinematografica, avrebbe contatti con Carlos Slim, ultramiliardario americano a lungo in cima alla classifica dei più ricchi del mondo. Mentre in molti fanno speculazioni sulle origini dell’immane ricchezza del personaggio (indovinate le ipotesi), è alla luce del sole il fatto che Slim sia implicato nel sostegno Hillary Clinton (era una accusa di Trump nella campagna 2016) e abbia rapporti materiali con la Fondazione Gates, a cui ha donato 100 milioni per la vaccinazione globale antipolio programmata da Bill Gates.

 

Difficile verificare anche la voce relativa al rapporto stretto tra Tim Ballard e Slim. Il film è prodotto da Eduardo Verastegui, attore delle telenovelas messicane divenuto poi personaggio di pellicole pro-life. Il Verastegui pare avere avuto negli anni vari incontri con la famiglia Slim.

 

Tutto questo passa in secondo piano, se il film è davvero interessante e illuminante come dicono. Lo è?

 

Non ho ancora visto la pellicola, perché rifiuto di guardarmelo in una delle brutte copie pirata – di quelle registrate col telefonino al cinema – che circolano sulle piattaforme video alternative.

 

Ne ho parlato, tuttavia, con l’amico Cristiano, che lo ha veduto, e ha confermato i miei dubbi. Di fatto, del vero network profondo della pedofilia, nel film non si vede nulla. Anzi, c’è qualcosa di più inquietante: al centro del girone infernale dei pedofili e dei loro traffici non c’è una rete di potenti insospettabili e intoccabili, magari inclini a mischiare i loro appetiti aberranti con riti occulti, con i loro ricatti e le loro figure inarrivabili.

 

No, il cattivone finale, come in un videogioco, è proprio uno brutto e cattivo, e pure un po’ sporco, un narcos colombiano, un po’ sgarrupato, che tira di coca nel suo isolotto, anche quello un po’ sgarrupato.

 

Capito? Sull’isola non c’è un resort di lusso sfrenato, con un algido miliardario che conosce chiunque (anche molti nomi italiani, nella sua vecchia agendina telefonica…) e che ospita, tra abbacinanti ninfette massaggiatrici, presidenti USA, premier israeliani, scienziati, accademici, divi di Hollywood, finanzieri supermiliardari, principi del foro… per chi non lo avesse capito, stiamo parlando di Jeffrey Epstein – sì, l’amico di Bill Clinton, l’ex presidente che, con il figlio di Soros, pochi giorni fa è stato ricevuto festosamente da papa Bergoglio.

 

Dovrebbe esservi chiaro: insomma, l’orrore del traffico pedofilo, in Sound of Freedom, non riguarda l’élite, non ha tentacoli che si estendono sotto tutto il potere politico ed economico e finanche religioso – no, è ordita da qualche criminale straniero con la rogna, che sniffa della gran bamba nella sua isola dove, appunto, è isolato.

 

Il mostro è un mostro: e sta lontano dal mondo, soprattutto sta lontano dal potere, dai vertici della società.

 

Abbiamo già visto questo fenomeno: qualche anno fa, pubblicammo un articolo sull’improvvisa fiammata riguardo la pedofilia che si leggeva sui giornali. Le testate mainstream in Italia avevano trovato una chat Whatsapp, con un nome che potrebbe offendere i custodi della memoria dell’Olocausto, dove si scambiavano video rivoltanti, innominabili, illegali – e i cui utenti erano dei ragazzini, forsanche minorenni.

 

Poteva sembrare, più che un covo di pedofili, una chat dove gareggiavano a tirare fuori il materiale più schifoso – una pulsione che certi giovani, oggi, esprimono forse così.

 

La riflessione che facevamo è semplice: quando ci parlano degli adolescenti con il loro messaggini schifosi, oppure dei pedofili in famiglia, o perfino dei preti pedofili (un sempreverde, e a ragione, dopo il Concilio Vaticano II) non ci stanno parlando del grande network di cui sopra, quello con le figure apicali, quello che ogni tanto pare fare capolino in sospetti che riguardano l’alta diplomazia, l’ONU, il mondo del cinema, l’Unione Europea, oppure – abbiamo visto in concreto di recente – l’alta moda.

 

Recentemente, Renovatio 21 ha ricordato il caso del pedofilo assassino Dutroux, che è davvero particolare. Non solo per la sua incredibile scarcerazione e per l’altrettanto incredibile fuga, che è costata le dimissioni del ministro belga (è stato poi riacchiappato), ma anche per le famose centinaia di videocassette che si ritiene il maniaco pedo-omicida abbia stivato, e che nessuno, o quasi nessuno, ha visto – c’è quella deputata fiamminga che, si racconta, ne ha impugnata una in Parlamento, per poi vedersela portar via, e sparire per sempre.

 

Ci spingiamo oltre: Epstein potrebbe essere stato, in qualche modo, sacrificato – ritenuto non più utile. Nel momento in cui, dopo anni, non era più possibile coprire la sua storia (chi scrive ha prodotto il suo primo articolo su Epstein e il principe Andrea nel 2014) è stata liberata la presa sul suo caso, ai media – che prima, per ammissione degli stessi giornalisti, non potevano nominare la storia nonostante la condanna penale nel 2006 – è stato tolto il freno a mano, ai giudici pure, e Epstein, alla fine, è stato eliminato.

 

(Chi mi vuol dire che sì, Epstein si è suicidato «da solo», lo faccia, gli rido in faccia, magari ricordandogli la barzelletta anni Ottanta su Andreotti che si sveglia dopo decenni dal sonno criogenico: parlando col primo barista che trova si rende conto che ora l’Italia pulita e perfettamente funzionante, con i mafiosi che si sono impiccati in massa  carcere, esattamente come fecero i terroristi della Rote Armee Fraktion, le Brigate Rosse tedesche, nel carcere di Stammheim: il barista, infine, chiedeva ad Andreotti, che non riconosceva, di pagare il conto del cappuccino e della brioche: due marchi. Andreotti capiva che mentre era sotto ghiaccio l’Italia era stata annessa alla Germania, nota per quei suicidi di prigionieri un po’ alla Epstein, diremo oggi)

 

E ancora, diciamo qualcosa di controverso: Epstein era sacrificabile perché, almeno a quanto appare ad oggi, non praticava, e faceva praticare, una pedofilia «iniziatica» – che è invece nella teoria dei segreti inconfessabili delle massime élite di cui parlavamo sopra – ma una mera «pedofilia da kompromat» (dal gergo dello spionaggio russo: creazione di materiale compromettente), peraltro nemmeno con paidos, con bambini, ma con ragazzine, talvolta mature, talvolta maggiorenni.

 

C’è, quindi, un ulteriore strato, che il mondo non ha ancora visto? Il film serve a farci stare solo in superficie, a farci guardare dall’altra parte?

 

È stata fatta un’ipotesi del genere sul film di Oliver Stone JFK, il film che più di ogni altro ha cementato l’idea della mano degli stessi servizi americani dietro la morte del presidente. Dietro alla pellicola e al suo successo vi era un produttore israeliano operante a Hollywood, Arnon Milchan. Negli anni, è stato rivelato che costui è, oltre che un uomo della celluloide, una spia atomica israeliana (esattamente come il padre di Ghislaine Maxwell), in pratica un agente segreto dello Stato Ebraico vero e proprio. Alcuni hanno notato che di fatto il film, tra le tante teorie che prende in considerazione, mai dice una parola sulla «pista israeliana»: quella per cui, sostengono certuni, dietro l’omicidio di Kennedy potrebbe esserci il servizio segreto israeliano, che così ha eliminato un presidente che era (come il fratello Robert) fortemente contrario al fatto che Tel Aviv si dotasse di armi nucleari.

 

I film servono da specchietto per le allodole? Questo film ha questo scopo?

 

Tim Ballard, il deus ex machina dell’operazione, è un mormone ispanofono che, dicono i resoconti dei media (ma non la pagina Wikipedia…), avrebbe lavorato per la CIA, anche se «brevemente».

 

La cosa ci porta ad aprire un’altra porticina impegnativa su cui, come per quella di Dutroux, non si avrebbe mai voglia tornare: il caso dei bambini dei Finders.

 

Nel 1987 la polizia di Tallahassee, in Florida, intervenne dopo una telefonata anonima che segnalava, in un parco pubblico, sei bambini malnutriti coperti di punture di insetti e graffi accompagnati da due uomini ben vestiti in un parco pubblico.

 

I due uomini vennero arrestati per abusi su minori e sospetto di traffico di bambini attraverso i confini statali: quindi, quello che in USA si dice un «caso federale», dove vengono coinvolti l’FBI, l’Agenzia delle Dogane, e altri enti ancora.

 

I due uomini arrestati avevano più documenti d’identità falsi e venne compreso che si trattava di membri di un movimento noto come Finders.

 

Un po’ comunità e un po’ setta, i Finders possedevano più proprietà nell’area di Washington. Secondo quanto riferito, l’indagine su queste proprietà ha trovato prove di pedopornografia e fotografie che mostravano l’allucinante scena di tre bambini e tre uomini vestiti di bianco che smembravano due capre. In altre foto erano ritratti rituali con sangue, in altre ancora bimbi in catene.

 

I bambini recuperati, che avevano dai 2 agli 11 anni, descrivevano una vita in un ambiente duro dove un uomo noto come «Game Caller» («Colui che chiama il gioco») era responsabile di tutti, e poteva parlare con gli adulti del gruppo con un computer in un furgone.

 

Uno dei giochi a cui giocavano era rispondere agli annunci sui giornali locali di babysitter, tutor e qualsiasi altra cosa che potesse portarli a casa di una famiglia dove avrebbero raccolto quante più informazioni possibili sulle loro abitudini, identità e occupazione.

 

È stato notato che gli esami medici dei bambini mostravano segni di abuso sessuale e malnutrizione, nonché segni di morsi potenzialmente appartenenti a un essere umano adulto. Ad oggi, tuttavia, i rapporti medici e psicologici completi non sono stati resi disponibili per la visione pubblica.

 

Dopo il ritrovamento dei sei bambini, i Finders furono etichettati dai media, in cerca di scandali e quindi vendite, come una «setta satanica», pubblicando articoli sensazionalistici per un’intera settimana.

 

Poi, d’un tratto, stop: l’indagine fu annullata. Sparirono i titoli ad effetto, gli articoli sui giornali.

 

Venne detto che le madri dei bambini erano membri dei Finder e che i due uomini avevano il pieno consenso dei genitori a portarseli in giro. In un momento inaspettato e grottesco, alcuni giornali arrivarono a incolpare se stessi del proprio sensazionalismo (qualcosa che, poco fa, abbiamo visto anche in Italia, sempre per un caso di bambini…), affermando che l’intera faccenda era sproporzionata e che i Finders erano solo un’innocua comunità hippie in stile anni Sessanta, scrive sempre Greg Reese.

 

Anni dopo alcuni rapporti dell’agente speciale della dogana statunitense Ramon J. Martinez iniziarono a riportare l’attenzione sulla questione. Martinez affermava che vi sarebbero prove che includevano l’intenzione di trafficare di bambini, l’ordinazione di bimbi da Hong Kong attraverso l’ambasciata cinese, istruzioni sul mettere incinte le femmine del gruppo Finder nonché una biblioteca di libri sui temi del controllo mentale e della strategia di guerra terroristica – tutte prove di cui si parlò, ma che poi parvero sparire.

 

L’agente Martinez sosteneva che ogni tentativo di rivedere le prove è stato bloccato. Alla fine, racconta gli fu detto da un membro del dipartimento di polizia metropolitana che i Finder erano finiti sotto la protezione della CIA, che avrebbe rivendicato la giurisdizione ritenendola una «questione interna», ponendo l’intero caso sotto segreto.

 

Il leader dei Finder, il sergente dell’aviazione USA Marion Pettie, si vantava di essersi infiltrato nella CIA, dove è stato detto lavorava sua moglie Isabelle. Il loro figlio avrebbe lavorato per la CIA nella gestione di Air America, i trasporti aerei segreti, che includevano droga, nel Sud-Est asiatico durante la guerra in Vietnam (c’è il film, anche quello con Mel Gibson).

 

I passaporti dei membri dei Finders, scrive Reese, avrebbero mostrato visti di viaggio per luoghi come la Corea del Nord, il Vietnam del Nord e la Russia, tutti approvati dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

 

Nel 1993 la vicenda tornò a galla: tale Henry Clements, un privato, aveva ottenuto una copia del rapporto del 1987 in cui si affermava che l’indagine del dipartimento di polizia di Washington sui Finders era stata archiviata come «una questione interna della CIA». vi fu un’ondata di indignazione, al punto che fu riavviata un’indagine. Il Dipartimento di Giustizia USA aveva iniziato a indagare sulle accuse secondo cui la CIA aveva utilizzato una «società di copertura» gestita da una comune per formare i dipendenti dell’agenzia.

 

Tuttavia, l’indagine portò, sorpresa, a un verdetto di nessuna prova di interferenza della CIA e nessuna prova di attività criminale con i Finder. Il portavoce della CIA affermò che le accuse erano un malinteso derivante da una società di nome Future Enterprises Inc. utilizzata per addestrare agenti, dove un membro dei Finder che lavorava come contabile part-time.

 

Nello stesso periodo si verificò lo scandalo del «Caso McMartin» in cui centinaia di genitori di una scuola materna californiana riferirono che i loro figli avevano subito abusi sessuali satanici: è l’inizio del cosiddetto Satanic Panic, momento di isteria collettiva con accuse di satanismo, spesso totalmente strampalate, a maestri e genitori, un fenomeno che abbiamo visto in qualche caso anche in Italia (il caso dei «Diavoli della Bassa», ad esempio, ritornato nei radar qualche anno fa sull’onda di altre vicende emiliane).

 

Tuttavia, per qualche ragione, tra le prove sequestrate dai Finders vi era anche una mappa di questa stessa scuola materna.

 

Bisogna ricordare che in USA, e non solo, vi sono imperi di asili in franchising. KinderCare, la più grande catena di scuole materne in America, era di proprietà di Henry Kravis, il miliardario fondatore del superfondo private equity KKR, che, con mezzo trilione di asset in gestione, può permettersi di assumere ex direttori della CIA come il generale David Petraeus.

 

Un ex funzionario della Clinton Foundation, Joel Getz, era nel board di un’enorme catena di asili in Cina dove diversi genitori si lamentavano del fatto che i loro figli erano stati punti con siringhe, nutriti con pillole non identificate e molestati sessualmente, riportava nel 2017 l’agenzia di Stato cinese Xinhua.

 

Potremmo andare avanti con esempi del genere.

 

Cominciamo a capire meglio. Il pedofilo brutto e sporco, come nei film, c’è. Tuttavia, non è il motore di questo abominio, né, forse, l’utilizzatore finale, dove non c’entra più nemmeno la perversione sessuale, ma l’umiliazione ulteriore del bambino, quindi dell’Imago Dei.

 

Il lettore si rende conto: la realtà è più complessa – ed anche avvincente, va detto – di un film. E più spaventosa.

 

Girarsi dall’altra parte, narcotizzati da film o dall’attivismo organizzato (da chi?) non serve a nulla. Ci rendiamo conto che milioni di euro, milioni di ore uomo sono investiti per farci guardare altrove. E noi ne abbiamo davvero intenzione?

 

Il filosofo sifilitico, a suo modo, teorizzatore dell’era dell’immoralità e quindi della pedofilia, ebbe a dire, in un aforisma notorio: «non combattere con i mostri, se non vuoi diventare un mostro; e se guardi l’abisso, anche l’abisso guarda in te».

 

Ebbene, noi i mostri vogliamo combatterli – e sì, lo vogliamo mostruosamente.

 

Quanto all’abisso, noi vogliamo guardarlo: e che ci guardi pure dentro, noi non abbiamo paura, anzi, è l’abisso che deve avere paura – perché dentro di noi potrebbe trovare la forza di chi difende l’Immagine di Dio.

 

E la sua ira.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Più popolari

Exit mobile version