Geopolitica
«TAZ»: a Seattle i rivoltosi creano una «Zona Temporaneamente Autonoma» dal governo degli USA
Come riportato da RT e dal Seattle Times, un gruppo di Antifa e anarchici a Seattle ha istituito la «Free Capitol Hill Zone» o «Capitol Hill Autonomous Zone» (CHAZ), in un’area vicino al distretto del dipartimento di polizia est ora abbandonato dalle forze dell’ordine.
Si tratta quindi dell’istituzione di un’area autonoma dal potere centrale, dal potere politico, dal potere democratico. A tutti gli effetti, si tratta di una secessione nel pieno senso della parola, una secessione nell’anarchia realizzata pragmaticamente.
Si tratta dell’istituzione di un’area autonoma dal potere centrale, dal potere politico, dal potere democratico. A tutti gli effetti, si tratta di una secessione nel pieno senso della parola, una secessione nell’anarchia realizzata pragmaticamente.
Non è chiaro il motivo per cui la polizia abbia abbandonato il distretto la sera dell’8 giugno: il capo della polizia Carmen Best lo ha descritto come un esercizio di «fiducia e de-escalation» a seguito della violenta protesta dei due giorni precedenti.
Secondo Forbes, un folto gruppo di manifestanti, guidati dal membro del consiglio comunale Kshama Sawant, ha occupato il municipio di Seattle per un’ora, chiedendo le dimissioni del sindaco Jenny Durkan.
Poco prima Black Lives Matter aveva annunciato una causa contro il Dipartimento di Polizia di Seattle, accusandolo di aver violato i diritti costituzionali dei manifestanti reprimendoli duramente. Nella zona sono stati anche visti individui armati, inclusi membri del John Brown Gun Club, una milizia di sinistra che prende anche il nome di «Redneck Revolt».
Nella zona sono stati anche visti individui armati, inclusi membri del John Brown Gun Club, una milizia di sinistra
Si sono presentati per offrire aiuto, «alcuni individui armati», ha riferito RT. Il CHAZ è stato istituito come sito permanente, con barricate che stabiliscono i suoi «confini». A coloro che entrano nella zona oltre le barricate viene detto che ora stanno lasciando gli Stati Uniti.
Il Seattle Times ha riferito che gli organizzatori stanno usando l’area liberata che circonda il recinto abbandonato per varie attività: arte di strada, un memoriale di George Floyd, uno stand medico. I volantini distribuiti chiedono la chiusura del dipartimento di polizia di Seattle, dichiarando che «la polizia sarà sempre razzista perché il capitalismo richiede disuguaglianza».
A coloro che entrano nella zona oltre le barricate viene detto che ora stanno lasciando gli Stati Uniti
Uno Stato moderno, e nemmeno uno Stato antico, può tollerare una zona che si dichiara autonoma dal potere centrale. Non solo si tratta di una secessione in senso tecnico – come ammesso dai rivoltosi, che sostengono che chi entra nella loro zona non si trova più negli USA – ma anche di un’intollerabile rischio che lo Stato non può correre nei riguardi dei cittadini della zona «liberata», ora minacciati dalla mancanza di protezione e dello Stato di diritto.
Non è improbabile che se i permette l’esperienza di Zona Temporaneamente Autonoma (TAZ, in gergo) di Seattle, altre città seguiranno.
Il concetto di TAZ fu un’idea guida del cosiddetto mondo antagonista dei Centri Sociali negli anni Novanta anche in Italia
La repressione di queste rivolte anarco-secessioniste sarà fondamentale per i mesi a venire; una repressione affogata nel sangue in un anno di elezioni presidenziali può produrre effetti nazionali ed internazionali immensi, così come la mancata repressione può avere ripercussioni politiche e sociali non trascurabili.
Il concetto di TAZ fu un’idea guida del cosiddetto mondo antagonista dei Centri Sociali negli anni Novanta anche in Italia.
Il principale ideologo delle TAZ, Hakim Bey, «è una figura controversa nei circoli anarchici a causa della sua difesa della pedofilia»
Il principale ideologo delle TAZ, i cui libri venivano diffusi nei circuiti di Centri Sociali e nei rave-techno («teknival»), è lo scrittore e poeta Hakim Bey, al secolo Peter Lamborn Wilson (1945-). La prima riga della pagina di Wikipedia inglese ricorda che Bey-Wilson «è una figura controversa nei circoli anarchici a causa della sua difesa della pedofilia».
Il teorico delle TAZ pubblicò scritti sul bollettino della NAMBLA (North American Man/Boy Love Association, «Associazione nordamericana per l’amore Uomo/ragazo), «per aver sostenuto quest’ultima organizzazione, il cui obiettivo era di legalizzare la pedofilia e la pederastia, Bey è stato fortemente attaccato da numerosi altri anarchici», scrive l’enciclopedia online.
La repressione di queste rivolte anarco-secessioniste sarà fondamentale per i mesi a venire
Il libertarismo estremo delle TAZ di Bey ora pare realizzarsi concretamente a Seattle. La città di Bill Gates e di Kurt Cobain, di Bezos e dei primi esperimenti sul vaccino per il Coronavirus, ora ha una zona al di fuori del potere statale americano. Fuori dalle legge dello Stato, e forse – considerando la fonte della teoria anarchica – fuori anche dalla legge morale umana.
Il libertarismo estremo delle TAZ di Bey ora pare realizzarsi concretamente a Seattle. Fuori dalle legge dello Stato, e forse – considerando la fonte della teoria anarchica – fuori anche dalla legge morale umana
Immagine di Alex Glidewell via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
PER APPROFONDIRE
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Geopolitica
La Casa Bianca si oppone allo Stato palestinese: documenti trapelati
Il governo degli Stati Uniti sta esercitando pressioni sui paesi del Consiglio di Sicurezza dell’ONU affinché respingano la richiesta di adesione a pieno titolo dell’Autorità Palestinese. Lo riporta il sito di giornalismo investigativo The Intercept, citando dispacci diplomatici trapelati.
La testata statunitense ha riferito mercoledì di aver ottenuto copie di cablogrammi non classificati del Dipartimento di Stato americano che contraddicono l’impegno dell’amministrazione Biden di sostenere pienamente una soluzione a due Stati.
Secondo quanto riferito, il Consiglio di Sicurezza formato da 15 membri dovrebbe votare venerdì su un progetto di risoluzione che raccomanda all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, composta da 193 membri, che «lo Stato di Palestina sia ammesso come membro delle Nazioni Unite», il che equivarrebbe al riconoscimento della statualità palestinese, a cui il potere israeliano si oppone da sempre.
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Gli Stati Uniti insistono sul fatto che la creazione di uno stato palestinese indipendente dovrebbe avvenire attraverso negoziati diretti tra Israele e Palestina, e non alle Nazioni Unite. Il presidente Joe Biden ha precedentemente affermato categoricamente che Washington sostiene una soluzione a due Stati e sta lavorando per metterla in atto il prima possibile.
Secondo quanto riferito da Intercept, i dispacci descrivono dettagliatamente le pressioni esercitate sui membri del Consiglio di Sicurezza. Secondo il rapporto, in particolare all’Ecuador viene chiesto di fare pressione su Malta, presidente di turno del Consiglio questo mese, e su altre nazioni, tra cui la Francia, affinché si oppongano al riconoscimento dell’Autorità Palestinese da parte delle Nazioni Unite.
Secondo quanto riportato, il Dipartimento di Stato USA avrebbe sottolineato che la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Stati arabi è il modo più rapido ed efficace per raggiungere uno stato duraturo e produttivo.
Un dispaccio diplomatico, datato 12 aprile, spiegava l’opposizione degli Stati Uniti al voto, citando il rischio di infiammare le tensioni, reazioni politiche e un potenziale taglio dei finanziamenti delle Nazioni Unite da parte del Congresso americano.
«Vi esortiamo pertanto a non sostenere alcuna potenziale risoluzione del Consiglio di Sicurezza che raccomandi l’ammissione della “Palestina” come Stato membro delle Nazioni Unite, qualora tale risoluzione fosse presentata al Consiglio di Sicurezza per una decisione nei prossimi giorni e settimane», si legge nel dispaccio trapelato.
L’Autorità Palestinese ha presentato domanda di adesione nel 2011, ma la richiesta non è mai stata presentata al Consiglio di Sicurezza. All’epoca, gli Stati Uniti – essendo uno dei cinque membri permanenti del Consiglio – dissero che avrebbero esercitato il loro potere di veto in caso di voto positivo.
L’anno successivo, l’ONU ha elevato lo status dello Stato di Palestina da «entità osservatore non membro» a «Stato osservatore non membro», uno status detenuto solo dallo Stato di Palestina e dalla Città Stato del Vaticano.
Gli sforzi di lobbying da parte degli Stati Uniti indicano che la Casa Bianca spera di evitare un palese «veto» sulla richiesta di adesione dei palestinesi, ha suggerito The Intercept.
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Come riportato da Renovatio 21, secondo quanto emerso nelle scorse settimane la Casa Bianca ritiene che Netanyahu stia deliberatamente «provocando» gli Stati Uniti, tuttavia questo non ferma il favore di Washington nei confronti dell’esecutivo dello Stato Ebraico, il più di destra e religiosamente estremista della storia. A inizio anno il presidente Biden aveva dichiarato solennemente «sono un sionista».
Il Washington Post il mese scorso aveva rivelato che Biden sapeva che Israele stava bombardando indiscriminatamente.
La questione non riguarda solo l’attuale amministrazione Democratica USA: ad un incontro pubblico il genero ed ex consigliere senior per la politica estera di Donald Trump Jared Kushner ha dichiarato che è «un peccato» che l’Europa non accolga più rifugiati palestinesi, suggerendo che la «ripulitura» dei palestinesi dalla Striscia di Gaza dovrebbe essere accelerata.
Come riportato da Renovatio 21, Kushner, che proviene da una famiglia di palazzinari ebrei sostenitori del Partito Democratico e pure tra i primi finanziatori di Netanyahu, avrebbe poi fatto un’agghiacciante dichiarazione sul futuro del mercato immobiliare a Gaza: «Le proprietà immobiliari sul lungomare di Gaza potrebbero essere molto preziose… se le persone si concentrassero sulla creazione di mezzi di sussistenza»
I lanci di aiuti USA nel frattempo, oltre ad aver danneggiato i pannelli solari di un complesso ospedaliero, hanno ucciso almeno cinque palestinesi a Gaza.
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Immagine di Stephen Melkisethian via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
Geopolitica
Israele attacca l’Iran
Un altro video circolante in rete mostrerebbe una base militare a Isfahan in situazione di calma e normalità.BREAKING: 🚨🇮🇷🇮🇱 The IRANIAN Revolutionary Guard Corps uploaded this video intercepting ISRAELI missiles above Iran. pic.twitter.com/wrQA3NGmWd
— Vladimir Putin (parody) (@Brics_Dollar) April 19, 2024
L’esercito israeliano ha detto all’AFP che «non abbiamo commenti in questo momento» quando gli è stato chiesto delle notizie di esplosioni e attacchi in Iran e Siria. L’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha rifiutato di confermare al Times of Israel che Israele è responsabile delle esplosioni udite a Isfahan. L’attacco è avvenuto, coincidenza, nel giorno dell’85° compleanno dell’ayatollah Khamenei. Secondo il Jerusalem Post, vi sarebbero stati attacchi anche in Siria – dove sarebbero stati colpiti siti dell’esercito siriano nei governatorati di Suwayda e Daraa – ed in Iraq, dove sarebbero state colpite le aree di Baghdad ed il governatorato di Babil. Il 1° aprile, Israele ha colpito un edificio del consolato iraniano a Damasco, in Siria, uccidendo sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). L’Iran ha risposto lanciando droni e missili kamikaze contro Israele il 13 aprile. Le forze di difesa israeliane (IDF) hanno affermato che la maggior parte dei colpi è stata intercettata con successo e ha riportato solo lievi danni a terra. Il costo della difesa per Israele ammonterebbe a circa un miliardo di dollari. Come riportato da Renovatio 21, è emerso che alcuni droni iraniani sono stati intercettati dalla contraerea saudita. Gli attacchi all’Iran, che mirano con evidenza ad un’escalation – visto che Teheran aveva specificato in varie sedi che dopo la sua rappresaglia considerava il caso chiuso – potrebbero avere per il gruppo al comando in Israele anche un preciso fine di politica interna. Secondo il politologo John Mearsheimer «gli israeliani vorrebbero portarci in una guerra con l’Iran… con Hezbollah… Penso che il punto di vista israeliano, nel profondo, sia che quanto più grande è la guerra, tanto maggiore è la possibilità di una pulizia etnica».BREAKING: Footage near military base in Isfahan, Iran, suggests that the purported Israeli air strikes may be a “wag the dog” scenario. pic.twitter.com/aJqaa70EDq
— The General (@GeneralMCNews) April 19, 2024
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Geopolitica
Putin ha parlato con il presidente iraniano
Il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha parlato con il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, in seguito all’attacco di droni e missili di Teheran contro Israele. Lo riporta RT, che cita l’apparato comunicativo del Cremlino.
Sabato l’Iran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, come «punizione» per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco, in Siria, che all’inizio del mese ha ucciso sette ufficiali di alto rango della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), cioè i pasdaran.
Raisi ha telefonato a Putin martedì pomeriggio per discutere della «situazione aggravata» nella regione e delle «misure di ritorsione» adottate da Teheran, secondo la lettura della chiamata.
Putin «ha espresso la speranza che tutte le parti mostrino ragionevole moderazione e non permettano un nuovo round di scontro, carico di conseguenze catastrofiche per l’intera regione», ha affermato il Cremlino.
Raisi «ha osservato che le azioni dell’Iran sono state forzate e di natura limitata», aggiungendo che Teheran «non era interessata a un’ulteriore escalation delle tensioni».
Entrambi i presidenti hanno convenuto che la causa principale dell’attuale conflitto è il conflitto israelo-palestinese irrisolto, chiedendo un «cessate il fuoco immediato» a Gaza, la fornitura di aiuti umanitari e la creazione di condizioni per una soluzione politica e diplomatica.
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Israele ha promesso di fornire una risposta «chiara e decisiva» all’attacco iraniano, che secondo il governo dello Stato Ebraico è stato in gran parte intercettato. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’esercito israeliano sta lavorando a un piano che sarebbe accettabile per gli Stati Uniti.
Nel frattempo, l’esercito iraniano ha descritto l’attacco come un grande successo. L’«Operazione Vera Promessa» ha dimostrato che le difese israeliane erano «più fragili di una ragnatela», ha detto martedì in una conferenza stampa il generale di brigata Kioumars Heydari, comandante delle forze di terra iraniane.
«Le forze armate iraniane hanno infranto il tabù sulle capacità del regime israeliano, hanno dimostrato la loro potenza, hanno chiarito che l’era del mordi e fuggi è finita e hanno definito nuove regole per la regione», ha detto lo Heydari, secondo l’agenzia iraniana Tasnim News.
Subito dopo l’attacco iraniano erano circolate su vari gruppi Telegram italiani affermazioni totalmente false secondo cui Putin avrebbe dichiarato subito di appoggiare totalmente l’Iran. Si trattava di una fake news vera e propria mandata in giro tranquillamente da canali e influencer della «dissidenza» rispetto a NATO, vaccini, etc.
Chiediamo ai lettori di non frequentare i propalatori di bufale (come quella, di qualche settimana fa, che annunziava solennemente che il re britannico era morto, o quella, circolata l’altro ieri, per cui a spirare stavolta sarebbe stato invece il Klaus Schwab) e concentrarsi su Renovatio 21, vera fonte limpida, veritiera ed approfondita che vuole restare anni luce distante dai drogati di dopamina schermica e dalle panzane stupidi irresponsabili.
Se Renovatio 21 è stata bandita dai principali social atlantici un motivo ci sarà – e già dovrebbe fungere, agli occhi degli accorti, da grande bollino di qualità.
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Immagine di Kremlin.ru via Wikimedia pubblicata su licenza e Creative Commons Attribution 4.0 International.
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