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Il ministero della Difesa cinese rifiuta la telefonata con il Pentagono

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La Repubblica Popolare Cinese ha rifiutato una telefonata, proposta dal Pentagono, tra il segretario alla Difesa Lloyd Austin e il ministro della Difesa cinese Wei Fenghe.

 

Un portavoce del Pentagono ha detto alla testata governativa statunitense Voice of America (VOA) che i due non si parlavano da novembre, quando si è tenuta una discussione a margine del Meeting-Plus dei ministri della Difesa dell’ASEAN.

 

Tuttavia, VOA scrive che il Segretario di Stato Antony Blinken dovrebbe recarsi in Cina tra poche settimane.

 

Il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha dichiarato a VOA la scorsa settimana che i colloqui di Blinken con alti funzionari cinesi includeranno “aree che sono previste dalla competizione, aree in cui le relazioni tra i nostri due Paesi hanno il potenziale per essere persino contraddittorie e modi in cui possiamo garantire una gestione responsabile di tali aree, ma anche aree in cui possiamo cercare e persino approfondire la collaborazione».

 

Da notare che il rifiuto cinese è arrivato anche dopo che il Pentagono ha accusato un aereo da combattimento dell’Esercito di Liberazione del Popolo (ELP) di aver effettuato un’intercettazione pericolosa di un aereo da ricognizione statunitense sul Mar della Cina meridionale, una descrizione alla quale la Cina ha fatto eccezione.

 

Sebbene l’incidente sia avvenuto il 21 dicembre, non è stato segnalato fino a circa una settimana dopo.

 

«La Cina non è rimasta colpita dalla capacità degli attuali funzionari statunitensi di ascoltare ciò che viene detto. A volte non rispondere al telefono invia un messaggio più chiaro che fingere che sia in corso una conversazione» scrive EIRN.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’attività cinese nel Pacifico, e le relative tensioni,  in questi anni ha spinto i Paesi dell’area all’import di armi. Secondo alcuni sarebbe incorso una «offensiva» della presenza militare cinese nell’Indo-Pacifico concretizzatasi durante la crisi ucraina.

 

La notizia si aggiunge al fatto diplomatico del mese: la sostituzione dell’indomito portavoce degli Esteri Zhao Lijian, già noto capo del branco dei «wolf warriors», ossia la generazione di diplomatici cinesi noti per la loro aggressività.

 

Il Lijiano, che Renovatio 21 ammette ci mancherà, aveva varie volte canzonato gli USA sui social e lanciato accuse importanti come quella sui biolaboratori ucraini o quella secondo cui il COVID sarebbe stato portato dall’esercito americano a Wuhano durante i giochi olimpici militari dell’ottobre 2019, sul cui sincronismo con lo scoppio dell’epidemia del coronavirus molti si interrogano giungendo a tesi opposte.

 

 

 

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