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Facebook, azione legale da 2,4 miliardi di dollari in Africa per contenuti di guerra
Un tribunale keniano ha stabilito che il proprietario di Facebook, Meta, potrà affrontare una causa da 2,4 miliardi di dollari nel Paese dell’Africa orientale per aver presumibilmente promosso discorsi d’odio che hanno alimentato una guerra etnica nella vicina Etiopia, ha annunciato il gruppo che ha intentato la causa.
La decisione presa giovedì dall’Alta Corte del Kenya arriva più di due anni dopo che un gruppo di ricercatori etiopi, insieme ad attivisti keniani per i diritti umani, ha avviato una causa contro il gigante tecnologico americano.
I ricorrenti sostengono che l’algoritmo di raccomandazione di Facebook ha amplificato i post violenti e ha contribuito al conflitto durato due anni nella regione settentrionale del Tigrè in Etiopia, terminato nel novembre 2022. Maereg Amare, un professore di chimica, è stato ucciso durante il conflitto dopo che il suo indirizzo di casa e post che chiedevano il suo omicidio sono stati pubblicati su Facebook, secondo suo figlio, Abrham Meareg, uno dei querelanti.
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Fisseha Tekle, ex ricercatrice di Amnesty International e ricorrente nel caso che ha pubblicato resoconti sui crimini commessi durante la guerra del Tigrè, avrebbe anche ricevuto minacce di morte sulla piattaforma Meta. L’altro ricorrente è il Katiba Institute (KI), un’organizzazione legale senza scopo di lucro con sede in Kenya.
I querelanti chiedono che Meta assuma più moderatori di contenuti in Africa, con stipendi e condizioni di lavoro migliori, e che istituisca un fondo di risarcimento di 2,4 miliardi di dollari per le vittime di odio e violenza incitati sulla piattaforma. La petizione chiede inoltre all’azienda di modificare il suo algoritmo per smettere di promuovere «l’odio virale» e scusarsi formalmente per l’omicidio del professor Meareg.
Tuttavia, Meta sostiene che i tribunali keniani non hanno giurisdizione per esaminare i casi contro di essa, poiché non è registrata come società nel Paese africano.
Accuse simili sono state mosse a Meta nel 2021, quando il colosso dei social media è stato citato in giudizio per 150 miliardi di dollari per il suo ruolo nell’incitamento alla violenza in Myanmar, che ha contribuito al genocidio dei Rohingya.
In una dichiarazione rilasciata giovedì, il KI ha affermato che l’Alta corte della capitale del Kenya, Nairobi, ha respinto le argomentazioni della società con sede negli Stati Uniti nella sua ultima sentenza.
«La sentenza dimostra che l’impatto dannoso delle politiche discriminatorie delle grandi aziende tecnologiche nel contesto africano può essere legittimamente contestato nei nostri tribunali keniani», ha affermato la direttrice esecutiva dell’istituto, Nora Mbagathi.
La sanguinosa battaglia tra le forze del Tigrè e il governo federale dell’Etiopia è stata definita il conflitto più mortale del mondo nel 2022 dal Peace Research Institute Oslo, con oltre 100.000 persone uccise. I recenti attacchi di una fazione del principale partito politico dello stato in difficoltà contro l’amministrazione provvisoria istituita nel 2023 come parte dell’accordo di Pretoria mediato dall’Unione Africana che ha posto fine alla violenza durata due anni hanno scatenato il timore di uno scoppio di un’altra guerra civile.
Come riportato da Renovatio 21, già due anni fa Amnesty International aveva accusato Facebook di diffondere l’odio in Etiopia.
Durante la campagna elettorale, il presidente della Cambogia, che correva per la rielezione, aveva temporaneamente lasciato la piattaforma dopo che un osservatorio di Facebook aveva criticato il linguaggio in uno dei suoi video e ha raccomandato di sospendere l’account del primo ministro per sei mesi.
I famigerati «standard della comunità di Facebook» non sembrano avere troppi problemi con il battaglione Azov, con lo Zelens’kyj che ringrazia per il prezioso aiuto nello «spazio informativo».
Negli anni si sono accumulate accuse e rivelazioni su Facebook, tra cui accuse di uso della piattaforma da parte del traffico sessuale, fatte sui giornali ma anche nelle audizioni della Camera USA.
Un bizzarro, goffo spot di Facebook di qualche anno fa rivelava forse cosa la piattaforma pensa davvero dei suoi utenti, visti come vecchi pupazzi destinati al macero.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia