Morte cerebrale
Incidente fa strage di una famiglia: il giudice dispone l’espianto degli organi per la bambina dichiarata cerebralmente morta
Un pauroso incidente stradale avvenuto sulla A1 nei pressi di Barberino di Mugello ha distrutto un’intera famiglia composta da 5 persone, tra cui una bambina di nemmeno 4 anni. O meglio, la piccola e sua madre sono sopravvissute al sinistro ma dopo poche ore sono state dichiarate cerebralmente morte e trattate alla stregua di cadaveri.
La bambina è stata sottoposta agli test di accertamento per la morte cerebrale (test che, ricordiamo, sono invasivi) addirittura il giorno dopo l’incidente. Da lì a poche ore i suoi organi sono stati prelevati con il consenso del giudice tutelare del tribunale di Firenze, riporta l’agenzia ANSA.
La madre della piccola vittima è stata invece dichiarata morta la mattina del 18 luglio.
È bene ricordare che la cosiddetta donazione degli organi è possibile solo dietro esplicito consenso rilasciato dal soggetto stesso o dai parenti più stretti. Nel caso in esame possiamo ipotizzare che il tribunale abbia nominato il giudice tutelare perché un consenso alla donazione non poteva essere fornito dai parenti della bambina deceduti nell’incidente.
È opportuno rammentare altresì che mentre è necessario il consenso per poter procedere al trapianto degli organi, l’attivazione della procedura per la dichiarazione di morte cerebrale è a totale discrezione dell’ospedale in cui viene ricoverata la vittima.
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Come sanno bene i lettori di Renovatio 21 gli esami clinici per accertare la morte cerebale non sono esenti da rischi per la salute stessa del paziente: su tutti il famigerato test di apnea, che consiste nel togliere l’ossigeno al comatoso più volte e per un certo lasso di tempo al fine di verificare la sua capacità di respirare in modo autonomo. Abbiamo già avuto modo di sottolineare come tale incapacità significhi solamente che i centri respiratori situati a livello bulbare abbiano smesso di funzionare (almeno temporaneamente) e non che il soggetto non sia in grado di metabolizzare l’ossigeno, ossia che sia morto.
Sulla base di quali criteri gli ospedali decidono di attivare le procedure per l’accertamento della morte cerebrale? Non rappresenta, domandiamo, una chiara violazione dei diritti del malato sottoporre il comatoso a dei test potenzialmente letali quando egli, fino a prova contraria, è ancora in vita?
È lecito inoltre chiedersi il motivo di tanta fretta nel dichiarare la morte cerebrale, soprattutto nei soggetti che hanno in genere buone capacità di recupero, come nel caso dei bambini.
Il fatto che ci siano molti pazienti che attendono di ricevere urgentemente un organo, può influenzare la decisione di attivare anzi tempo la procedura di accertamento? Il dubbio rimane, anche perché la scelta è tra un paziente che anche qualora dovesse sopravvivere potrebbe rimanere menomato a vita e un altro che invece potrebbe tornare pienamente a vivere (o quasi …).
Ad ogni modo, con l’introduzione del falso criterio della morte cerebrale la morte stessa da evento naturale, oggettivo e osservabile è diventato un fatto privato che solo gli addetti ai lavori possono riconoscere e determinare. Anzi, in realtà essa non è determinabile neppure dagli operatori sanitari, i quali sono diventati ormai dei meri esecutori di protocolli che possono dichiarare morta una persona solo facendo affidamento sui risultati standardizzati dei complessi test di accertamento. In altre parole, la morte è stata confinata nell’angusto ambito della tecnica medica e ridotta ad evento non direttamente osservabile.
Del resto, occultare la morte confinandola nel chiuso di un’istituzione era l’espediente più efficace per dichiarare morte le persone ancora vive.
Come è facile intuire, la morte cerebale è una minaccia per ciascuno di noi, al punto che di fronte ad essa nessuno può ritenersi al sicuro.
È forse questa la caratteristica che rende tale falso criterio di morte una delle armi più terrificanti a disposizione della Necrocultura.
Alfredo De Matteo
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia