Guerra cibernetica

Arriva l’attacco cibernetico globale. Come da programma

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Mercoledì scorso in rete è apparso un video che pare preludere al grande attacco cibernetico totale di cui da tanto tempo si parla.

 

Nel filmato caricato in rete tre gruppi di hacker prendevano l’impegno di tirare giù l’intera rete informatica del sistema bancario europeo.

 

Si tratterebbe con probabilità del più grande attacco cyber della storia. Sarebbero coinvolti, secondo quanto detto, hacker affiliati con i gruppi KillNet, Anonymous Sudan e REvil.

 

Il messaggio è recapitato in video dalla oramai classica maschera di Guy Fawkes usata da Anonymous, e da altri due individui mascherati che rappresentano gli altri due gruppi hacker.

 

 

«Noi siamo Anonymous Sudan. Oggi siamo una minaccia per tutte le banche europee. Le banche europee presto saranno testimoni del più grande attacco cibernetico nella storia recente del mondo. Preparatevi. Perché quando colpiremo, sarà troppo tardi per fare ammenda» dice il primo segmento del video. «Molte banche europee saranno bersagliate e colpite senza pietà».

 

«Il mondo è impazzito. La ragione di questo è il danaro» dice il personaggio mascherato del secondo segmento, affiliato, secondo la scritta, al gruppo REvil. «Se Dio comanda la Russia, chi comanda l’Europa? Giusto! Il sistema bancario! Niente danaro, niente problemi! REvil ha sufficiente familiarità con l’infrastruttura finanziaria europea. Ci vediamo presto…»

 

«Questo non è un attacco DDoS. I giochi sono finiti. Facciamo appello a tutti i gruppi attivi perché si coinvolgano in attività distruttive contro il sistema bancario europeo. Niente danaro, niente armi, niente regime di Kiev. Questa è la formula per la morte del nazismo e funzionerà» dice il personaggio mascherato che dovrebbe rappresentare il gruppo KillNet. «Entro 48 ore lanceremo questa compagnia globale. Niente vi salverà e questo non è un avvertimento. Vi sto solo informando. Non avete mai visto problemi del genere in precedenza. Noi siamo KillNet».

 

Ad guardare il video, quindi, si dovrebbe desumere gli hacker sarebbero da considerarsi «filo-russi» poiché il loro messaggio esortava le nazioni a smettere di dare denaro e armi all’Ucraina, citando la cifra nazista presente a Kiev.

 

Tuttavia, è ovviamente impossibile verificare la fonte, e le sue intenzioni. Attribuire ogni colpa agli «hacker russi», come noto, è uno sport praticato oramai da quasi un decennio da istituzioni e giornali occidentali.

 

Il video è circolato nella rete russa, per poi essere ripostato su Twitter dal giornalista indipendente Ian Miles Cheong.

 

Il giorno dopo è stata data notizie che varie agenzie del governo americano erano state attaccate ciberneticamente.  L’intera portata dell’attacco è rimasta poco chiara mentre la US Cybersecurity and Infrastructure Security Agency ha indagato sulla violazione. «Ci siamo» ha commentato Cheong.

 

L’incidente è solo uno dei tanti recenti attacchi informatici che hanno preso di mira varie università e governi statali statunitensi, che erano stati attribuiti ad un altro gruppo hi hacker russi chiamato CLOP.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche un gruppo di hacker cinesi chiamato Volt Typhoon poche settimane fa avrebbe attaccato infrastrutture elettroniche delle forze armate americane nel Pacifico, in un’operazione dove forse l’obiettivo finale era prendere le misure per Taiwan.

 

Martedì scorso era andato offline il colosso del cloud computing mondiale, Amazon Web Services, AWS, la divisione di data center e servizi informatici del conglomerato di Jeff Bezos.

 

Una quantità impressionanti di grandi aziende multinazionali (McDonald’s, Nike, Autodesk) e testate di spessore mondiale (NBC, Associated Press, lo stesso Washington Post, che è di proprietà di Bezos) si servono di AWS. Non solo: AWS negli anni ha vinto lucrosi appalti anche per la CIA e il Pentagono. Le cronache accennano rapidamente ad un problema tecnico.

 

Costa sta accendo?

 

Qualcuno tira fuori ancora i russi, puntando ai discorsi sempre più falchi di Medvedev. «Se procediamo dalla comprovata complicità dei Paesi occidentali nel far saltare in aria i Nord Streas, allora non abbiamo vincoli – nemmeno morali – rimasti per impedirci di distruggere le comunicazioni via cavo sul fondo dell’oceano dei nostri nemici”, ha detto pochi giorni fa l’ex presidente russo su Telegram.

 

Gli Atlantici avevano abboccato da ancora prima. A maggio il capo dell’Intelligence della NATO David Cattler aveva avvertito di un rischio crescente di un simile Scenario. «Ci sono crescenti preoccupazioni che la Russia possa prendere di mira cavi sottomarini e altre infrastrutture critiche nel tentativo di interrompere la vita occidentale, per ottenere influenza contro quelle nazioni che stanno fornendo sicurezza all’Ucraina», aveva detto il capo delle spie atlantiche ai giornalisti, omettendo bizzarramente tra i motivi della possibile ritorsione la questione Nord Stream.

 

«I russi sono più attivi di quanto li abbiamo visti da anni in questo dominio», aveva dichiarato il Cattler, notando un ritmo più elevato di pattugliamenti russi in tutto l’Atlantico e nel Mar Baltico e nel Mare del Nord. «La Russia sta mappando attivamente le infrastrutture critiche alleate sia a terra che sul fondo del mare».

 

Sappiamo che l’intera architettura materiale di Internet è effettivamente piuttosto fragile. Negli oceani vi sono circa 400 cavi sottomarini che trasportano più del 95% del traffico internet. Il Cattler quella volta aveva aggiunto un’etichetta col prezzo: «Complessivamente, trasportano ogni giorno transazioni finanziarie per un valore stimato di 10 trilioni di dollari, quindi questi cavi sono davvero un perno economico».

 

Renovatio 21 aveva scritto un articolo, mesi fa, per parlare della guerra alle grandi infrastrutture iniziata con il bombardamento terrorista del Nord Stream. La sostanza del pezzo, che ha riscosso un certo successo e qualche commento sognante («magari si tornasse agli anni Novanta!» ha scritto qualcuno) è che con l’aumento della tensione internazionale, lo shutdown di Internet sarà inevitabile.  I cavi sottomarini che costituiscono la rete possono essere rotti così come è stato distrutto il gasdotto.

 

I satelliti di Musk possono poco – perché esistono le armi ASAT, cioè le armi anti-satellite, e russi e cinesi da tempo si lamentano delle costellazioni Starlink, e concepiscono programmi per la loro eventuale distruzione.

 

«Quindi preparatevi a perdere internet. Questo sito compreso» scrivevamo.

 

Ebbene, aggiungiamo qui che, come la guerra in corso in Ucraina, non è detto che proprio un crollo di Internet non sia nei piani dei padroni del mondo.

 

Lo shock economico, per economie che oramai sono totalmente dipendenti da Internet, sarebbe esiziale per qualsiasi Paese. Tuttavia abbiamo capito che, dal megaterrorismo stile Torri Gemelle al lockdown globale COVID, il mondo moderno e i suoi pupari amano assai il trauma come strumento di direzione delle cose.

 

Potrebbe essere il turno, quindi, del terrore internazionale in versione telematica.

 

«Tutti noi sappiamo, ma dedichiamo un’attenzione non sufficiente, al pauroso scenario di un grande attacco cibernetico che porterebbe al completo stop alle forniture energetiche, ai trasporti, ai servizi ospedalieri, alla società nel suo insieme. La crisi del COVID-19 sarebbe vista come un piccolo disturbo rispetto ad un grande cyber attack» abbiamo sentito dire Klaus Schwab in un video di un anno fa.

 

 

Come avvenuto per il COVID, anche qui sono spuntate in grande spontaneità le esercitazioni del caso. Ecco le simulazioni del grande grash informatico globale. La più famosa si chiamava Cyber-Poligon.

 

Chi segue Renovatio 21, non solo riconosce il pattern, ma sa che blackout informatici localizzati, tali da bloccare intere industrie fondamentali come quelle dei trasporti, sono comparsi in sequenza negli scorsi mesi: ricorderete il blocco degli aeroporti, avvenuto nelle Filippine, in Canada, in qualche città tedesca e soprattutto negli USA, dove l’11 gennaio di quest’anno ad ogni aereo dello spazio americano è stato impedito il decollo. Non succedeva dall’11 settembre 2001.

 

L’intero sistema aeronautico americano (25 mila aerei per 2,3 milioni di persone al dì) era andato down. Dissero, anche lì, che era un problema tecnico. Qualcuno di malizioso, tuttavia, notò che in quei giorni il prezzo dei Bitcoin era salito… lo Stato USA aveva comprato criptomonete per pagare un ransomware?

 

No, non sappiamo nulla. È la cifra principale del mondo cibernetico considerato militarmente: non puoi avere certezza definitiva di chi abbia attaccato, e perché. Il digitale è il regno del false flag. Non puoi sapere cosa realmente stia accadendo: la nebbia della guerra, con la cibernetica, diventa impenetrabile.

 

Tuttavia vediamo dove questo può portare. Un’era della scarsità, anche per internet. Una riprogettazione della rete, con espunzione di ciò che non aderisce alla narrativa centrale – i canali russi sono già censurati, si può fare di più, anche le bandire gli utenti dei social o i social stessi (Telegram, ad esempio: quanto durerà?)

 

Una ridefinizione sistemica, compatibile con la vera trasformazione in atto: piattaformare gli Stati e i super-Stati, trasformare i cittadini in utenti, sostituire i diritti con «accessi» e «premi» decisi dall’alto, abolire il contante tramite il danaro programmabile – euro digitale, dollaro digitale, sterlina digitale etc – che sarà lo strumento di controllo definitivo della società, la matrice che avrà potere su ogni comportamento umano.

 

Il green pass, esteso ad ogni minuto della vostra esistenza.

 

Non è quindi improbabile che spacchino Internet – o provochino sino a farsela spaccare – per poi darvene una nuova, con tutte le caratteristiche che servono al vostro futuro, che è, come sapete, una nuova schiavitù.

 

Solve et coagula: il motto alchemico che tanto piace ai massoni, valido anche ai tempi di Internet, dove questa è oramai connessa totalmente alla vostra quotidianità.

 

Distruggeranno la nostra vita per dirci che ce ne daranno un’altra. Tuttavia, non è detto che a questo processo sopravvivremo tutti – sapete, non gli serviamo più, non in questa quantità.

 

Di fatto, quelli che arriveranno dall’altra parte della collina, ad una certa bisognerà pure che inizino a fare i conti.

 

No?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

 

 

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