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Il rischio di disordini civili in aumento in tutto il mondo

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Un nuovo studio di Verisk Maplecroft, una società di consulenza strategica globale con sede nel Regno Unito, sostiene che Paesi di tutto il mondo stanno vivendo un aumento «senza precedenti» della possibilità di disordini civili.

 

La società pubblica un Civil Unrest Index (CUI), che sta per «Indice di disordine civile». Nella sua ultima edizione dello scorso giovedì, il gruppo consulenziale dichiara che oltre 100 nazioni stiano vedendo un «aumento del rischio» di rivolte della popolazione nell’ultimo trimestre.

 

Il CUI è derivato da una serie di vari sondaggi che valutano diversi fattori, come l’inflazione e i meccanismi governativi per superare o reprimere i conflitti, nonché dall’impatto complessivo dei disordini.

 

Emerge quindi che su 198 nazioni riconosciute al mondo, solo 42 hanno visto diminuire il rischio di disordini civili nel periodo considerato, mentre 101 di loro lo hanno visto aumentare.

 

La situazione nel resto dei Paesi della Terra è rimasta invariata rispetto al trimestre precedente.

 

La società ha specificato una correlazione tra il crescente rischio di disordini civili e «gli impatti dell’inflazione sul prezzo degli alimenti di base e dell’energia».

 

«L’impatto è evidente in tutto il mondo, con il malcontento popolare per l’aumento del costo della vita che emerge nelle strade dei mercati sviluppati ed emergenti, che si estendono dall’UE, Sri Lanka e Perù al Kenya, Ecuador e Iran», si legge nel comunicato stampa.

 

In cima alla classifica, l’Europa, che si distingue per numeri assolutamente negativi. Secondo lo studio, i Paesi del vecchio continente hanno  sperimentato un aumento del rischio di disordini civili «in gran parte a causa delle ricadute dell’invasione russa dell’Ucraina».

 

Viene quindi dettagliato che la situazione nel continente dovrebbe peggiorare nei prossimi sei mesi e «Bosnia ed Erzegovina, Svizzera, Paesi Bassi, Germania e Ucraina sono tutti tra gli stati con i maggiori aumenti di rischio previsti».

 

L’aumento registrato del rischio di disordini civili è il più grande da quando la CUI è stata rilasciata per la prima volta dalla società nel 2016, riporta la testata governativa russa RT.

 

«Con oltre l’80% dei Paesi nel mondo che registra un’inflazione superiore al 6%, i rischi socioeconomici stanno raggiungendo livelli critici. Quasi la metà di tutti i paesi della CUI sono ora classificati come ad alto o estremo rischio e si prevede che un gran numero di stati subirà un ulteriore deterioramento nei prossimi sei mesi», ha osservato Verisk Maplecroft, che avverte che è altamente improbabile che la tendenza globale cambi presto.

 

«Solo una riduzione significativa dei prezzi globali di cibo ed energia può arrestare la tendenza globale negativa del rischio di disordini civili. I timori di recessione stanno aumentando e l’inflazione dovrebbe essere peggiore nel 2023 rispetto al 2022».

 

Come riportato da Renovatio 21, i governi di Austria e Repubblica Federale Tedesca, compresi i governi di alcuni laender, dichiarano apertamente di preparsi per un autunno di rivolte, con progetti ora in corso di confisca di armi ai cittadini con ideali ritenuti «sbagliati» e allargamento del concetto di «estremismo», così da poter procedere magari anche con repressioni preventive.

 

Un ricercatore tedesco, Andreas Zick, ha previsto in uno studio circolato ampiamente che anche l’inflazione potrebbe portare a «enormi conflitti sociali».

 

A marzo era stato il Managing Director del Fondo Monetario Internazionale Kristalina Georgieva ad avvertire che le sanzioni alla Russia avrebbero causato rivolte di massa.

 

Otto mesi fa il miliardario CEO del mega-fondo Blackstone aveva annunciato che la carenza di energia avrebbe portato a disordini sociali.

 

Come ipotizzato da Renovatio 21, non è implausibile che il prossimo governo italiano, che si troverà in mano il cerino del  collasso economico ed energetico, potrebbe distinguersi per essere un governo di repressione delle proteste, ed è possibile che questa sia l’unica condizione per la quale i poteri sovranazionali ne permetteranno la nascita.

 

 

 

 

 

 

 

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