Immigrazione
Immigrato incarcerato per l’omicidio di un’adolescente che lo aveva lasciato: il «femminicidio» di cui non sentirete parlare
Un ventenne originario di Haiti è stato condannato a nove anni di carcere da un tribunale olandese per aver teso un’imboscata alla sua ex fidanzata diciassettenne mentre tornava a casa e per averla accoltellata a morte.
Il verdetto è stato emesso da un tribunale di Groninga il 31 marzo, dopo che l’uomo è stato dichiarato colpevole dell’omicidio premeditato della ragazza, originaria della città nordorientale di Winsum, avvenuto il 21 febbraio 2024.
In tribunale si è appreso che i due avevano avuto una breve relazione sentimentale. Le sue frustrazioni sono salite con la fine della relazione, soprattutto dopo che la giovane si era fidanzata con un altro ragazzo.
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La sera dell’omicidio, l’imputato ha preso un grosso coltello da cucina ed ha aspettato la ragazza mentre tornava a casa per aggredirla alle spalle e pugnalarla alla schiena. Nonostante i tentativi di rianimazione da parte dei soccorritori, la ragazza è deceduta per le ferite riportate.
Come riportato dalla stampa locale, le prove presentate durante il processo includerebbero messaggi di chat agghiaccianti e video di Snapchat in cui l’imputato lasciava intendere le sue intenzioni violente. «Ho indossato il casco integrale, poi è calato il buio e ho sentito l’azione. Bam bam! E poi sono scappato via», avrebbe raccontato agli amici.
In tribunale, l’immigrato ha affermato di non aver mai avuto intenzione di uccidere la ragazza, insistendo sul fatto che voleva solo spaventarla. Tuttavia, il Pubblico Ministero ha sostenuto con successo che le sue azioni riflettevano un piano premeditato, osservando che aveva nascosto dei vestiti di ricambio in una scuola vicina, indossava guanti da portiere e si era preparato un alibi facendosi fotografare da un amico mentre fingeva di dormire.
L’accusa aveva chiesto una pena detentiva di 12 anni, oltre al trattamento psichiatrico obbligatorio. La difesa ha sostenuto che l’atto non era omicidio premeditato, ma omicidio colposo, motivato da un’improvvisa ondata di rabbia piuttosto che da un intento calcolato. Sebbene la pena fosse inferiore, il tribunale ha confermato l’accusa di omicidio.
Le prove fornite dagli esperti del centro forense di Teylingereind hanno concluso che l’imputato soffre di problemi di personalità con tratti narcisistici e borderline, probabilmente radicati nella sua traumatica infanzia trascorsa ad Haiti.
Sebbene venga dichiarato meno responsabile a causa di questi problemi, il rischio di recidiva è considerato alto, soprattutto nelle future relazioni intime, poiché il soggetto cerca un livello irrazionale di convalida da parte del partner e non riesce ad affrontare la separazione.
Durante la sentenza, la madre della vittima ha pronunciato un discorso commovente, chiedendo: «Come hai potuto fare questo alla nostra ragazza? Perché non era innamorata di te, ma di un altro ragazzo dolce?»
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Si tratta di un caso europeo di «femminicidio» di cui, tuttavia, non sentirete parlare in Italia: perché pare che per politici e giornali se ad uccidere è una persona di origini immigrate non si debba parlare più di femminicidio.
È il caso di Sharon Verzeni, assassinata a coltellate per strada a Terno d’Isola (provincia di Bergamo), ipoteticamente senza motivo. Un giovane con genitori del Mali (e collaborazioni con vari trapper) aveva confessato, per poi ritrattare la confessione.
Anche in quell’occasione la parola «femminicidio», nel discorso mainstream, non saltò fuori.
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