Epidemie
COVID-19, parla l’epidemiologo Andrea Crisanti
Renovatio 21 ripubblica su gentile concessione l’intervista all’epidemiologo Andrea Crisanti apparsa sulla testata veneta Vvox. Siamo grati al direttore di Vvox Alessio Mannino, che ha intervistato il virologo che ha studiato il caso di Vo’ Euganeo, ottenendo dei risultati di importanza mondiale – il numero degli asintomatici contagiosi – che molto bizzarramente la Cina non aveva o non ha fornito.
Crisanti è, riteniamo, l’unico scienziato che oggi dovrebbe parlare, perché non ha perso le giornate su Twitter o da Fazio, ma nella Zona Rossa del primo morto di COVID-19 a effettuare test ed esperimenti, cioè a comprendere il virus. Di Crisanti abbiamo parlato altre volte criticamente, per il suo coinvolgimento nel programma di zanzare geneticamente modificate per eradicare la malaria. Sebbene non siamo d’accordo nemmeno con tutto ciò che egli proponge ora, ci sentiamo qui invece di dire che la sua, ad oggi, è l’unica voce scientifica da ascoltare riguardo alla diffusione del virus, e non solo in Italia: perché con il virus, e con il disastro sociale di una cittadina chiusa, si è scontrato subito.
Crisanti ha firmato uno studio secondo il quale, con un positivo in famiglia, il rischio di infezione è 84 volte superiore rispetto alla norma, mentre con l’isolamento, per il quale ha proposto il ricorso ad alberghi e campeggi, la capacità del virus di riprodursi scende da 2 a 0,2
Andrea Crisanti passa da una riunione all’altra, il telefono è bollente. Il professore famoso per il metodo sul campo dell’isolamento con tamponi effettuati all’intera popolazione nella cittadina di Vo’ Euganeo, è impegnatissimo nella lotta quotidiana contro il Covid-19. Assieme a una quarantina di ricercatori provenienti dall’unità di microbiologia che dirige a Padova e dal gruppo di lavoro coordinato dal Neil Ferguson dell’Imperial College di Londra, ha firmato uno studio secondo il quale, con un positivo in famiglia, il rischio di infezione è 84 volte superiore rispetto alla norma, mentre con l’isolamento, per il quale ha proposto il ricorso ad alberghi e campeggi, la capacità del virus di riprodursi scende da 2 a 0,2.
Professore, lei ha sostenuto la necessità di usare mascherina e guanti anche in casa, separandosi il più possibile anche all’interno degli ambienti domestici. Si può pensare in futuro di allentare la presa sull’attività all’aria aperta, purché senza assembramenti?
No, vorrei essere chiaro: io parlavo di come limitare i contagi all’interno delle case, in cui il pericolo di contagio è elevatissimo.
Il messaggio quindi è: le case non sono sicure.
Questo è sicuro.
Lei propone il modello della Corea del Sud in alcune aree urbane selezionate: sorveglianza attiva con mascherine e guanti per tutti, tamponi a tappeto e tracciamento elettronico con conseguente rinuncia alla privacy. Zaia però ha dichiarato che ne ha parlato con lei più volte ma, cito testualmente, «in questo caso come riesco a giustificare con i veneti che ad esempio apro Marghera e basta? È difficile da far digerire». Sembra un oggettivo impasse fra indicazioni sanitarie ed esigenze sociali e politiche. Come se ne esce?
È una questione politica che non compete a me commentare. E’ una scelta che deve prendere la politica, di cui poi deve assumersi la responsabilità.
«Parlavo di come limitare i contagi all’interno delle case, in cui il pericolo di contagio è elevatissimo»
Al Fatto Quotidiano del 4 aprile lei ha dichiarato: «Mai avuto problemi con il presidente Zaia, ma con un funzionario della Regione che non voleva farci fare i test sugli asintomatici». A chi si riferiva?
Non voglio tornare su questo punto per fare polemiche.
Il dissenso del funzionario è dovuto alla contrarietà dell’OMS, poi rientrata, ma anche dell’Istituto Superiore di Sanità all’estensione dei tamponi anche agli asintomatici, seguendo il modello Vo’?
Sì, credo che sia stato ispirato a quella posizione.
Le autorità sanitarie stanno tornando sui loro passi?
Mi sembra di sì.
E’ vero che lei ha chiamato Zaia quindici giorni dopo che lui aveva deciso di chiudere il paese in «zona rossa», facendo tamponi a tutti gli abitanti?
Vero. Ne abbiamo parlato dopo, e ho spiegato che c’era bisogno di un secondo campionamento. I tamponi sono stati fatti due volte, questo è il dato importante.
«L’incendio era anche qua. Il 21 febbraio avevamo il 3% di infetti, 89 persone, che noi abbiamo sempre detto essere un’enormità»
La Regione Veneto ha acquistato dall’Olanda una macchina, unica in Italia, in grado di processare 9 mila tamponi al giorno. Zaia però oggi ha sottolineato che non va a pieno regime perchè mancano i reagenti. Come si sblocca la situazione?
Ma non è vero. Mancano le piastre di plastica dalla California, ma le abbiamo acquistate, dobbiamo solo andare a prenderle.
Daniele Donato, direttore dell’ospedale di Padova, ha dichiarato che bisogna ringraziare lei se in Veneto sono stati comprati i prodotti chimici per fare i reagenti a mezzo milione di tamponi già a gennaio, a prezzi ridotti. Tuttavia, secondo Fabrizio Pregliasco, ricercatore della Statale di Milano, la differenza di decessi e contagi fra Lombardia e Veneto sta non tanto nel numero di tamponi fatti, ma nel fatto che in Lombardia c’è stato un incendio, in Veneto un focolaio (Corriere della Sera, 3 aprile). Qual è la sua opinione?
Ma quale focolaio! L’incendio era anche qua. Il 21 febbraio avevamo il 3% di infetti, 89 persone, che noi abbiamo sempre detto essere un’enormità. La verità è che se ne sono fregati. Sono andati a prendere l’aperitivo in piazza.
Alessio Mannino
Articolo riprodotto su gentile concessione di Vvox.
Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.