Sorveglianza

Il WEF ammette: gli ID digitali potrebbero essere usati per «sorveglianza e persecuzioni»

Pubblicato

il

Il World Economic Forum (WEF) ha ammesso in un nuovo rapporto che gli ID digitali sono esclusivi per natura e possono facilitare «l’identificazione, la sorveglianza e la persecuzione di individui o gruppi».

 

Nel suo Insight Report del giugno 2023 intitolato «Reimagining Digital ID», il WEF descrive i potenziali rischi dell’implementazione diffusa di un ID digitale.

 

«Forse i maggiori rischi derivanti dall’identificazione digitale sono l’esclusione, l’emarginazione e l’oppressione», avverte il report. «Diversi rapporti hanno identificato un legame tra la mancanza di documenti d’identità ufficiali e l’esclusione dalla piena partecipazione alla società (…)Tuttavia, reificando l’accesso condizionato, l’ID è, per sua stessa natura, escludente». 

 

«Spesso sono i membri di gruppi storicamente emarginati che affrontano le forme più dure di esclusione», è la preoccupazione del documento, riferendosi – ovvio – a rifugiati, donne e minoranze razziali e sessuali. La minoranza non vaccinata, ad esempio, sappiamo che non è tecnicamente una minoranza. 

 

Sul tema della vaccinazione vi era stato l’anno passato un altro rapporto del WEF, dove si chiariva che i passaporti vaccinali, «per natura servono come una forma di identità digitale», il segreto di Pulcinella dietro al green pass.

 

«Nei casi in cui vengono raccolti dati sensibili, ci sono anche rischi di emarginazione e oppressione, con l’utilizzo dell’ID per facilitare l’identificazione, la sorveglianza e la persecuzione di individui o gruppi», avverte il rapporto Insight del WEF. 

 

 

Il rapporto WEF riconosce quindi la relazione tra ID digitali e CBDC – le monete digitali di Stato, in preparazione ovunque – affermando che «alcune Nazioni stanno iniziando a considerare l’ID digitale come un prerequisito per lo sviluppo di una valuta digitale della banca centrale (CBDC) e altre innovazioni di pagamento».

 

Il rapporto WEF rileva inoltre che, anche se gli ID digitali non sono obbligatori per legge, i cittadini potrebbero comunque essere costretti a utilizzarli poiché altrimenti sarebbero esclusi da molte parti della società – è l’emarginazione sociale sperimentata di già con vaccinazioni e green pass.

 

«Man mano che un sistema di identificazione si espande, le conseguenze della mancata partecipazione possono diventare così gravi da rendere la registrazione effettivamente inevitabile», afferma il rapporto. «Quando l’accesso a un bene o servizio è condizionato al possesso di un documento d’identità, e tale documento d’identità è diffuso, gli individui possono essere effettivamente costretti a ottenere quel documento d’identità, anche se non vi è alcuna base giuridica per richiederlo». 

 

Il WEF Insight Report ammette anche che «in alcuni casi, l’ID digitale può indebolire la democrazia e la società civile».  Ci scapperebbe, a questo punto, perfino da ridere. «Ad esempio, gli ID digitali emessi dalle società di social media possono contribuire alla polarizzazione politica rafforzando le identità di gruppo» rivela il documento, scendendo da un’ulteriore montagna del sapone.

 

Secondo il rapporto WEF, «l’ID decentralizzato è una forma di ID digitale che consente alle persone di controllare la condivisione dei propri dati, consentendo a più entità di rilasciare loro credenziali».

 

Nel tentativo di minimizzare il pericolo che un ID digitale diventi la base di uno stato totalitario, il WEF promuove l’idea di avere ID digitali decentralizzati, in cui gli utenti hanno il potere di decidere con chi condividere i propri dati e le informazioni degli utenti non sono memorizzato centralmente.  È chiaro che gli ID digitali decentralizzati possono ridurre il rischio di sfruttamento dei dati, tuttavia, il decentramento non impedisce l’esclusione da parti della società. 

 

Anche se i cittadini possono decidere se condividere o meno i propri dati, possono comunque essere esclusi dall’acquisto di beni e servizi o persino dall’ottenere un lavoro se si rifiutano di utilizzare un ID digitale.

 

«Senza istruzione pubblica, chiara utilità e incentivi, gli approcci decentralizzati all’ID potrebbero non essere in grado di raccogliere l’ampio consenso delle parti interessate e la domanda degli utenti necessaria per l’adozione di massa», afferma il rapporto WEF sugli ID digitali. 

 

Il problema, tuttavia, rimane uno solo: i complottisti. Per qualche ragione, i membri del WEF sanno di non essere particolarmente popolari, come non lo sono le proposte che vogliono infliggere alla popolazione terrestre. Neutralizzare chi si può opporre – definendolo «cospirazionista» immantinente – è un’azione da intraprendere alla svelta.

 

Secondo il documento infatti, i sistemi di identificazione digitale affrontano «una barriera di comunicazione particolarmente elevata, aggravata dalla miriade di teorie del complotto che collegano l’identificazione digitale a speculazioni false e dannose».

 

Renovatio 21 quindi decide di buttare lì un paio di cose sull’ID digitale che non sono né false né dannose: sono, per lo più, cronaca.

 

L’ID digitale va fortissimo in Canada, dove Stato e banche sono in convergenza totale e il WEF è citato apertamente.

 

Macron ha iniziato i lavori l’ID digitale francese a neanche una settimana dalla sua rielezione – l’urgenza, ad occhio, era tanta.

 

Bill Gates l’anno scorso ha donato 200 milioni di dollari per stabilire un sistema globale di identificazione digitale.

 

L’Ucraina aveva lanciato il suo sistema di ID digitale, chiamato Diia – una app dove lo Stato pure ti caricava 40 dollari se ti vaccinavi – pochi giorni prima che scoppiasse la guerra.

 

In Sri Lanka l’ID digitale è già usato per il razionamento della benzina.

 

Il finanziere britannico Bob Wigley ha parlato apertamente di ID digitale che sia una «super app» che contenga, oltre ad un sistema di identificazione, anche dati finanziari.

 

Un embrione di ID digitale è stato implementato perfino sui sacerdoti francesi, con il celebre celebret elettronico fornito di QR.

 

A Palestine, in Ohio, città dell’immane disastro ferroviario che ha contaminato il luogo di prodotti chimici tossici, poche settimane prima era stato lanciato un programma-pilota di ID Digitale.

 

L’Unione Europea ha già scelto a quale azienda appaltare il sistema informatico di ID digitale europeo, e – sorpresa! – si tratta di una società associata al sistema di tracciamento COVID.

 

Qualcuno ha detto che con i sistemi di identificazione elettronica siamo davanti ad «una strada digitale verso l’inferno», verso violazioni gravi ed irreversibili dei diritti umani».

 

Renovatio 21 ha ribadito che si tratta di qualcosa di più: è un passo ulteriore verso la riprogrammazione del rapporto tra cittadino e Stato, cittadino e diritto, individuo e istituzione – in una parola è un passo verso la nuova schiavitù.

 

 

 

 

Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

 

 

 

 

Più popolari

Exit mobile version