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Il gender e le femministe radicali: la guerra alla maternità e il controllo sulla riproduzione

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Le femministe radicali nascenti, abbeverate alle teorie di Engels, declinano la lotta tra i sessi sulla falsariga della lotta di classe e si formano all’idea (cuore dell’agenda di genere) del controllo della riproduzione, cioè del libero accesso a contraccezione, aborto, liberazione sessuale totale ed eliminazione della distinzione sessuale.

 

E il «genere», così come ridefinito da Money, fornisce loro la chiave per chiudere con successo il cerchio del sistema ideologico. Perché consente di ammettere le differenze biologiche derivanti dal sesso, e al tempo stesso di rifiutare i ruoli sociali e culturali – appunto «di genere» – in quanto artificiali, arbitrari e forzosamente imposti: tra questi, anche la mascolinità e la femminilità, l’uomo e la donna, la paternità e la maternità.

Esse odiano il maschio vedono la famiglia come la causa di tutte le oppressioni in quanto base della società «patriarcale, gerarchica, sessista, razzista e omofobica»

 

Esse odiano il maschio («gli uomini sono dei mostri e le donne sono tutte oppresse, sempre e comunque»), vedono la famiglia come la causa di tutte le oppressioni in quanto base della società «patriarcale, gerarchica, sessista, razzista e omofobica» e ritengono che, fino a che ci saranno delle donne che scelgono questo legame, tutte le donne saranno minacciate.

 

Secondo una delle loro esponenti, Nancy Chadorow, «nella famiglia in cui il padre lavora e la donna sta a casa, il bambino viene condizionato psicologicamente a credere che i due sessi siano diversi» (sic); «le bambine si identificano con la madre e i ragazzi realizzano che loro cresceranno e non potranno diventare madri» (sic); e «una volta che il concetto dei due sessi sia entrato nella mente del bambino…il male del pensiero diviso in classi verrà trasmesso alla generazione futura».

 

Del resto, secondo la mistica di riferimento della categoria, Simone de Beauvoir, «a nessuna donna dovrebbe essere consentito di stare a casa a badare ai figli […] per il semplice fatto che se esistesse una tale opzione sarebbero in troppe a sceglierla».

 

«A nessuna donna dovrebbe essere consentito di stare a casa a badare ai figli […] per il semplice fatto che se esistesse una tale opzione sarebbero in troppe a sceglierla» Simone de Beauvoir

Judith Butler, esponente del ramo postmoderno/decostruzionista del femminismo lesbico radicale, teorizza la assoluta fluidità del genere, che «non è né il risultato causale del sesso né sembra essere fisso come il sesso».

 

Infatti «se il genere rappresenta il significato culturale che assume il corpo sessuato, allora non si può dire che il genere provenga dal sesso in nessun modo» sì che, «portata al suo limite logico, la distinzione sesso/genere suggerisce una discontinuità radicale tra i corpi sessuati e i generi costruiti socialmente».

 

Inoltre, onde evitare che la gente imponga «etichette» agli uomini e alle donne creando esseri fittizi e perpetuando le disuguaglianze, per la Butler è necessario realizzare il «controllo assoluto sulle famiglie, sull’educazione, sui media e sulle conversazioni private».

Nella visione del mondo femminista radicale il maggior ostacolo all’uguaglianza è rappresentato dalla maternità, e il problema da superare sono le donne che intendono prendersi cura dei figli come loro vocazione primaria.

 

Nella visione del mondo femminista radicale il maggior ostacolo all’uguaglianza è rappresentato dalla maternità, e il problema da superare sono le donne che intendono prendersi cura dei figli come loro vocazione primaria.

 

Il modo per superare questo problema è mettere tutte le donne nella forza lavoro a tempo pieno e affidare tutti i bambini, fin da piccoli, a educatori estranei.

 

Le femministe di genere utilizzano le differenze statistiche tra uomini e donne in certi ambiti della vita sociale come prova della discriminazione delle donne. Ad esempio nelle cariche governative o della pubblica amministrazione, o in determinati ruoli o carriere, come quello delle allenatrici di calcio.

 

Il modo per superare questo problema è mettere tutte le donne nella forza lavoro a tempo pieno e affidare tutti i bambini, fin da piccoli, a educatori estranei

Non è uno scherzo: al numero 83 della piattaforma di Pechino è posto l’obiettivo di «sostenere il progresso delle donne in tutte le aree dello sport e della attività fisica, incluso l’allenamento». Ciò a seguito di una indagine che aveva rivelato come il 100% degli allenatori di calcio fossero uomini e come nessuna donna avesse presentato domanda per i posti rimasti vacanti. Di qui, la ravvisata necessità di aumentare gli sforzi di reclutamento e i programmi di supporto per accrescere il numero di allenatrici femmine.

 

Di qui, più in generale, la statuizione che «gli interventi per cambiare l’atteggiamento verso carriere che rappresentano stereotipi di genere e per aumentare l’interesse in aree non tradizionali devono iniziare all’asilo e continuare per tutta la durata della scuola».

 

È su questa base che viene ridefinito strumentalmente il concetto di uguaglianza.

 

«Non bisogna mai mostrare le donne come madri a tempo pieno o casalinghe, a meno che non siano raffigurate come vittime di violenze, sociopatiche, o nelle vesti di mogli di fanatici religiosi»

Ragion per cui le femministe chiedono, in aggiunta alle quote (cioè alla parità statistica nelle cariche elettive), la rimozione degli «stereotipi» o «immagini tradizionali» dal materiale educativo e dai mezzi di comunicazione di massa. Per ottenere l’uguaglianza dei desideri e degli interessi – dicono – i testi di scuola, i cartoni animati, le soap opera, gli annunci pubblicitari e le telenovela devono mostrare uomini e donne impiegati in numero uguale come soldati, scienziati, pompieri e autisti di camion, anche quando questo non ha alcuna attinenza con la realtà.

 

Le attività a cui partecipassero solo gli uomini verrebbero viste come oppressive e discriminatorie. Si legge nelle dichiarazioni di intenti: «non bisogna mai mostrare le donne come madri a tempo pieno o casalinghe, a meno che non siano raffigurate come vittime di violenze, sociopatiche, o nelle vesti di mogli di fanatici religiosi».

 

 

Elisabetta Frezza

 

 

Questo è un brano del libro Malascuola: «Gender», affettività, emozioni. ll sistema «educativo» per abolire la ragione e manipolare i nostri figla di Elisabetta Frezza. È possibile acquistarne copia presso il sito dell’editore.

 

 

 

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