Geopolitica

Il fantasma di Brzezinski aleggia su Bakhmut

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Il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale USA John Kirby ha affermato in una conferenza stampa a inizio settimane che la Russia ha subito più di 100.000 vittime solo a Bakhmut negli ultimi cinque mesi, inclusi 20.000 morti. Newsweek ha riferito che i numeri erano basati su rapporti dell’Intelligence statunitense appena declassificati, sebbene Kirby non avesse spiegato come fossero stati ricavati i numeri.

 

Si potrebbe trattare di qualcosa che sta tra il wishful thinking (il «pensare positivo») è l’allucinazione vera e propria.

 

«Il tentativo di offensiva della Russia nel Donbas in gran parte attraverso Bakhmut è fallito», ha affermato Kirby, l’ammiraglio portavoce che pochi giorni fa ha annunciato che i diritti LGBT sono una parte fondamentale della politica estera USA. «Lo scorso dicembre, la Russia ha avviato vaste operazioni su più linee… La maggior parte di questi sforzi si è arenata ed è fallita. La Russia non è stata in grado di impadronirsi di un vero territorio strategicamente significativo».

 

Kirby con evidenza presuppone che Mosca intendesse impadronirsi di «territorio significativo» invece di lasciare semplicemente che le forze ucraine si sfracellassero contro il muro russo eretto a Bakhmut. Pare che il Kirby, che ricordiamolo è un militare, non abbia sentito parlare del «mattatoio di Bakhmut», la teoria per cui i comandi militari russi avrebbero operato per creare un tragico luogo dove Kiev continua a mandare senza senso a morire, una vera trappola, dove la vita dall’arriva al fronte può durare in media 4 ore prima di essere ammazzati.

 

E Kiev, per la stupidità dei comandi sottoposti alla dittatura dell’immagine internazionale – del resto il presidente è un attore – ha continuato a mandare ragazzi a morire inutilmente nella trappola russa, anche quando il meccanismo era divenuto chiaro a tutti – ma non al Kirby, che è quello che pochi giorni fa ha dichiarato che l’evacuazione degli USA dall’Afghanistan è stata un successo.

 

Per spiegare quanto sta accadendo Newsweek ha ritirato fuori Zbigniew Brzezinski, lo spettro del consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter dal 1977 al 1981, noto come uno dei massimi falchi antirussi conosciuti dalla politica americanta.

 

«Putin crede che sia il suo destino ricreare l’impero russo», ha detto l’ex segretario alla Difesa Robert Gates, durante un’apparizione del 29 gennaio nella trasmissione «Meet the Press» del canale televisivo NBC. «E come diceva il mio vecchio mentore, Zbig Brzezinski, “senza l’Ucraina, non ci può essere alcun impero russo”. Quindi è ossessionato dalla riconquista dell’Ucraina, resisterà… E sta facendo quello che hanno fatto gli eserciti russi sempre fatto, e questo significa inviare in prima linea un gran numero di coscritti relativamente scarsamente equipaggiati e scarsamente addestrati, nella convinzione che la massa vincerà».

 

Si tratta di un chiaro caso di proiezione. Al Gates bisognerebbe ricordare che chi sta mandando al fronte ragazzi senza preparazione (e senza armi, almeno prima che dessimo tutte le nostre) è il regime di Kiev. E rammentiamo inoltre al Gates che, finora, sia pur con il sacrificio di enormi masse di ragazzi (e non è questo il caso, visto che la ratio dei caduti secondo alcuni starebbe a 1 russo per 10 ucraini), le ha vinte piuttosto spesso.

 

Forse Gates si riferisce all’Aghanistan? Lì, sì, l’Unione Sovietica collassata già economicamente e moralmente continuò a mandare ragazzi a morire senza senso alcuno, e qualcosa i russi quindi impararono: quando nel 2001 gli USA si preparavano ad invadere l’Afghanistan, voci russe li sconsigliarono in ogni modo. Anche qui, si tratta di una proiezione: ad aver gettato nella fornace decine di migliaia di soldati – e forse due milioni tra iracheni e afghani – non sono i russi.

 

L’Operazione Ciclone, cioè il supporto americano ai mujaheddin in funzione antisovietica – cioè la base di miliziani jihadisti da cui nascerà al-Qaeda, cosa uscita proprio in quegli anni che vuol dire, appunto «la base» – è un esempio di questa grande, lungimirante politica estera americana: armare, come oggi, i nemici del tuo nemico, anche se chi riempi di armi e di dollari magari ti riporta a casa il terrorismo (che magari, è pure quello che serve a spezzoni di potere deviati). Abbiamo visto che un medesimo timore le agenzie americane lo hanno anche per l’Ucraina come possibile centrifuga dell’estremismo che potrebbe colpire negli States.

 

L’appoggio ai mujaheddin in Afghanistan fu un’idea sostenuta con vigore da Zbig Brzezinski, in cerca ovunque di appigli per pungolare l’Impero sovietico. Afghanistan (dover armare le tribù integraliste), Ucraina (dove la CIA già lavorava da decenni agli ucronazisti), Cina (dove c’era da gettare sale sul decoupling tra Pechino e Mosca).

 

Il motivo di tanta ossessione è presto detto: Brzezinski, come i neocon, con Mosca aveva un corto aperto in famiglia, che discende da un antico casato aristocratico polacco che regnava sul Voivodato di Ternopoli, poi passato all’URSS, e quindi all’Ucraina. La questione potrebbe essere coinvolta nella prospettiva di una spartizione dell’Ucraina dove la Polonia torna a mettere le mani sulle regioni occidentali ucraine, Leopoli, Ternopoli, etc.

 

Insomma un conflitto d’interessi di storia famigliare, pure con la spocchia nobile.

 

Come abbiamo scritto tante volte su Renovatio 21, esattamente come Brzezinski, anche i neocon, detti anche «straussiani» per la loro fedeltà agli insegnamenti segreti del filosofo ebreo-tedesco-statunitense Leo Strauss, che al momento dirigono la diplomazia e la guerra americana come Victoria Nuland, sono in genere originari di quelle parti, membri di famiglie ebree fuggite dallo Zar. Tutta gente, insomma, che ha qualcosa in famiglia contro Mosca…

 

Gli USA, il Dipartimento di Stato e tutto il Deep State che ci gira in torno (anche, soprattutto, sottoterra) non sono mai davvero usciti dal tunnel di Brzezinski, nemmeno quando la Russia abiurò al comunismo e arrivò a proporre di collaborare con il Patto Atlantico.

 

Come riportato da Renovatio 21, siamo arrivati al punto che la settimana scorsa è comparso un memorandum per i leader NATO scritto dal figlio di Brezinski, Ian. Un’altra sorella, Mika, è una giornalista antitrumpiana anchorwoman di MSNBC, il canale televisivo dell’establishment. Il fratello Mark invece è stato direttamente ambasciatore in Polonia, indimenticata terra natia della stirpe.

 

«Se l’aggressione di Putin non viene completamente invertita, le prospettive della Russia di evolversi in un attore internazionale più costruttivo saranno gravemente ridotte», fedele alla dottrina del padre, che voleva de-europizzare la Russia sottraendole l’Ucraina.

 

Sta andando così, e oltre: l’Europa è «de-russificata» a suon di diplomazie impazzite e gasdotti bombardati; la Russia è asiatizzata tentando, nel dolore infinito della strage dei ragazzi ucraini macellati in Donbass, di separarla da Kiev – cioè quella che Putin nel 2014, alla cerimonia per il ritorno della Crimea alla patria, definì giustamente come «la prima città russa».

 

Il fantasma di Brzezinski aleggia su Bakhmut. A pagarne le conseguenze non sono i suoi figli, ma quelli del popolo ucraino.

 

 

 

 

 

 

 

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