Geopolitica

Guerra di religione indù-musulmani: violenze in Bangladesh e in India

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In Bangladesh è sotto tiro la minoranza indù; in India, appena oltre il confine, lo è quella musulmana: in questi giorni la tensione è alle stelle. 

 

Panisagar, Stato del Tripura, al confine India-Bangladesh: 3 mila attivisti indù lo scorso martedì hanno dato vita ad una protesta subito divenuta moto violento contro la moschea locale e varie abitazioni. I musulmani sono scappati.

 

L’attacco è sorto sulla scia della vendetta giurata dagli indù dopo vari episodi di violenza anti-induista perpetrati dai musulmani in Bangladesh, dove i seguaci di Maometto sono l’assoluta maggioranza: gli indù costituiscono solo il 10% della popolazione.

 

L’origine pare essere (al solito, da quelle parti), un social media: un post diffuso diceva che alcuni induisti di Cumilla avevano dissacrato il Corano durante la festa induista del Durga Puja. Bilancio: sette morti e contagio delle violenze in tutto il Bangladesh.

 

Il sangue scorre da più di sette decenni dopo che i confini della regione sono stati tracciati lungo linee religiose, in quella che gli inglesi chiamarono Partition, la spartizione dell’India che nel 1947 ha visto milioni di indù fuggire nell’India moderna e milioni di musulmani in Pakistan e in quello che oggi è noto come Bangladesh, che fino alla guerra di secessione con il potere centrale pakistano era chiamato appunto East Pakistan.

 

I morti della Partition raggiungono cifre raccapriccianti – qualcuno sostiene che nella divisione religiose del subcontinente siano perite 2 milioni di persone; tra i 10 e 20 milioni, invece, sono divenuti profughi.

 

Tuttavia, altri sono rimasti radicati come minoranze in ogni paese, sopportando persecuzioni e attacchi di violenza continua.

 

Nelle ultime settimane, molti su entrambi i lati del confine hanno sollevato la possibilità che gli attacchi alle comunità sono stati orchestrati da gruppi politici in cerca di guadagno politico.

 

La violenza a Tripura sarebbe scoppiata in una settimana di raduni organizzati dal Vishva Hindu Parishad (VHP), un’organizzazione della destra induista con 6 milioni di membri, nota per il suo ruolo in uno degli eventi più controversi della storia indiana moderna, l’assalto e radere al suolo la secolare moschea Babri nella città di Ayodhya – una serie di massacri interreligiosi che interessa da vicino il premier Narendra Modi, all’epoca primo ministro dello Stato del Gujarat.

 

Modi appartiene al partito BJP, si ispira agli ideali dell’hindutva («induità»), una sorta di assolutismo etnoreligioso indiano che è alla base del nazionalismo indù.

 

In Bangladesh invece fiorisce l’estremismo islamico, con attacchi a politici ed intellettuali atei, secoloristi, a stranieri e a minoranze come gli indù, i buddisti, i cristiani e anche gli sciiti. Dal 2013 al 2016, ben 48 persone sono state assassinate da gruppi islamisti come Ansarullah Bangla Team (specializzato nell’assassinio di blogger) e l’ISIS, che ha preso piede anche laggiù.

 

Senza dimenticare che il vero grande attacco che il terrorismo islamico ha portato all’Italia è stato proprio in Bangladesh, dove venne barbaramente attaccato un locale che si sapeva essere frequentato da expat italiani, l’Holey Artisan Bakery della capitale Dacca. Nelle 20 vittime, ben nove erano italiani, trucidati barbaramente al grido Allahu Akbar.

 

Un episodio che dimostra che l’Italia, contrariamente a chi crede sia ancora magicamente in corso il «lodo Moro», è un obiettivo del terrorismo internazionale, perfino in Paesi in cui crede di muoversi sicura.

 

Immagine d’archivio di Asivechowdhury via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

 

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