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Bollywood fa un film sulla maternità surrogata (e i pro-life italiani sono ebeti)

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È arrivato il primo film di Bollywood – la Hollywood di Bombay, in India – sulla maternità surrogata.

 

Come noto, l’India è stata per anni il Paese dell’utero in affitto par excellence, dove era possibile per molte coppie straniere, omosessuali e non, prodursi il bambino in provetta, impiantarlo nell’utero di una ragazza (spesso di bassa estrazione sociale, sposata con altri figli) pagando un prezzo irrisorio rispetto a quello che chiedono le «madri surrogate» in Paesi come gli Stati Uniti. L’aggiunta di una classe medica in genere rispettata faceva dell’India il paradiso della surrogacy, con intere «fabbriche» di donne ingravidate artificialmente su commissione a vivere insieme come animali da allevamento mentre prostituiscono il loro grembo agli abbienti.

 

Una nuova pellicola intitolata Mimi, prodotta da Netflix per il mercato del subcontinente, declina il commercio internazionale della maternità surrogata  secondo gli stilemi tipici della cinematografia indiana – cioè, almeno cinque balletti a film, qualunque sia il tono e il tema.  Secondo Bioedge, l’opera «tocca ancora alcune delle questioni etiche fondamentali coinvolte quando una donna affitta il suo grembo per soldi».

 

Il plot: una coppia americana in vacanza in Rajasthan viene abbagliata dalla bellezza della ballerina Mimi – che sarà al centro delle mega-coreografie dei balletti di intermezzo – e cerca di circuirla tramite un furbo tassista che convince la ragazza a firmare un contratto.

 

La pellicola ha destato polemiche perché percepita come anti-aborto.

La cosa fa adirare i genitori di Mimi, e la faccenda si complica quando un’ecografia rivela che il bimbo che porta in grembo su commissione ha la sindrome di down.

 

La coppia americana le comanda di abortire il bambino, Mimi invece decide di tenerselo.

 

Il bambino poi nascerà sano, quindi i coniugi statunitensi si offrono di prenderselo, ma la fanciulla si oppone con forza. Gli americani, quindi, si consolano trovando un altro bambino da portarsi a casa. Happy ending, cioè Hollywood ending. Cioè, Bollywood ending…

 

 

La pellicola ha destato polemiche perché percepita come anti-aborto.

 

«Mimi (…) è un tentativo di riportare indietro di decenni la società indiana, denunciando il diritto di una donna di scegliere un aborto sancito dal Medical Termination of Pregnancy Act, 1971», ha scritto Anna Vetticad su Firstpost.

Quando ci renderemo conto della mostruosità della fecondazione in vitro sarà sempre troppo tardi: perché in Italia già da un lustro il numero di embrioni distrutti dalla FIVET è superiore al numero degli aborti.

 

«Contrariamente alla falsa impressione creata dai media inglesi indiani che i soli conservatori musulmani e cristiani siano anti-choice, la verità è che i religionisti di tutte le comunità prendono questa posizione».

 

Renovatio 21 si stupisce ancora come il mondo religioso (non solo cattolico, ma soprattutto quello) guardi al dito dell’aborto senza nemmeno intravedere la luna della fecondazione artificiale: un numero immane di embrioni umani viene sacrificato nell’operazione, e ciascuno embrione scartato, ucciso, gettato via rappresenta un aborto in sé e per sé – in aggiunta all’abominio, teologicamente non ancora definito, della creazione di esseri umani in laboratorio.

 

Ogni bambino in vitro che nasce rappresenta decine di suoi fratelli che sono morti nell’operazione di creazione sintetica della vita umana. E ciò è vero soprattutto in India, dove non vi erano limiti alla creazione e all’impianto di embrioni: chi scrive ricorda siti internet che promuovevano l’impianto anche di 20 embrioni alla volta, indicando come il danaro speso in una clinica IVF inglese sarebbe buttato, essendoci lì un limite di poche unità.

 

Maggiore è il numero di embrioni impiantati , maggiore è il numero non solo di possibili parti plurigemellari, ma di morti certi , così come – argomento di cui mai si tratta – maggiore è la possibilità di incorrere nel raccapricciante fenomeno del chimerismo: un solo corpo, ma due DNA, esseri umani nati dalla fusione di due embrioni, con organi che hanno diverso codice genetico, e problemi medici allucinanti (il «fratello» assorbito può continuare a crescere per decenni dentro il corpo del «fratello ospite»). Il fenomeno delle chimere umane è, ovviamente, in aumento.

 

Tornando al film, viene da chiedere: di chi era il seme impiantato nel grembo di Mimi? Del signore americano? L’ovulo era della bella Mimi – che quindi era hitlerianamente scelta per la sua avvenenza – o era della signora americana? In ambo i casi, possibile che i «committenti» abbandonino in India un loro figlio genetico, dopo averne chiesto la morte?

 

Il mondo cattolico, quelle le sue sigle attiviste di cartapesta, da anni conduce un’operazione di distrazione di massa: induce i fedeli impegnati a ossessionarsi con l’utero in affitto, quando assai più grave è l’uso indiscriminato (e oramai accettato, se non auspicato dal neocattolicesimo) della provetta.

Quando ci renderemo conto della mostruosità della fecondazione in vitro sarà sempre troppo tardi: perché in Italia già da un lustro il numero di embrioni distrutti dalla FIVET è superiore al numero degli aborti.

 

Il mondo cattolico, quelle le sue sigle attiviste di cartapesta, da anni conduce un’operazione di distrazione di massa: induce i fedeli impegnati (i pochi rimasti) a ossessionarsi con l’utero in affitto, quando assai più grave è l’uso indiscriminato (e oramai accettato, se non auspicato dal neocattolicesimo) della provetta.

 

Come dicevamo prima, tengono la vostra attenzione sul dito, per non farvi vedere la luna che splende sull’ecatombe del 21° secolo.

 

Secondo il proverbio cinese, solo gli idioti guardano il dito: ma vediamo bene i loro beniamini schiavi dei vescovi saltellare danzanti in una coreografia di Bollywood.

 

Questo oramai, lo abbiamo capito, è il mondo pro-life italiano: un sistema di intrattenimento – davvero pessimo come lo sono praticamente tutti i film indiani.

 

 

 

 

Immagine screenshot da YouTube

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