Digiuno

Gandhi e lo sciopero della fame

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La notizia sullo sciopero della fame intrapreso da alcuni pompieri veronesi ha colpito molti lettori.  A differenza di alcune figure portuali di Trieste, che hanno annunciati scioperi ad oltranza spentisi subito, i vigili del fuoco del sindacato USB del comando provinciale di Verona annunciano che andranno avanti ad oltranza.

 

Lo sciopero della fame ha origini antiche. È stato notato che il digiuno era usato come metodo per protestare contro l’ingiustizia nell’Irlanda precristiana, dove era conosciuto come Troscadh o Cealachan. La tradizione irlandese fu riattivata durante il 1981 Hunger Strike, la protesta degli attivisti irlandesi incarcerati in Inghilterra.  La protesta ebbe una eco enorme sulla politica e la storia dei rapporti tra Irlanda e Regno Unito.

 

In India, la pratica della protesta attraverso fame, in cui il manifestante digiuna alla porta di una parte colpevole (tipicamente un debitore) in una pubblica richiesta di giustizia, fu  abolita dal governo coloniale britannico nel 1861. Questo ci permette di pensare all’uso pubblico di tale pratica antecedente a quella data. Anche qui, vi fu una riattivazione della tradizione nel XX secolo.

 

L’uomo che tuttavia portò all’attenzione mondo il fenomeno dello sciopero della fame fu l’avvocato nazionalista Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948), considerato tra i padri dell’indipendenza dell’India dall’Impero di Britannia – in lingua gujarati è infatti chiamato anche Bapu, «papà». (1)

L’uomo che portò all’attenzione mondo il fenomeno dello sciopero della fame fu l’avvocato nazionalista Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948)

 

Gandhi detto pure  Mahātmā (in sanscrito «grande anima») o Gandhiji (con uso di suffisso onorifico destinato ai maestri) , dopo varie fasi di pensiero, brevettò una forma di resistenza nonviolenta – Ahiṃsā  – dapprima per i diritti dei lavoratori indiani in Sud Africa (dove viveva e esercitava la professione di legale) poi, tornato in India, contro il colonialismo di Londra.

 

Egli si concentrò sul concetto di satyagraha, parola sanscrita composta da satya («verità») e āgraha («perseveranza»). La dottrina del satyagraha prevede quindi 1) Verità nel parlare, in opposizione alla falsità, 2) ciò che è reale, in opposizione all’inesistente  e 3) il bene in opposizione al male.

 

«Il mondo poggia sulla roccia fondante di satya o verità. Asatya, che significa menzogna, significa anche inesistente, e satya o verità, significa anche ciò che è. Se la menzogna non è tanto quanto esiste, la sua vittoria è fuori discussione. E essendo la verità ciò che è, non può mai essere distrutta. Questa è la dottrina del satyagraha in poche parole».

 

Il satyagraha influenzò in seguito Martin Luther King, il movimento per i diritti civili USA, Nelson Mandela e pure il nostro Marco Pannella, che, tra un digiuno a base di cappuccini e uno in cui beveva la sua orina («frutto del mio corpo… rito laico») nominava sempre la parola sanscrita gandhiana.

 

Tra digiuno e satyagraha, Gandhi stabilì subito la connessione profonda.

 

«Il digiuno è un’arma potente nell’armeria del satyagraha. Non può essere preso da tutti. La semplice capacità fisica di prenderlo non è qualificante per questo»

«Il digiuno è un’arma potente nell’armeria del satyagraha. Non può essere preso da tutti. La semplice capacità fisica di prenderlo non è qualificante per questo. Non serve senza una fede viva in Dio. Non dovrebbe mai essere uno sforzo meccanico o una semplice limitazione. Deve venire dal profondo dell’anima. È, quindi, sempre raro».

 

Gandhi arrivò quindi a concepire il digiuno come arma politica. Egli si rese conto che i suoi scioperi della fame generavano diffusa simpatia, nonostante la censure imposta dal governo sulle notizie riguardo al fenomeno.

 

Gandhi digiunò nel 1932 per protestare contro lo schema di voto per la rappresentanza politica separata per i Dalit, cioè i paria, i fuori casta, di cui il Gandhi diceva di voler combattere la segregazione. La campagna si rivelò da subito molto efficace.

 

Il governo britannico arrivò persino ad impedire  alla stampa londinese di mostrare fotografie del suo corpo emaciato, perché avrebbe suscitato simpatia per l’uomo e per la causa

Il governo britannico arrivò persino ad impedire  alla stampa londinese di mostrare fotografie del suo corpo emaciato, perché avrebbe suscitato simpatia per l’uomo e per la causa.

 

Lo sciopero della fame di Gandhi del 1943 ebbe luogo durante una pena detentiva di due anni per il movimento anticoloniale Quit India. Il governo invitò gli esperti nutrizionisti a demistificare il suo gesto, normalizzando l’azione digiunatoria con turlupinamenti fisiologici – e anche stavolta furono proibite le foto foto.

 

Gandhi digiunò anche dopo la fine del dominio britannico in India, nel 1948.  Fu il suo ultimo digiuno. Come noto, fu assassinato da un estremista indù poco dopo: Nathuram Godse, voleva punire il Gandhi per il suo approccio debole e accomodante nei confronti del Pakistan, il nuovo stato a maggioranza islamica nato dalla divisione dell’India britannica, e già subito nemico acerrimo della destra induista.

 

L’antropologo esperto di Yoga Joseph Alter afferma che il digiuno, il vegetarianismo e la dieta di Gandhi costituivano più di un’arma politica, in quanto facevano parte dei suoi esperimenti con l’autocontrollo e una vita sana.

 

(Tre settimane fu il massimo che riuscì a raggiungere Gandhi. Facciamo notare per inciso che, in fatto di longevità digiuno, vari collaboratori e lettori di Renovatio 21 superano il Mahatma, financo quasi lo doppiano)

Gli storici considerano che Gandhi abbia attivato un digiuno politico almeno 17 volte nella sua vita. Ne citiamo solo alcuni.

 

Il primo fu a Phoenix, in Sud Africa, dove nel luglio 1913 non mangiò per 7 giorni.

 

Nel marzo 1918 digiunò per 3 giorni a Ahmedabad, in India, dove gli operai in sciopero erano avviliti e perdevano la speranza di ottenere l’aumento di cui avevano bisogno. Gandhi annunciò un digiuno indefinito fino a quando non fosse stato risolto.

 

Nel 1919 e nel 1921 intraprese, ancora Ahmedabad e a Bombay, due digiuni contro la violenza che si stava suscitando nella società a causa del tentato deragliamento di un treno e dell’arrivo del Principe del Galles in India.

 

«Il digiuno fino alla morte è l’ultima e la più potente arma nell’arsenale di Satyagraha. È una cosa sacra. Ma deve essere accettato con tutte le sue implicazioni. Non è il digiuno in sé, ma ciò che implica che conta»

Nel settembre 1924 a Delhi digiunò per 21 giorni per chiedere l’unità indù-musulmana di fronte all’avversario coloniale britannico.

 

Nel maggio 1933 altri 21 giorni a favore degli Harijan, cioè gli intoccabili: era il terzo.

 

Nel febbraio 1943 non mangiò per altri 21 giorni per protestare contro la detenzione senza capi d’accusa inflittagli dai britannici.

 

(Tre settimane fu il massimo che riuscì a raggiungere Gandhi. Facciamo notare per inciso che, in fatto di longevità digiuno, vari collaboratori e lettori di Renovatio 21 superano il Mahatma, financo quasi lo doppiano).

 

Gandhi trascorse il giorno dell’indipendenza dell’India non celebrando la fine del dominio britannico ma facendo appello alla pace tra i suoi connazionali digiunando e girando a Calcutta il 15 agosto 1947.

 

La Partition (la separazione del dominio coloniale secondo la linea religiosa che aveva creato il Pakistan islamico) aveva attanagliato il subcontinente indiano con la violenza religiosa, con un numero di morti che qualcuno calcola in 2 milioni. Le strade di Calcutta, città del Bengala occidentale al confine con il Pakistan (che allora comprendeva il bengala Orientale, poi East Pakistan, ora Bangladesh indipendente) erano piene di cadaveri. La nomea di Calcutta città infestata apocalitticamente da morti e rifugiati viene da questa grande tragedia, che Gandhi attraverso in digiuno. Il politologo americano Dennis Dalton nel suo libro Mahatma Gandhi: Nonviolent Power in Action dà credito al digiuno e alle proteste di Gandhi per aver fermato le rivolte religiose e la violenza comunitaria.

 

Va riconosciuto a Gandhi la riflessione più rigorosa, e vincente, dell’utilizzo dello sciopero della fame come strumento di lotta politica. Una lotta che non aveva paura di affrontare il momento in cui per la battaglia si paga il prezzo più estremo.

 

«Il digiuno fino alla morte è l’ultima e la più potente arma nell’arsenale di satyagraha. È una cosa sacra. Ma deve essere accettato con tutte le sue implicazioni. Non è il digiuno in sé, ma ciò che implica che conta».

 

«Il digiuno non può essere intrapreso meccanicamente. È una cosa potente ma pericolosa, se gestita in modo amatoriale. Richiede una completa auto-purificazione»

Al contempo, l’indiano era in grado di soppesarne l’aspetto mistico, fino a raggiungere inaspettati accenti cristiani.

 

«Il digiuno non può essere intrapreso meccanicamente. È una cosa potente ma pericolosa, se gestita in modo amatoriale. Richiede una completa auto-purificazione, molto più di quanto si richiede nell’affrontare la morte pensando anche alla rappresaglia. Un tale atto di sacrificio perfetto sarebbe sufficiente per il mondo intero. Tale è considerato l’esempio di Gesù».

 

 

 

 

NOTE

(1) Il personaggio Gandhi non è privo di ombre, come riconoscono moltissimi suo connazionali oggi. Per una disanima della sua figura, dei suoi lati oscuri, e dei motivi della sua grande influenza sul XX secolo, si raccomanda il libro Cristo o l’India? del fondatore di Renovatio 21 Roberto Dal Bosco. Delle controversie intorno a Gandhi si parla in uno speciale capitolo.

 

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