Pensiero
Cosa può aver capito Marco Travaglio dell’era Trump?
La scorsa settimana il giornalista Marco Travaglio ha pubblicato un corsivo sui primi giorni dell’amministrazione Trump. Il pezzo è circolato in tutta l’infosfera dissidente, specie nei canali dei goscisti prestati temporaneamente all’allarme pandemico – Travaglio qui sembra diventato un idolo, e pazienza se stava con il governo dei lockdown.
«Il bar di Guerre stellari che chiamiamo Amministrazione Trump fa pensare a una caricaturale pena del contrappasso per tutti gli eccessi e gli errori di chi l’ha preceduta». La citazione del celeberrimo Cantina bar del pianeta Tatooine – insieme di creature da tutto l’universo con in sottofondo un motivetto irresistibile – pare in realtà un insulto: perché mai dovremmo definire il gruppo attorno a Donald – Musk, Kennedy, la Gabbard e pure Hegseth, Homan, la Noem – come un carnevale di mostri spaziali?
Fa niente: probabilmente bisogna sentirsi superiori, per qualche ragione: del resto Travaglio era quello che sostenne il governo pandemico-piddino di Giuseppe Conte, con Di Maio, Speranza, Azzolina, Bonafede. Ben altro livello.
Travaglio vuole essere ricco di ironia ed erudizione, per cui parte la citazione dell’Alighieri: «nell’Inferno di Dante, gli ignavi che per tutta la vita ignorarono ogni ideale sono condannati post mortem a inseguire un’insegna qualunque punzecchiati da insetti e mosconi. Gli indovini che predicevano il futuro camminano a ritroso col collo torto. (…). Gli adulatori sono frustati sulle chiappe da diavoli e immersi fino alla punta dei capelli in un lago di sterco: avendo leccato culi per tutta la vita, sono dannati a sguazzare nel loro prodotto tipico in eterno» scrive il giornalista che fu con Montanelli, Scalfari, Grillo e Giuseppi.
Poi parte la spiega con ditino alzato: «ecco: Trump e la sua ciurma sembrano fatti apposta per smascherare le ipocrisie del fighettismo “democratico”, politicamente corretto, woke e finto buono».
Ecco, il senso politico, metapolitico, storico, metastorico di Trump è questo: vendetta vera contro i «fighetti democratici»: non quello che qui abbiamo definito castigo e catastrofe (la liberazione del «Donald Kraken»).
Non lo smantellamento del Deep State, che sta scomparendo sotto i nostri occhi, come visibile con USAID (il braccio di CIA e dipartimento di Stato per i lavori laidi).
Non il riattuarsi della geopolitica ottocentesca del Destino Manifesto, la dottrina Monroe che torna sotto steroidi, con riallineamento assoluto dell’assetto globale che stiamo iniziando a testimoniare. Non un evento immenso, epocale, incredibile sotto ogni punto di vista: prigionieri politici e pro-life liberati, presidenti di Paesi limitrofi (Colombia, Canada, Messico, Panama, Venezuela… Danimarca).
L’arrivo di Trump, dopo persecuzione giudiziaria e terrorista, non è punto politicamente, umanamente e –sì – spiritualmente apicale del XXI secolo.
Maddeché: il senso dell’era Trump è dare addosso ai i «fighetti democratici», i quali peraltro sostenevano materialmente il tanto amato governo Conte (il tizio che va alle manifestazioni massoniche), che con la fighetteria dem ha inflitto alla popolazione la clausura e una terapia genica sperimentale che ha massacrato quantità di cittadini.
Con la prosa che trasuda quel compiacimento che crediamo di aver già veduto in passato, il Travaglio ne ha ancora: «da più scandalo Musk fatto come una zucchina per lo sgangherato saluto romano e gli spot deliranti all’AfD che tutti i golpe fascisti sostenuti dagli USA in Europa, Centro e Sudamerica» scrive, arruolando Elone ad Acca Laurentia (cioè, bevendosi la storiella della propaganda mainstream) e disprezzando l’endorsement ad Alternativa per la Germania, che pare di capire non gli piace.
Poi ecco che parla degli «stragisti neri italiani coperti dalla CIA e dai suoi derivati». Quelli rossi no? Vabbè, sono quisquilie. (No?)
«Poi c’è il contrappasso sanitario, che ci precipita da un estremo (le censure sugli effetti avversi dei vaccini) all’altro (un no-vax alla Sanità e gli USA fuori dall’OMS»). Non riusciamo a capire a sentire se vi sia una nota negativa sull’«estremismo» di Kennedy (definito «no-vax») alla DHS e dell’uscita dall’OMS. Fare la cosa giusta è fare qualcosa di «estremo»? Il Marco non si spiega benissimo, ma deve pur far circolare il pensierino con stile.
Infine un discorso di non facile compressione sul «contrappasso sulle guerre: prima fomentate e sdoganate come acqua fresca, ora prossime alla fine a ogni costo, col trionfo del più forte e le zone d’influenza (non più solo per gli USA, anche per le altre potenze)». Anche qui, c’è qualcosa di male nel far finire le guerre, pure «ad ogni costo»? C’è qualcosa di sbagliato, innaturale, riguardo le «zone di influenza»? (L’Italia ne avrebbe diverse, ma alcune ci sono state soffiate via tutte dai nemici del nemico di Travaglio, al quale arriveremo tra un minuto)
«Se il trumpismo ha un senso, è solo come espiazione» è l’amara conclusione del giornalista.
Capito? L’era Trump non è cambiamento, «rivoluzione del senso comune» (definizione del discorso del giuramento), non è palingenesi, rigenerazione. Non è quell’insieme spettacolare di cose che stiamo vedendo, e che continueranno per chissà quanto. È un’«espiazione».
Eccerto: Trump è venuto acciocché i democratici indossino un saio di iuta e si cospargano il capo di cenere. Deve essere un’immagine che risuona in Travaglio, che magari immagina anche una simil-suora che accompagna la loro marcia con il campanello ripetendo la parola «shame», vergogna.
A questo punto, ci chiediamo con sincerità: ma di Trump, ma del mondo, cosa può capire l’uomo che ha passato la vita ad attaccare Silvio Berlusconi?
Perché, davvero, ricordiamoci di chi si parla: un uomo cha a Berlusconi e alla sua corte ha dedicato, alla pari dei giudici, inchieste infuocate, trasmissioni TV al vetriolo, libri muriatici, la vena che per lustri gli si tappava dalla rabbia e lo sdegno in una lotta senza quartiere contro il miliardario ridens di Arcore, usurpatore del candore della Repubblica Italiana, dove, eccerto, non vi è nessuno Stato profondo, nessun interesse oligarchico, nessun mostro – altro che Star Wars – a cui Silvio ha pestato i piedi materializzandosi sulla scena nel 1994.
Diciamolo brevemente a Travaglio: mentre il giornalista lo attaccava con decenni di bava alla bocca, Silvio tesseva i rapporti con la Russia tracciando i lineamenti della nuova Eurasia: dietro all’amicizia (vera) con lo zar, vi era non solo l’export delle nostre imprese che decollava verso Est, ma anche contratti di fornitura di energia a costo vantaggioso, collaborazioni nell’aerospazio, costruzione di infrastrutture fondamentali per il bicontinente. Tutte cose che – puf! – sono, dolorosamente, sparite.
Mentre Travaglio trovava ogni angolo per aggredire il più grande statista italiano del XXI secolo (avete un altro nome? Aspetto…) questo aveva plasmato un rapporto molto proficuo – anche qui: energia, infrastrutture, sicurezza con la Libia, che tornava di fatto ad essere nella nostra «zona d’influenza». Anche qui: puf.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui il dipartimento di Stato e con probabilità la CIA hanno preso di mira, da subito, Berlusconi, ottenendone la cacciata solo dopo decadi di coriacea resistenza.
Proprio così: i nemici neanche tanto occulti di Berlusconi erano quelli che oggi Travaglio vorrebbe criticare, senza che gli venga in mente che essi stavano esattamente dalla sua parte nella battaglia antiberlusconica. Mica parliamo sono di spie e complotti: i «fighetti dem» il Marco dovrebbe ricordarseli, visto che probabilmente proprio in odium Silvii era stato imbarcato su Repubblica, la testata che si vorrebbe dei fighetti, ma che in realtà è più una cosa di oligarchi e professori delle scuole medie superiori.
Non ci aspettiamo, dunque, nessuna profondità dalle analisi di Travaglio su Trump, che è un Berlusconi che ce l’ha fatta, una macchina ad alta energia sopravvissuta ad attacchi furiosi di giornali, magistrati e perfino ad attentati. La storia di Trump, che innegabilmente segue quel solco, ci porta molte oltre Silvio: la resistenza, in questo caso, è stata vinta del tutto, con l’uomo che può agire senza più preoccuparsi degli agenti dello status quo.
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Un’ultima cosa: quando nel suo pezzo Travaglio parla di trame americane in Europa, ci siamo chiesti di tutte quelle voci su certi magistrati che magari lui ha conosciuto. O anche su certi leader politici, con cui pure ha diviso qualche palco.
Quando invece la scena la condivise con Silvio, fu grande spettacolo.
Ci appelliamo a questa sequenza, soave ed immortale, per espiare l’espiabile.
Vai Silvio, spazza quella sedia. Ora Donaldo spazza tutto il mondo.
Altro che fighetti.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia