Pensiero

Gesù massacrato da noi che gli veliamo il volto

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«Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano: “Indovina: chi ti ha colpito?”. E molti altri insulti dicevano contro di lui». (Luca, XXII, 63)

 

È un brano del Vangelo che ho sentito in un’omelia domenicale poco tempo fa, da un sacerdote rimasto cattolico, in una chiesetta rimasta cattolica. Dove, cioè, esiste ancora il sacrificio divino della Messa. Dove esiste ancora il bene e il male. Dove esiste ancora la virtù e il peccato. Dove ancora si crede che Cristo sia morto per i nostri peccati.

 

Lo bendavano. Questa cosa mi è rimasta dentro, e non sta smettendo di risuonare, anche dolorosamente. Oggi, nel giorno della morte di Nostro Signore, mi rimbomba dentro più che mai. Lo bendavano

 

La flagellazione la conosciamo bene. Chi non aveva idea di cosa fosse veramente, l’ha potuta vedere una ventina di anni fa quando uscì la Passione di Mel Gibson. Alcuni spettatori si sentirono male in sala: il sangue, i brandelli di carne strappati dalle frustate del gatto a nove code. La corona di spine su quel volto emaciato, sofferente oltre ogni limite tollerabile, gli occhi gonfi. Alcuni storici dissero che invece quella scena, sia pur realistica, non restituiva la violenza della flagellazione, che è stata pure maggiore.

 

Eppure, non è alla ferocia sanguinaria del flagello che sto pensando. Mi sconvolge un atto in apparenza non violento, quello di velare il corpo di Gesù prima di colpirlo.

 

In questo c’è un significato abissale che, nella mia misera esperienza, non avevo mai percepito. I soldati romani gli avevano velato il volto non solo per schernirlo, ma per non vedere il suo viso, la sua sofferenza, la sua umanità, mentre andavano avanti con le loro azioni di tortura. Vederlo in faccia, forse avrebbe reso meno forte il successivo colpo di frusta. Meglio coprirlo, così da mantenere l’animo nella continuità dell’orrore che si sta compiendo.

 

Ma tutto questo non riguarda la storia raccontata dal Vangelo. Riguarda, nel profondo, noi tutti. Riguarda me.

 

C’è qui un appello diretto al nostro cuore, alla nostra esistenza. Quando operiamo il peccato lo facciamo sapendo di non poter guardare in faccia Dio. Quante volte, anche noi, lo abbiamo bendato. Gli abbiamo coperto il volto, per picchiarlo più forte.

 

Quante volte lo abbiamo velato, per massacrarlo ancora di più con i nostri peccati. Non vogliamo vedergli il viso, perché lo flagelliamo, continuando con azioni che sappiamo lo offendono, azioni contrarie al suo amore. I peccati che lui stesso ha pagato per noi finendo sulla Croce.

 

Il velo della Veronica e la Sindone raccontano che, pure coprendolo, il suo viso rimane impresso – nei millenni. Il volto di Dio esiste nonostante i nostri tentativi di bendarlo per perseguire nel Male, nel dolore che gli infliggiamo.

 

Sì è il giorno in cui voglio pensare a tutti i miei peccati. In cui ho orrore metafisico del velo che, tante, troppe volte, gli ho messo sul viso.

 

Sono l’uomo che ha bendato e torturato Gesù. Lui, per un mistero dinanzi a cui mi vengono le lacrime, mi ama lo stesso – e mi ha già salvato.

 

Chi riesce a comprendere quello che sto cercando di dire, chieda perdono, mediti. Il Venerdì Santo, giorno in cui lo Stato italiano ti manda a lavorare tranquillamente (senza che la Chiesa dica nulla), dovrebbe servire a questo: a fermarsi, in silenzio, e pensare all’espiazione.

 

Ma non usa. Il mondo moderno, sto realizzando, è proprio questo: un grande velo sopra il viso di Nostro Signore Gesù Cristo, mentre l’umanità pervertita procede a massacrarlo. A sputargli addosso, a picchiarlo, a crocifiggerlo, miliardi di volte. A tentare di ucciderlo.

 

Non sanno quello che fanno. Non sanno che Dio non muore. Dio risorge.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

Immagine di David Sivyer via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0); immagine modificata.

 

 

 

 

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