Terrorismo
Il PKK annuncia la fine di 40 anni di lotta contro la Turchia
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha annunciato che si scioglierà e ha posto fine alla lotta armata contro la Turchia. Lo ha dichiarato lo stesso movimento in una nota diffusa nelle scorse ore.
Ankara ha accolto la decisione come una pietra miliare verso una «Turchia libera dal terrorismo», ma ha affermato che il gruppo deve attuare pienamente la sua decisione.
Il PKK, che ha condotto un’insurrezione contro la Turchia dal 1984 per ottenere l’autonomia per i curdi, ha scelto di deporre le armi durante un congresso del partito all’inizio di maggio, ma ha annunciato la decisione solo lunedì. In una dichiarazione, ha affermato che il PKK ha «portato la questione curda a un livello tale da poter essere risolta con la politica democratica, e il PKK ha completato la sua missione in tal senso».
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La mossa è arrivata dopo un appello pubblico a febbraio del leader del PKK Abdullah Öcalan, rinchiuso in un carcere turco dal 1999 – dopo che era passato in Italia, dove era stato portato da Mosca da un parlamentare di Rifondazione Comunista –con l’accusa di separatismo, che esortava il gruppo a sciogliersi e ad adottare metodi non violenti. All’epoca, l’Öcalan inviò una lettera ai membri del partito affermando: «Non c’è alternativa alla democrazia nel perseguimento e nella realizzazione di un sistema politico». In seguito al messaggio, il PKK dichiarò un cessate il fuoco unilaterale.
Omer Celik, portavoce del partito di governo Giustizia e Sviluppo in Turchia, ha accolto con favore la decisione come «una tappa importante verso l’obiettivo di una Turchia libera dal terrorismo».
«Se il terrorismo verrà definitivamente sconfitto, si aprirà la porta verso una nuova era», ha aggiunto, avvertendo che «questa decisione deve essere attuata nella pratica e realizzata in tutte le sue dimensioni». Il Čelik ha anche insistito sul fatto che lo scioglimento dovrebbe applicarsi anche a «tutte le branche e le estensioni del PKK e alle sue strutture illegali».
A quanto pare, si riferiva alle Unità di Protezione Popolare (YPG) a guida curda, che Ankara considera un’estensione del PKK. Il gruppo, che gode del sostegno degli Stati Uniti e opera principalmente in Siria, non ha ancora rilasciato dichiarazioni sulla decisione del PKK.
Fondato nel 1978, il PKK ha lanciato un’insurrezione armata contro lo Stato turco, inizialmente perseguendo l’indipendenza e successivamente l’autonomia e i diritti civili per i curdi. Ankara ha cercato di reprimere il gruppo per decenni. Il conflitto ha causato circa 40.000 vittime, molte delle quali civili, e centinaia di migliaia di sfollati nella Turchia sudorientale.
Il gruppo è considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.
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Come riportato da Renovatio 21, un anno fa Ankara si diceva pronta ad un’ulteriore escalation militare contro il PKK si dentro il Kurdistan iracheno.
Negli anni si sono susseguite accuse da parte dei curdi secondo cui i turchi avrebbero utilizzato ripetutamente armi chimiche.
Nei raid in Kurdistan sono stati colpiti anche alcuni villaggi cristiani, anche di recente.
Un anno fa un tribunale turco ha condannato il leader dell’opposizione filo-curda Selahattin Demirtas a 42 anni di prigione per il suo ruolo nell’alimentare le proteste mortali sul conflitto in Siria.
Come riportato da Renovatio 21, gli USA hanno minacciato di sanzionare la Turchia per le sue relazioni con la Russia. I rapporti tra Washington ed Ankara sono divenuti tesi con l’attentato a Istanbul di due anni fa attribuito al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).
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Immagine di Kurdishstruggle via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0