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La censura corre anche sui videogiochi

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Ubisoft, la società dietro videogiochi di estremo successo di Assassin’s Creed e Rainbow Six starebbe collaborando con la polizia britannica per affrontare i discorsi ritenuti «tossici» dei giocatori online.

 

Si tratta del primo accordo di questo genere.

 

«Durante la pandemia i giochi online sono stati un salvatore per la salute mentale di molte persone. Tuttavia, anche il suo lato oscuro è evidente. Comportamento abusivo, minacce di morte e adescamento: si possono trovare negli spazi di gioco online» riporta la BBC, che saluta l’accordo tra Stato e grande capitale digitale come una bella innovazione.

 

«Vogliamo essere dalla parte giusta della storia», afferma Damien Glorieux, direttore senior dell’Ubisoft Customer Relationship Center di Newcastle.

 

L’accordo tra la casa produttrice di videogiochi e la polizia di Northumbria si compone di due parti. In primo luogo, gli ufficiali specializzati condividono le loro conoscenze e competenze sulle interazioni online dannose con il team di 200 persone che lavora presso il centro di Newcastle, che poi applica tale formazione al loro lavoro quotidiano.

 

In secondo luogo, esiste un accordo in modo che in casi estremi, in cui vi sia una minaccia per la vita o un potenziale danno grave individuato, il personale possa rintracciare rapidamente le informazioni alla polizia.

 

Alcuni si chiedono se a questo punto, nella dinamica di un gioco di gruppo online – per esempio le guerriglie online di Call of Duty o Battlefield – sarà pericoloso dire «uccidiamoli!» riferendosi alle azioni virtuali contro la squadra di avatar avversari. È facile pensare che la sconsideratezza verbale degli adolescenti potrebbe portare ad arresti senza fine.

 

Dire «ti distruggo», magari ad un amico, durante un gioco – cioè quando la realtà è sospesa, talvolta a favore dello sfogo catartico – potrebbe diventare presto un reato. L’unica via è autocensurarsi perfino quando si gioca: ed è il trionfo della censura, quando il Potere ottiene che il cittadino sottomesso si censuri da sé.

 

Sulle restrizioni alle conversazioni nei videogiochi lavora da anni l’Anti-Defamation League (ADL), l’associazione di difesa della reputazione ebraica passata a vagliare qualsiasi altro argomento possa definirsi hate speech.

 

Il programma dell’ADL per le aziende di videogames ruota attorno alla sorveglianza dei giocatori, incoraggiando le aziende a bandire i discorsi di «odio online» e «suprematismo bianco», espandendo i sistemi di segnalazione all’interno del gioco per vietare agli utenti i loro discorsi e facendo pressioni sui governi per cambiare i loro leggi per criminalizzare i giocatori se quello che dicono online non è ritenuto consono.

 

«I legislatori dovrebbero approvare leggi che ritengano gli autori di gravi molestie e odio online responsabili dei loro reati sia a livello statale che federale» raccomanda in uno dei suoi punti il recente documento dell’ADL sui videogiochi, mentre invita le aziende ad ammodernarsi, perché «Gli autori di abusi che utilizzano la chat vocale nei giochi online per prendere di mira le persone spesso sfuggono al rilevamento» .

 

1984 arriva anche per i gamer. E non poteva essere altrimenti.

 

 

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