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Arrestato l’ex premier Khan: anche il Pakistan tra le «democrazie» che stanno cancellando le opposizioni

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L’ex primo ministro pakistano Imran Khan è stato condannato a tre anni di carcere sabato da un tribunale di Islamabad con l’accusa di vendita illegale di regali di stato.

 

Il popolare ex capitano della nazionale di cricket è stato prontamente arrestato dalla sua abitazione a Lahore dopo che il tribunale aveva emesso la sentenza.

 

Il tribunale lo ha anche bandito dalla vita politica per cinque anni, vietando le sue attività politiche.

 

Prima di essere preso in custodia, Khan ha pubblicato un video sui social media dicendo che il suo arresto era “previsto” e invitando i suoi sostenitori a protestare pacificamente.

 

«Quando riceverete questo messaggio, sarò arrestato e sarò in prigione», comunicato il Khan. «Ho solo una richiesta, un appello per voi. Non dovete sedervi in silenzio nelle tue case. La lotta che sto facendo non è per me stesso, è per la mia nazione, per voi. Per il futuro dei vostri figli».

 

 

«Se non difendete i tuoi diritti, vivrai una vita da schiavi e gli schiavi non hanno una vita», ha aggiunto Khan, sottolineando che il verdetto di sabato è «un ulteriore passo verso l’adempimento del Piano di Londra», un termine che usa per riferirsi a un presunto complotto tra l’attuale capo dell’esercito, il generale Asim Munir e il tre volte ex primo ministro Nawaz Sharif, che è si è autoesiliato a Londra dal 2019.

 

Il partito di Khan, il Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), ha dichiarato dopo il suo arresto che è già stato presentato ricorso presso la Corte Suprema del Pakistan contro l’ordinanza del tribunale distrettuale.

 

La decisione della corte «non è stata ancora ricevuta da nessuno in tribunale, ma la polizia di Lahore era già lì per rapire il presidente del PTI. Il presidente Imran Khan non ha opposto resistenza. Ogni processo da dall’inizio della causa al processo e dal processo al sequestro è illegale», ha affermato il partito in un post sul proprio account social ufficiale.

 

Il 70enne giocatore di cricket diventato politico è stato accusato di aver abusato del suo ruolo di primo ministro dal 2018 al 2022 per acquistare e vendere doni in possesso dello stato ricevuti durante le visite all’estero per un valore di oltre 140 milioni di rupie pakistane (circa 575 mila euro).

 

Come riportato da Renovatio 21, nove mesi fa Khan, che i sostenitori chiamano «Skipper», ha subito un attentato che lo ha lasciato ferito ad una gamba. L’ex campione di cricket, che ha definito la sua defenestrazione come un «complotto americano», già era stato arrestato – evento che ha provocato caos nelle strade con scene da guerra civile nel Paese. Due anni fa il Khan al potere aveva stretto accordi con il Tehreek-i-Labbaik Pakistan (TLP), un partito islamista di estrema destra, che aveva marciato da Lahore a Islamabad occupando una delle autostrade principali del Paese

 

Una nuova elezione deve tenersi entro due mesi dal 13 agosto, quando il Parlamento pakistano dovrebbe sciogliersi.

 

Il Pakistan, che si trova in una crisi economica ed energetica con blackout massivi, fa parte della rosa di Paesi che sta cominciando a pagare in yuan il petrolio russo che acquista. L’anno scorso il suo governo aveva segnalato la volontà di trattare sia con i terroristi che con il Fondo Monetario Internazionale.

 

La settimana scorsa i terroristi dello Stato Islamico-Khorasan hanno rivendicato la responsabilità del recente attentato suicida nella provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa, che ha preso di mira una manifestazione elettorale del partito Jamiat Ulema-e-Islam (JUI), causando almeno 54 morti.

 

Il Pakistan si aggiunge alla serqua di Paesi – l’Ucraina, la Moldavia, il Senegal e per molti versi ormai anche gli USA con il mezzo millennio di carcere che potrebbero infliggere a Trump – che stanno eliminando per via giudiziaria l’opposizione politica al governo.

 

Trionfa, con evidenza nel mondo post-pandemico non solo la censura dei dissidenti, ma la loro eliminazione dal discorso pubblico.

 

Le «democrazie» si trasformano in autocrazie spietate, in meri scenari di cartapesta orditi per coprire gli oligarcati che detengono davvero il potere – o forse, semplicemente, la «democrazia» sta gettando la maschera.

 

 

 

 

 

Immagine da Twitter

 

 

 

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