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Coronavirus in Corea, epidemia tra i locali gay?

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Le autorità sanitarie sudcoreane stanno indagando su un piccolo ma crescente focolaio di coronavirus incentrato in una manciata di locali notturni dell’area di Itaewon (un quartiere della movida di Seoul) cercando di tenere sotto controllo le infezioni mentre il paese passa a misure di restringimento sociale meno restrittive.

 

Il Korea Center for Disease Control and Prevention (KCDC) ha dichiarato venerdì che almeno 15 sono confermate come casi di virus legati ai club di Itaewon, un quartiere popolare per la nightlife sia tra i coreani sia tra gli stranieri in città.

 

Diversi media locali hanno identificato i night club coinvolti come «locali gay». Le parole «Gay» e «Itaewon corona» sono stati tra i primi termini di tendenza sul portale di ricerca web sudcoreano Naver  a seguito della notizia.
Diversi media locali hanno identificato i night club coinvolti nel focolaio come «locali gay»

 

Le prime notizie includevano l’età, il sesso, la posizione e i movimenti del primo individuo che era risultato positivo dopo aver visitato quei club, nonché il tipo di lavoro. La Corea del Sud  peraltro è nota per aver adottato immediatamente un app di tracciamento per la pandemia.

 

Per combattere l’epidemia di coronavirus, la Corea del Sud ha adottato un approccio ad alta tecnologia per la ricerca dei contatti, che può includere l’accesso ai dati sulla posizione del telefono cellulare di un paziente, filmati di telecamere a circuito chiuso, estratti conto delle carte di credito e altre informazioni.

 

La Corea del Sud ha adottato un approccio ad alta tecnologia per la ricerca dei contatti, che può includere l’accesso ai dati sulla posizione del telefono cellulare di un paziente, filmati di telecamere a circuito chiuso, estratti conto delle carte di credito e altre informazioni

 

Gli avvisi automatici sui telefoni cellulari vengono quindi inviati a chiunque sia sospettato di trovarsi nella stessa area del caso confermato, con le autorità sanitarie che spesso rivelano dettagli sul genere, l’età, il luogo e il luogo di lavoro del paziente nel tentativo di rintracciare nuovi casi.

 

Le associazioni LGBT locali hanno protestato, scrive il New York Times. L’omosessualità non è illegale in Corea del Sud e sebbene vi è una crescente accettazione pubblica delle relazioni LGBT, molti sostengono che se indicati come omosessuali possono perdere il lavoro o creare problemi in famiglia. A seguito di proteste delle associazioni omosessualiste, alcuni media hanno cambiato il titolo delle notizie che si riferivano ai «gay bar».
È tuttavia riconosciuto che alcuni locali gay ospitano attività non sempre compatibili con il distanziamento sociale: ci riferiamo al fenomeno delle dark room. Per chi non conoscesse la questione, spieghiamo con l’autorità di Wikipedia che si tratta di quelle stanze «nelle quali le persone si ritrovano a scopo prettamente sessuale in maniera anonima (…) Solitamente non è ammesso parlare, solo mugolare. Sono inoltre disponibili gratuitamente preservativi, lubrificanti e altri oggetti utili al rapporto». In pratica, luoghi per accoppiamenti con persone che nemmeno di vedono, di cui non si conoscono né l’identità né le intenzioni, né lo stato di salute.

 

Ignoriamo come i locali che dispongono di dark room si siano attrezzati per combattere il Coronavirus: forse si entra solo con guanti e mascherina, ma in realtà, essendo buio, non è detto che gli avventori possano verificarlo.

Alcuni locali gay ospitano attività non sempre compatibili con il distanziamento sociale: ci riferiamo al fenomeno delle dark room

 

Ricordiamo tuttavia la storia, riportata anche nel libro Spillover, sul «Paziente Zero» dell’AIDS, lo steward aeronautico Gaëtan Dugas, un uomo che vantava di avere avuto più di 2.5000 partner sessuali. Si diceva che Dugas frequentasse le dark room anche in fase terminale di malattia, e si palesasse  allo sventurato amante occasionale in tutto l’orrore fisico del morbo.

 

«L’uomo pagò un prezzo per i suoi spericolati appetiti. Fu colpito dal sarcoma di Kaposi e dovette affrontare la chemioterapia, soffrì di polmonite da Pneumocystis e di altre infezioni opportunistiche legate all’AIDS e morì per insufficienza renale a trentun anni. Nel poco tempo intercorso tra la diagnosi e la condizione di invalidità degli ultimi mesi, Dugas non rallentò le sue attività sessuali. Solo e disperato, sembra però che fosse passato dall’edonismo alla crudeltà; dopo aver fatto sesso con una conoscenza occasionale rimorchiata in qualche sauna (sempre secondo Shilts), accendeva la luce per mostrare le sue lesioni da sarcoma e diceva: “Ho il cancro dei gay. Sto per morire e adesso anche tu”» (David Quanmen, Spillover, Adelphi p.400).

Il paziente Zero dell’AIDS ebbe 2.500 amanti e passò «dall’edonismo alla crudeltà»

 

Altri importante figure del panorama culturale come lo scrittore Bruce Chatwin e il filosofo Michel Foucault frequentarono quegli stessi ambienti (per lo più a San Francisco) e in seguito morirono di AIDS, come il cantante dei Queen Freddie Mercury, che si disse incontrò personalmente Dugas. Foucault, filosofo assai studiato nelle università italiane e propalatore del concetto di «biopolitica», secondo alcune voci raccolte dal libro The Passion of Michel Foucault avrebbe anche lui infettato volontariamente  dei partner nelle saune di San Francisco (Jim Miller, The Passion of Michel Foucault, p. 375).

 

Vi è oggi una sottocultura omosessuale – quella dei cosiddetti «bugchasers» («cercatori del virus») e «giftgivers» («donatori del dono») – che teorizza e pratica il contagio HIV volontario

Vi è oggi una sottocultura omosessuale – quella dei cosiddetti «bugchasers» («cercatori del virus») e «giftgivers» («donatori del dono») – che teorizza e pratica il contagio HIV volontario. Un famoso programma di inchiesta della TV privata italiana fece a suo tempo un servizio nel quale emergeva come la cultura progressista dei media neo-benpensanti sia completamente sprovveduta dinanzi a fenomeni del genere.

 

La sieropositività era persino una «spunta» nelle schede di Grindr, l’app per gli incontri omosessuali.

 

 

Come abbiamo già raccontato qui su Renovatio 21, la app fu venduta dagli americani ai cinesi, ma poi, arrivato alla Casa Bianca Donalad J. Trump, Washington chiese indietro la proprietà dell’applicazione.

 

Per un curioso caso, a cercare di comprare nuovamente la app lo scorso gennaio è stata, mettendo la cifra monstre di 260 milioni di euro, una azienda italiana: si tratta di Immuni, la software house che ora sta procucendo la applicazione di tracciamento scelta dal governo per il monitoraggio del Coronavirus.

 

 

 

 

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