Guerra cibernetica

Il green pass dei parlamentari e gli hacker della Regione Lazio

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Quanti parlamentari si sono vaccinati? Una domanda che ogni italiano si sarà posto almeno una volta.

 

Noi però abbiamo una domanda ancora più balzana che ci vaga per la testa:  la questione è collegabile al recente caso di hackeraggio negli archivi sanitari del Lazio?

 

Partiamo da quanto sostenuto  Paolo Mieli  durante la trasmissione In Onda su La7 del 9 agosto parlando coi giornalisti Parenzo, De Gregorio e Cuzzocrea:



«Ci sono delle cose che non sappiamo e questo va detto con onestà. Un’altra cosa che dobbiamo dire è che i nostri consessi privati – e io conosco anche i vostri – sono consessi molto più dubbiosi del vostro atteggiamento pubblico. Cioè noi pubblicamente ci mostriamo come paladini della verità, ma quando andiamo a cena con degli amici, sentiamo dei dubbi e delle obiezioni».



Le persone nelle stanze dei bottoni – diceva Mieli – hanno dubbi sui vaccini, anche se in pubblico sostengono il contrario. E va da sé che chi ha dubbi sui vaccini, tendenzialmente, non si vaccina.

 

Paolo Mieli: «dobbiamo dire è che i nostri consessi privati – e io conosco anche i vostri – sono consessi molto più dubbiosi del vostro atteggiamento pubblico. Cioè noi pubblicamente ci mostriamo come paladini della verità, ma quando andiamo a cena con degli amici, sentiamo dei dubbi e delle obiezioni»

Ci sono stati casi eclatanti a conferma di quanto sosteneva Mieli.  Ad esempio il Ministro Speranza (il Ministro della Salute!) al 15 giugno 2021 non era ancora vaccinato. Lo Speranza si sarebbe poi vaccinato dal medico di famiglia il giorno successivo (non è una cosa comune) in fretta e furia onde sedare la polemica che andava crescendo. Attaccato  per questo motivo anche da virostar come Bassetti, il ministro della Salute rigorista era volato alla siringa il giorno dopo che Massimo Giannini in un’intervista  su La Stampa gli aveva rifilato (e pubblicato) l’imbarazzante domanda a bruciapelo: «Lei è vaccinato?».

 

Indicativo anche il caso di Maria Stella Gelmini che il 4 luglio affermava «È un errore drammatico che va scongiurato: se necessario andando a trovare a casa queste persone». Ma anche lei si era vaccinata con comodo al 7 giugno (prima dose?). Al momento della dichiarazione aveva già fatto il richiamo?

 

 

Conta osservare che mentre gli stessi imponevano l’obbligo vaccinale tramite green pass, fino a pochi giorni prima ne sarebbero stati sprovvisti. Nel caso del Ministro Speranza, vaccinatosi il 16 di Giugno – a meno che non abbia scelto il vaccino Johnson che è monodose – alla data del 22 luglio  mentre annunciava ai microfoni con Draghi l’obbligo green pass, avrebbe potuto essere ancora sprovvisto della seconda dose. Sarà un caso che pochi giorni dopo hanno corretto i requisiti per ottenere il green pass, abbonando il periodo che intercorre tra la prima dose e il richiamo?

 

Domande che di certo non depongono a favore della coerenza di coloro che, per usare l’espressione di Mieli, si propongono come «paladini della verità».

 

Quanti parlamentari sono stati o sono ancora in queste condizioni di «incoerenza» rispetto al green pass?

 

Non possiamo saperlo. Ma gli hacker che hanno messo le mani sui sistemi informatici della Regione Lazio forse sì. E qui l’episodio dell’hackeraggio potrebbe prendere una piega molto interessante.

 

In un contesto di segregazione vaccinale, poter accusare pubblicamente un politico di non essere vaccinato è un’arma politica non da poco

Di certo non depone a favore di questa domanda malfidente il fatto che in tre occasioni il Parlamento abbia respinto l’introduzione del green pass per i parlamentari, nonostante sarebbe stato un segnale indubbiamente distensivo verso il popolo italiano. La buonafede.

 

La prima volta l’ipotesi di green pass per i parlamentari è stata respinta dal Presidente della Camera Fico in data 21 luglio dopo che Confindustria aveva ventilato l’opportunità di introdurlo per i parlamentari. La motivazione addotta da Fico era deboluccia: «è impossibile chiedere ai parlamentari chi si è vaccinato e chi no» (La Repubblica, 21 luglio).

 

La seconda volta  la possibilità di introdurre il green pass in Parlamento viene negata il 23 luglio – il giorno dopo l’annuncio di Draghi – niente meno che da Pierpaolo Sileri, vice-ministro della Salute. L’argomento di Sileri era già più cogente nel contesto: «Non ho dubbi che gli onorevoli dovrebbero essere tutti vaccinati, ma il Parlamento è un luogo di lavoro, come tale non ha obbligo di green pass. Non metterei obbligo vaccinale nelle aziende».

 

Ed eccoci alla terzo diniego. Dal 23 luglio di acqua sotto i ponti ne è passata e da settimane è stato esteso il green pass a molte categorie di lavoratori. I docenti a scuola lavorano e sono tenuti ad avere il green pass. Non solo, ma il Governo ha già preannunciato l’estensione del green pass  ad altre categorie di lavoratori (ristoratori, camerieri, capitreno etc.).

 

Ora, sebbene l’argomento di Sileri sia ormai contraddetto dai criteri ufficiali dell’obbligo di green pass, in data 7 settembre il Governo ha  nuovamente escluso di introdurre il green pass per i parlamentari. O meglio, sarà obbligatorio il green pass per frequentare il ristorante del Parlamento e per andare alla biblioteca. Lo hanno stabilito il collegio dei questori di Camera e Senato.

 

«È l’attacco informatico più violento e pericoloso mai subito dall’Italia. E non solo per le prenotazioni per il vaccino andate in tilt, ma perché dentro al sistema della Regione Lazio c’è un tesoro»

Il Corriere del 7 settembre riassume così:

 

«Entrambi si sono riuniti prima della pausa ferragostana e hanno approvato una delibera, in vigore dal 6 agosto. In sostanza, spiega il questore Gregorio Fontana, “siamo in linea con quanto succede fuori”. Ne consegue che l’obbligo della certificazione verde sarà previsto per entrare al ristorante, come detto, così come per la partecipazione a iniziative culturali: ad esempio, per tutti i convegni e le conferenze stampa che si svolgono all’interno di Camera e Senato. O ancora: se si vuole accedere alla sedi della biblioteca e dell’archivio storico. Infine, se si è convocati per svolgere un concorso all’interno dell’edificio».

 

E qui l’episodio dell’hackeraggio si fa molto interessante. Perché, visti i fatti,  è intuibile che una buona parte dei parlamentari non sarebbe in regola col green pass obbligatorio. Perché darci la possibilità di scrivere un articolo come questo, se in Parlamento fossero ampiamente già vaccinati?

 

Ora, in un contesto di segregazione vaccinale, poter accusare pubblicamente un politico di non essere vaccinato è un’arma politica non da poco.  Ad alcuni non farà piacere il parallelo, ma sarebbe stato come poter accusare un politico di avere un nonno ebreo quando erano in vigore le Leggi Razziali.

 

Prendiamo Carlo Calenda che ha tentato di screditare Virginia Raggi pochi giorni fa, quando emerse che Virginia Raggi non ha ancora programmato la vaccinazione perché risulta avere gli anticorpi alti.


Vista la retorica e il clima da caccia agli untori non vaccinati, rimane evidente che con questa accusa possono finire alla gogna pubblica sia personalità politiche favorevoli all’obbligo, sia personalità che cercano di non prendere posizione.



I casi più eclatanti sono stati Matteo Salvini e Giorgia Meloni, i quali – dopo avere temporeggiatao per mesi –hanno fatto sapere (o almeno fatto credere perché nessuno ha mai scansionato i loro QR code) di essersi vaccinati con la prima dose dopo pochi giorni dal discorso di Draghi del 22 luglio, quella della mancata vaccinazione come contagio e uccisione.

 

«La minaccia è molto seria. Perché in quel database ci sono tante persone qualunque, certo, ma anche l’intera classe dirigente che andando a fare l’iniezione contro il  coronavirus ha fornito i propri dati sensibili. Dagli onorevoli ai ministri della Repubblica. Dai vertici delle forze armate e dei Servizi Segreti, ai grandi dirigenti delle aziende, pubbliche o private. Ci sono i vertici delle banche e della diplomazia»

Niente male per mantenere una linea di opposizione al green pass. Il lettore può pacificamente capire che avrebbero potuto vaccinarsi per legittimi motivi personali, senza darne pubblico annuncio.

 

Il fatto che Salvini e Meloni abbiano ritenuto opportuno, non tanto legittimamente vaccinarsi, quanto farlo sapere pubblicamente è indice che qualcosa dal 22 luglio è cambiato. Che cosa sia cambiato dal quel giorno è sotto gli occhi di tutti: è il nuovo schema di Draghi con cui la stampa opera i killeraggi politici: «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente: non ti vaccini, ti ammali e muori. Oppure, fai morire: non ti vaccini, contagi, lui o lei muore».

 

Se non ti vaccini, sei un nemico della Patria.

 


Visti gli antefatti, in data 1 agosto accade qualcosa di molto anomalo; specialmente considerando la concomitanza degli eventi.

 

Scrive Repubblica il 2 agosto:

 

«È l’attacco informatico più violento e pericoloso mai subito dall’Italia. E non solo per le prenotazioni per il vaccino andate in tilt, ma perché dentro al sistema della Regione Lazio c’è un tesoro. Ci sono i dati del 70 per cento degli abitanti di Roma e delle Province vicine. La loro anamnesi, la loro storia clinica, il loro stato di salute. Ma anche indirizzi, residenza, numeri di telefono, mail. Tutto».

 

«Ci sono i file sensibili di tutte le persone vaccinate nel Lazio, anche solo con una dose. Gli hacker sono arrivati fino a lì, alle porte di quello scrigno che custodisce i dettagli personali di questi cittadini. E ancora sono al lavoro, l’attacco è cominciato nella notte tra sabato e domenica, per provare a rubare quella cassaforte così preziosa».

 

L’Italia annuncia l’obbligo vaccinale e dopo una settimana si verifica un attacco terroristico informatico alla sanità che coinvolge «l’intera classe dirigente» nazionale.

«L’immagine, descritta dai tecnici, è quella di chi sta attaccato alla serranda e cerca una via per entrare. E la paura è che possano riuscirci. O che, nei giorni in cui hanno preparato l’assedio, siano riusciti a prendere qualcosa. La minaccia è molto seria. Perché in quel database ci sono tante persone qualunque, certo, ma anche l’intera classe dirigente che andando a fare l’iniezione contro il  coronavirus ha fornito i propri dati sensibili. Dagli onorevoli ai ministri della Repubblica. Dai vertici delle forze armate e dei Servizi Segreti, ai grandi dirigenti delle aziende, pubbliche o private. Ci sono i vertici delle banche e della diplomazia». Il corsivo è nostro.

 

Basti pensare che a Roma si sono immunizzati anche i presidenti della Repubblica Sergio Mattarella (che si è vaccinato all’ospedale Spallanzani) e quello del Consiglio Mario Draghi, che l’iniezione anti-COVID l’ha fatta all’hub della stazione Termini. E ora anche i loro dati sensibili rischiano di finire nelle mani sbagliate».



Insomma, gli hacker potrebbero aver messo le mani sulla lista di quei potenziali potenti e abbienti «dubbiosi» di cui parlava Paolo Mieli.

 

Coloro che sono entrati nel CED della Regione Lazio, chissà, forse ne conoscono i nomi.

 

L’Italia annuncia l’obbligo vaccinale e dopo una settimana si verifica un attacco terroristico informatico alla sanità che coinvolge «l’intera classe dirigente» nazionale.

 

Curioso.

 

 

Gian Battista Airaghi

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