Politica
Giappone, esplosione del partito Sanseito: voto di protesta o qualcosa di più?
Il paventato ceffone è arrivato: le elezioni per la camera alta in Giappone hanno confermato quanto i sondaggi avevano anticipato, ed è un discreto scossone per la politica nazionale.
I liberaldemocratici al potere vedono la loro coalizione trovarsi in minoranza, con un calo significativo di voti che ha coinvolto loro e gli alleati del Komeito (il partito emanazione della setta buddista Soka Gakkai).
Quello che pare emergere è un voto di protesta concentrato su forze emergenti che, per semplificare, potremmo definire di destra. Inutile girare attorno alla questione: la stella nascente della politica giapponese è indiscutibilmente il Sanseito, che sta facendo notizia anche all’estero.
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In queste elezioni il partito di Sohei Kamiya ha ottenuto 14 seggi, rispetto al singolo seggio guadagnato fino ad ora, risultato che lo rende al momento il quarto partito in Giappone.
Per un partito nato nel 2020 si tratta di una indiscutibile vittoria. Mi sembra inoltre significativo che l’affluenza alle urne sia decisamente aumentata rispetto alle elezioni precedenti: dal 52 al 58%.
Si ha l’impressione che inizino a interessarsi alla politica anche persone che fino a ora se ne erano tenute lontane, segno che la capacità di comunicazione delle nuove forze politiche ha un’efficacia che i
vecchi partiti non posseggono.

Locandina del Sanseito per le strade di Tokyo. Lo slogan: «Nihon wa namero na» (日本をなめるな), traducibile come «non fare il pirla con il Giappone»
Come ho riportato in precedenza, molte delle idee sostenute dal partito politico caratterizzato dal colore arancione incontrano la mia simpatia, riporto qui però anche le mie perplessità.
Il mio primo incontro con il Sanseito risale all’epoca della pandemenza, quando mi venne porto un volantino da alcuni manifestanti, da qualche parte a Tokyo est. Si era nell’epoca in cui il popolo nipponico era zombificato dall’ipocondria: il Giappone non ha mai imposto lockdown, green pass o simili barbarie, ma ciononostante le strade vedevano soltanto sparuti zombi in mascherina trascinarsi oberati dal terrore virale.

Yuriko Koike, governatrice di Tokyo, faceva girare camion con la scritta nero su bianco «Stay home» (in inglese, tremendo, ma vedremo che non è l’unica…), roba che John Carpenter spicciame casa.
Leggere sul volantino in questione una ferma condanna delle misure restrittive mi fece davvero grande piacere: chi ricorda la solitudine del regime covidiotico, ricorda anche la gioia di incontrare spiriti affini in mezzo alla mandria vaccinica.
Da lì arrivarono notizie delle prime manifestazioni da decine di migliaia di persone contro siero malefico e terrorismo medico/mediatico, e la mia simpatia per il Sanseito non poteva che aumentare.
Qui però nasce la mia prima perplessità: il Sanseito è nato di fatto da un canale Youtube e da lì ha saputo proiettarsi nella società e nel mondo reale, ma queste origini mi ricordano un po’ quelle del Movimento 5 Stelle (absit iniuria verbis) e il timore di un’operazione studiata a tavolino per incanalare il malessere sociale si fa sentire.
Inoltre, il Giappone ha da sempre una solida base di appassionati di paranormale, UFO (tra di essi un insospettabile Yukio Mishima) e teorie stravaganti (una perla tra tante: nella prefettura di Aomori si trova la tomba di Gesù, a detta dei seguaci di un bizzarro culto locale). Ricordo come lasciai sconfortato una manifestazione anti-restrizioni pandementi dopo che un manifestante mi confidò come la suddetta governatrice Koike fosse in realtà stata sostituita con un cyborg, come la maggior parte dei politici mondiali.
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Ecco: non vorrei che le accuse di alcuni oppositori corrispondessero alla realtà e che la base del Sanseito fosse fatta da varie cricche di strampalati e ossessi che vivono racchiusi nelle loro bolle internettare.
Credo sinceramente però che la realtà sia un’altra: il Sanseito da una risposta a tutti i giapponesi che vedono costernati come il loro paese conti sempre meno a livello internazionale, come da potenza industriale si stia trasformando in località turistica agognata dal cafone globale e come la vita di tutti i giorni per molti giapponesi si stia trasformando in un’alienante immersione in un invivibile melting pot a causa di turismo e immigrazione.
È una frase che sento dire sempre più spesso: «sono stato a Takayama, è stato come essere all’estero», «ad Asakusa non ci sono più giapponesi», etc. Alcune comunità di immigrati stanno oggettivamente creando problemi alle zone che li ospitano, e torna ancora una volta l’esempio di Kawaguchi nella prefettura di Saitama. A causa del declino demografico al Giappone manca forza lavoro, ma la soluzione non è la sostituzione etnica. Un Giappone che non è più Giappone non serve a nessuno.
E qui parte il mio rimbrotto a Kamiya e al suo partito: perché lo slogan di queste elezioni era «Nihonjin fasuto» (Nihonjin first, prima i Giapponesi)? Perché usare una parola nel maledetto inglese globale? I giapponesi tra fine Ottocento e inizio Novecento hanno tradotto infiniti concetti della cultura europea, talvolta completamente estranei a quella giapponese, nel loro idioma e usando i kanji gli ideogrammi. Si tratta di un’impresa linguistica straordinaria: ricordo di avere letto un libro di un linguista sud coreano che si profondeva in lodi sperticate (!) per questo meraviglioso esempio di integrazione di una cultura esterna.
Un esempio: impermeabile (stavo per scrivere tabarro…) in giapponese si dice kappa, scritto con i kanji 合羽、ovvero unire 合 le ali 羽 (la pronuncia deriva dalla crasi katsu+ha, che nigorizza in pa, quindi kappa).
Avvolgersi nell’impermeabile ricorda il gesto di un uccello che si avvolge nelle sue ali, vero? Ma l’etimo del giapponese kappa è il portoghese – la lingua dei primi missionari cattolici arrivati secoli fa – capa, uguale all’italiano «cappa». Da cui anche «capparella», che è il modo in cui in Emilia chiamano il tabarro…
La lingua giapponese abbonda di simili tesori. E un partito che si vuole patriottico si deve ridurre a usare «Nihonjin first» come slogan? L’amore per il proprio paese si esprime anche attraverso la propria lingua.
Sospendo al momento il mio giudizio riguardo a questo partito, fermo restando il mio interesse. Nel frattempo mi godo gli expat occidentali che sono già entrati in «Sindrome da squilibrio mentale Sanseito», versione locale della TDS, o Trump Derangement Syndrome: «Bugiardi!» «Le donne non sono macchine per fare bambini!» «Sanseito worst!»

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Così, la sinistra giapponese e la sua manovalanza occidentale si parlano al proprio ombelico nelle manifestazioni pubbliche.

Anche i quotidiani sportivi riportano la vittoria del Sanseito in prima pagina.

Nel frattempo, stiamo a a vedere. C’è un proverbio in giapponese, «Mateba kairo no hiyori ari» ( 待てば海路の日和あり). Significa, letteralmente, «Se aspetti, sulla rotta del mare farà bel tempo».
Vediamo se il Paese riuscirà a prendere il mare ed uscire dall’isola in cui si è cacciato.
Taro Negishi
corrispondente di Renovatio 21 da Tokyo
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Immagine dalla propoganda del Sanseito