Geopolitica

Il Dipartimento di Stato ammette che almeno 7 «volontari» USA sono morti in Ucraina

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Il 26 agosto il Dipartimento di Stato americano ha confermato al settiminale Newsweek che un altro cittadino statunitense, ritenuto almeno il settimo finora, è morto combattendo per il regime di Kiev.

 

«Possiamo confermare la morte di un cittadino statunitense in Ucraina», ha affermato il Dipartimento di Stato americano. «Per rispetto della privacy della famiglia, non abbiamo ulteriori commenti in questo momento».

 

Newsweek cita Oleg Kozhemyako, governatore della regione russa di Primorsky Krai, nell’estremo oriente della Russia, il quale dice sul suo canale Telegram che i volontari del distaccamento «Tigre» di Primorsky avevano ucciso in combattimento un uomo americano di 24 anni.

 

Kozhemyako ha nominato l’individuo che sarebbe stato ucciso e il post era accompagnato da foto sia di un passaporto statunitense che di un documento d’identità rilasciato dallo stato ucraino che identificava la presunta vittima americana, ma l’identità dell’uomo non è stata confermata dai funzionari statunitensi.

 

Il difensore civico della Repubblica popolare di Donetsk, Daria Morozova, in una dichiarazione rilasciata ieri, ha invece fatto il nome dell’americano rimasto ucciso in nei combattimenti nella Repubblica Popolare di Donetsk lo scorso il 23 agosto.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Dipartimento per la sicurezza interna USA (DHS) ha iniziato a domandarsi se i volontari spediti in Ucraina non possano, una volta tornati completamente imbevuti di ideologia neonazista, diventare un pericolo terroristico per gli stessi USA.

 

Il DHS ha preso a classificarli con l’arcronimo «RMVE-WS», che sta per racially-motivated violent extremists – white supremacy («estremisti violenti di matrice razziale: supremazia bianca»).

 

Alcuni «volontari» americani sono arrivati in Ucraina ben prima dell’inizio del conflitto, distinguendosi  per le crudeltà in Donbass negli ultimi 8 anni.

 

I giornali americani hanno parlato quindi di un veterano americano ricercato per omicidio in USA, ma che continua ad operare in Ucraina senza che quest’ultima dia l’estradizione. Il personaggio, che in America avrebbe minato la casa della moglie incinta, cercato di ucciderla, e poi ammazzato una coppia di «donatori», avrebbe aderito nel 2015 ad una milizia di estrema destra e, secondo documenti trapelati dalla divisione penale del Dipartimento di giustizia dell’Ufficio per gli affari internazionali il veterano americano in Ucraina avrebbe «presumibilmente preso come prigionieri non combattenti, li avrebbe picchiati con i pugni, li avrebbe presi a calci, li avrebbe picchiati con un calzino pieno di pietre e li avrebbe tenuti sott’acqua».

 

L’uomo, che si dice sia il «principale istigatore» della tortura, «potrebbe persino aver ucciso alcuni di loro prima di seppellire i loro corpi in tombe anonime».

 

Secondo il sito Ukr-leaks che raccoglie i documenti trapelati, un testimone (ora in arresto negli USA) avrebbe quindi anche raccontato di come il veterano americano avrebbe picchiato e annegato la ragazza, mentre un altro membro del gruppo, un australiano, le avrebbe somministrato iniezioni di adrenalina in modo che la giovane non perdesse conoscenza. «Tutto questo è stato filmato dalla telecamera» scrive il sito.

 

Storie dell’orrore ucraino che risalgono ben prima dello scoppio della guerra: o meglio, quando la guerra era solo quella di Kiev contro le popolazioni «terroriste» del Donbass.

 

 

 

 

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