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Economia

Piccoli Soros crescono (e stanno con Renzi)

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Non è la prima volta che finisce sui giornali internazionali, certo.

Tuttavia, suppongo che prima mai avesse avuto un profilo personale sul New York Times.

Davide Serra, uomo dietro all’hedge fund Algebris e controverso advisor e finanziatore di Matteo Renzi, non deve aver ispirato simpatia alla giornalista, che deve aver preso male una sua battuta («mai sposare una donna americana, è il mio consiglio agli amici») e che magari quindi ha detto la sua al photo editor, il quale ha impaginato un’immagine del nostro con gli occhi chiusi.

Del resto sono quegli occhi scurissimi e aggressivi – o, in fondo, spaventati? – che mi hanno sempre colpito, oltre che quel tic pe rcui  il Gordon Gekko del PD si rumina costantemente le labbra.

«Non è uno che opina in modo gentile, o in modo particolarmente attento» morde la giornalista. e «esternare lo pone lontano dalla maggior parte dei manager di hedge fund, che tipicamente usano mezzi estensivi e costosi per non suscitare attenzione».

Sarebbe così se non si sapesse chi è il suo modello finanziario e strategico: George Soros.

Il quale, salta fuori, con probabilità ora è anche suo socio.

 

Bravado

Ai giornali piace il suo ruolo di garrulo battitore libero. Un altro personaggio così, in quel paludato mondo fatto di silenti squali cravattati (e cravattari) e di noiosi burocrati, proprio non c’è.

Quando il tesoro inglese aumentò una tassa bancaria, disse semplicente «è stupido», paventando una diminuzione del PIL londinese di 10 punti.

Le multe inflitte alle banche che avevano venduto impropriamente assicurazioni di protezione del pagamento sono per serra «estorsioni realizzate su un piano nazionale». «Non si lascia la propria banca in balìa degli sciacalli». Evidentemente, si ritiene di una razza carnivora diversa.

I giornali economici in fondo amano questo personaggio sbruffone e un po’ sprovveduto. Un giorno, entrò al 10 di Downing Street per incontrare Cameron. La cartella che teneva in mano – visibilissima ai fotografi piazzati perennemente là fuori – recava la sigla RBS: Royal Bank of Scotland. Parve dunque piuttosto chiaro di cosa andasse a parlare col premier britannico  il raider italiano. «Avrei dovuto portare dentro una copia di Playboy», ringhiò beffardo.

In più, si deve aggiungere una feature senza precedenti: ha nel taschino – una consulenza gratuita e disinteressata, certo – il premier di una nazione del G7, che il nostro foraggiò lautamente da quando partì con la sua scalata fatta di Leopolde e altri attacchi.

Tuttavia, i suoi investimenti – nota il giornale americano – corrispondono al «bravado» del titolo NYT, cioè la sfrontata esibizione di questo falso coraggio. Fino al 31 maggio, il suo fondo di finanza globale stava a + 30%, mentre il suo credit fund segnava un +5.6%, più alto degli indicatori finanziari generali.

Il fondo Algebris, gestito da Londra dove il nostro risiede da più di vent’anni, gestisce oramai un patrimonio di 2,5 miliardi di euro, che investe in operazioni finanziarie in tutto il mondo.

 

Salvato da Soros

Tuttavia, la storia del fondo non è fatta di sole rose. Nel 2011, Serra scommise nella tenuta dell’Eurozona. Sbagliò la tempistica: più si aggravava la crisi UE, e più Algebris precipitava. Il suo fondo equity perse qualcosa come il 45%, mentre il credit fund affogò in un -17%. Gli investitori scapparono.

Qualcuno, invece, vide in questo ragazzo e nei suoi giochi un qualcosa in cui credere.

Entra in scena George Soros, che lo rifornisce di 500 milioni di dollari di capitale. Abbastanza per salvare la baracca, e continuare i suoi piani di conquista.

La rivelazione è di un anonimo investitore nel fondo di Serra, il quale fa sapere di non volere commentare questa voce.

Soros ci vede giusto: con il progredire dei giorni, la situazione finanziaria europea riassesta alcune sue parti, e Serra torna con il 100% di ambo i rami del suo business.

Serra salvato da George Soros. Come il lettore può capire, considerando la discussa vicinanza di Serra a «demolition man» (come il New Yorker ha recentemente apostrofato Renzi), la cosa non è priva di importanti risvolti politici, geopolitici. E non solo.

La scommessa di Serra, oggi, è la stessa di quattro anni fa: l’Europa recupererà, grazie ad un quantitative easing che durerà un lustro. In pratica, una scommessa contro la catastrofe rappresentata dal Grexit o un’alzata troppo rapida dei tassi da parte di USA e UK.

Allo stesso tempo però, sta scommettendo contro i bond di Spagna e Portogallo.

«Ho imparato molto nel 2011. Le persone non sempre vogliono la cosa più razionale» racconta.

A Londra non tutti lo amano. Una fonte anonima racconta di una barzelletta a base di prostitute che gelò un pubblico di americani. Una specie di Berlusconi – figura che asserisce di disprezzare profondamente – che epperò non ha né la simpatia né il calore umano – o forse, quel che manca al nostro Soros in erba, è l’empatia.

 

Speculare sulla crisi

Tutto ciò non gli preclude di avere uno stuolo di contatti invidiabile.

La prossima mossa, pare che sarà la creazione di un fondo private equity che investa nella crescita dell’Italia. Di certo, a Roma il nostro ha le porte spalancate. Matteo Renzi – cui offre in apparenza consigli gratuiti, come a Cameron e perfino alle banche Centrali che cercano le sue analisi – è «l’unico politico che valga la pena di finanziare negli ultimi 20 o 30 anni». «È l’ultima speranza dell’Italia». In realtà, nel 2012 tradì brevemente il giovane fiorentino con il governo tecno-golpista del suo ex-preside bocconiano Mario Monti e Corrado Passera: «sono gli uomini giusti per il lavoro – dichiarò – sono il dream team». Nel 2013, con Matteo trombato alle primarie, dichiarò di votare Scelta Civica. Con Passera – ora con il partito sintetico «Italia Unica» ultroneo pretendente politico all’affiancamento di Renzi (per curare gli interessi della superborghesia meneghina e di qualche vescovo) –  vi è epperò un rapporto particolare: il banchiere di Intesa San Paolo lo conobbe quando Serra lavorava per Morgan Stanley. «Persona di grande qualità» esclama l’ex-ministro quando il Serra incontrò lo scandalo della vecchia guardia PD che lo definì, parole di Bersani, «bandito delle Cayman».

Tuttavia, la creazione di un fondo legato alla crescita e alle imprese potrebbe essere una mossa simil-cosmetica. L’autunno scorso, infatti, emerse la manovra di Serra sui non-performing loans, «prestiti non performanti». Un prodotto finanziario particolarmente sinistro.

Si tratta né più né meno dei crediti deteriorati delle banche,  mutui di disoccupati, prestiti che le aziende piegate dal crunch economico atlantico non sanno come ripagare a breve termine. Serra li acquista e poi riscuote dai debitori, che in molti casi si vedono arrivare l’ufficiale giudiziario a casa, con lo scopo, ovviamente, di portargliela via. Algebris investe nel processo 400 milioni di euro, e spera di guadagnare un margine del 15% annuo – il tutto sulla pelle di chi non riesca a pagare il mutuo.

Il fondo varato da Serra per la bisogna – Algebris npl fund 1- ha fatto incetta presso le banche italiane, concentrandosi sull’immobiliare abitativo.

Scoperto il giochetto, un giornalista de La7 intercetta il finanziere all’ultima Leopolda, dove il Davide va ad arringare le folle renziane. La reazione del trader è tragicamente inadeguata.

In un crescendo del suo tic labiale, incespica, si imbarazza, diviene aggresivo, prova a dire che la speculazione la sta facendo solo su immobili di lusso, poi gli scappa perfino una sbruffonata da arricchito («ho comperato ieri una villa a Portofino»), se ne va improvvisamente via masticando amaro. Impresentabile.

Ma è davvero così intelligente?

Può davvero considerarsi un erede della volpe Soros?

 

Mastro Soros

La volontà sembrerebbe essere quella. Leggendo il giornale dei bocconiani Tra i leoni, apprendiamo che Serra ha tenuto nella sua università un corso, al termine del quale regalò agli studenti un libro di George Soros, La teoria della riflessività. Si tratta del pensiero su cui si base la manipolazione del mercato ad opera di Soros: lungi dalla teoria economica della concorrenza perfetta, Soros sostiente che vi sia nei mercati una componente umana che genera indeterminatezza.

Si tratta della  non corrispondenza tra le aspettative dei partecipanti e lo stato della situazione; «La riflessività può essere interpretata come un fenomeno circolare, o un circuito di retroazione a doppio senso, tra le opinioni dei partecipanti e il reale stato». In breve, controllando le idee di coloro che partecipano al gioco economico – cioè, quello che fanno gli enti messi in piedi da Soros (con l’ausilio quasi certo della CIA) come Open Sociey Foundation – si può controllare il mercato, che nulla ha di oggettivo, è una giungla di ombre, di riflessi.

I mercati azionari, ci par dunque di capire, si basano su umori non-economici.

Di qui, la necessità, per il vero dominus finanziario, di controllare i processi della politica e della società.

Soros ha con grande probabilità stipulato un qualche patto con i servizi americani, per conto dei quali, da decenni, opera in vari Paesi (specialmente ex-sovietici) con organizzazioni che fungono da «solvente» politico e sociale; quando il popolo è distratto – droga libero, sesso pornografia, aborto, tutto l’armamentario dei «diritti individuali» – e la politica è implosa e corruttibile, ecco che plana Soros a finanziarizzare le imprese collassate, ricavbandovi guadagni miliardari.

Davide Serra non segue uno schema tanto differente. Specula sulla crisi dei mutui, e coltiva subito i rapporti con forze di rottura – come il «rottamatore» Renzi – che promettono, coperti dallo sparigliare le carte, di fare qualche favore anche alla finanza internazionale.

Il modello Soros per Serra è talmente forte da divenire forse un impulso inconscio, pavloviano.

Ad un forum di investitori britannici, alla domanda «Perché Londra è un luogo così adatto agli investimenti», il nostro risponde con tranquillo candore: «perché ha una società aperta».

Società aperta. Cioè, Open Society, il nome della creatura principale di Soros. Un product placement – non si sa quanto involontario  – dell’ente che procede alla costante erosione dello stato nazionale: abbiamo sotto gli occhi quello che sta avvenendo in Ucraina, ma lo stesso ruolino lo si vide nei primi anni Novanta in Polonia, in Iugoslavia, in Russia – dove però gli anticorpi reagirono.

E poi, vien da dire, le Cayman. Altro tocco degno del maestro Soros.

Quando scoppia la polemica nel PD, con Bersani che accusa Renzi di cattive frequentazioni e la base ex-comunista che vuole vederci chiaro sui finanziamenti alle Leopolde dell’allora  sindaco di Firenze, emerge questa storia delle isole caraibiche, dove il Fondo Algebris avrebbe sede. Serra smentisce, di ce di pagare le tasse a Londra, dove vive e lavora. Eppure, molti giornali mainstream sono d’accordo nel supporre che il controllo sul mega-fondo sia affidato ad una società con base nel Mar delle Antille.« La decisione di affidarsi alla permissiva legislazione della Cayman Islands – scrive il Corriere nel 2007, quando Algebris e The Children’s Fund (domiciliati nello stesso edificio…) tentano l’inedita scalata alla banca olandese ABN AMRO (1) –  non ha poi solo motivi di carattere fiscale, per non pagare cioè troppe tasse sulle commissioni incassate (circa l’ 1,5% sui fondi presi in gestione e il 13-16% sulle plusvalenze realizzate). Ma consente anche di alzare un muro insormontabile su finanziatori, proprietari e accordi di partnership».

Esattamente quello che fece, ancora negli anni Settata, il furbo Soros, che piazzò gli uffici del suo leggendario Quantum Fund presso le Antille Olandesi. Per evitare qualsivoglia intromissione da parte dell’FBI, il Quantum Fund mai e poi mai assunse personale con cittadinanza americana. Soros quindi operò legibus solutus da un paradiso fiscale totale, dove poteva schermare con tranquillità l’origine dei fondi che raccoglieva. Oltre alla presenza dei Rothschild, non sono pochi coloro che pensano che tra i sottoscrittori del fondo vi fossero con probabilità i cartelli della droga dei vicini paesi sudamericani (cfr. l’articolo di EFFEDIEFFE «Narcos-Soros»). La cosa non deve stupire: anche il grande fondo Bain Capital, guidato ai suoi albori dal candidato presidenziale mormone Mitt Romney, pare abbia di capitali parimenti provenienti dalla galassia della coca di Colombia, Bolivia e compagnia.

 

Rossa marmellata toscana

I giornali riportano che da quando è considerato intimo del premier i sottoscrittori del fondo sono aumentati.

Facile intuire che sia perché questo stancante lavoro di advisor – che per l’ufficialità risulta gratuito, ça va sans dire – in qualche modo è ripagato dal fortunato leader fiorentino.

Le mani di Serra sono ben sporche di marmellata toscana. Sporchissime, in realtà: e della confettura più rossa che c’è – il Monte dei Paschi di Siena, un crack da miliardi (subito riforniti, via IMU, dal suo ex-preside Monti divenuto premier) che tra i misteri conta pure un morto, in teoria suicida.

Serra, scriveva il sito comunista fiorentino Senzasoste, è «l’uomo che ha guadagnato (come da posizione ribassista rilevata dalla CONSOB) dal crollo è anche il grande sponsor di Renzi. Presidente del consiglio che si è badato bene dal rilasciare dichiarazioni in grado di alzare il titolo MPS. E anche di investire pubblicamente, con qualche richiesta di informativa resa pubblica, proprio la CONSOB del problema del titolo MPS. A fare da complice alla coppia Serra-Renzi il comune amico Lorenzo Bini Smaghi, banchiere fiorentino già membro del board della BCE, che va a giro per i talk-show a dichiarare, per depistare sulle emergenze nazionali, che non sono le banche il vero problema per l’Italia. Di sicuro le banche non sono un problema per i tre amici che, dalla crisi del sistema bancario nazionale, ci guadagnano e non poco sia pure a diverso titolo». Bini Smaghi, assieme a Serra, è fotografato raggiante lo scorso settembre – grazie, Dagospia – al matrimonio di Marco Carrai, il Gianni Letta di Renzi. Vicino a CL, ex Forza Italia, immanicato negli affari toscani prima e ora internazionali come pochi altri coetanei, Carrai è il vero tramite tra Renzi e il potentato che – disse rabbioso il cassiere PD dalemiano Ugo Sposetti – sostiene davvero l’attuale premier: «Israele e la destra americana». Due realtà incarnate da un’unica figura, quella di Michael Ledeen, che Carrai frequenta, e che fu perfino messo – lui, accusato di ogni sorta di nefandezza terroristica da generali dei servizi – tra i consigliori diplomatici del governo Renzi. Ledeen, per chiudere questa foto di gruppo, era anch’egli al matriomonio di Carrai con Bini Smaghi, Renzi e Serra.

«Insomma che cosa è Palazzo Chigi oggi? – si chiedono sconsolati i nostalgici marxisti fiorentini –  E’ il più gigantesco covo di insider trading del paese. Un covo dove si detengono informazioni riservate, ad esempio, su MPS e, guarda te il caso, dove gli amici del presidente del consiglio su MPS finiscono per guadagnarci. Una volta poi smantellato il sistema locale del credito in Toscana poi qualcuno paghera’: contribuenti e rispamiatori ad esempio».

Qualcuno pagherà, il popolo. Qualcuno incasserà, gli amici di Renzi.

Dietro al lavoretto governativo sulle Popolari, e allo strano balzo di valore della Banca Etruria.

La puzza della manovra è fortissima. Serra emana senza pudore.

Il raider genovese si presenta alla CONSOB in stampelle – un brutto incidente sciistico, dove ha casa, e non solo – per discolparsi: «Serra, che attraverso il fondo Algebris era uscito allo scoperto dichiarando di aver operato sulle popolari, ma prima che venisse annunciato il decreto, nelle scorse settimane si è anche fatto avanti con una proposta per la Popolare dell’Etruria, finita nel mirino sia per il maxirialzo di Borsa sia perchè il vicepresidente è Pierluigi Boschi, il padre del ministro delle Riforme, Maria Elena».

Insomma, nelle strani gonfiori intorno alla Banca che foraggia la famiglia della popputa quanto vacua ministra, c’è Algebris. Insider Trading di stato.

Solo pochi giorni prima, il nome di Serra spuntava nella lista Falciani: anche lui tra i 7.500 correntisti ginevrini della HSBC, la banca inglese che nell’Ottocento lucrava sull’oppio cinese e ora implicata nel riciclaggio dei narco-cartelli messicani.

 

L’Italia premia i devastatori della sua economia

George Soros nel 1992 demolì la lira con una macchinazione monetaria transnazionale che passò alla storia della mega-pirateria finaziaria.

Ne ottenne, come rammentato più volte in questo sito, non solo un lauto compenso, ma anche gli onori da parte della politica: mentre in Indonesia lo squalo ungherese è condannato a morte in contumacia per speculazioni sulla rupia, Romano Prodi nel 1997 gli procurerà una laurea honoris causa nella sua Bologna. Un discreto nugolo di  figure italiche implicate nella catastrofe finanziaria progettata da Soros faranno una carriera clamorosa: Prodi diventa Primo Ministro, Ciampi Presidente della Repubblica, Draghi assurge ai vertici della BCE.

Parallelamente, non possiamo dire che – nonostante le resistenze ostinate della povera sinistra PD – la politica e lo Stato italiano in generale stiano ponendo grosse barriere alla penetrazione del renziano allievo di Soros.

Così lo scorso maggio Serra viene fatto «Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana». La massima onoreficenza che può distribuire il Presidente della Repubblica. È la prima volta che viene data ad un italiano che vive e lavora all’estero.

Serra invia agli amici una email emozionata, con tanto di link alla pagina di wikipedia che riporta il titolo ottenuto (non sapeva neanche cosa fosse, prima). Si rivela entusiasta, ma l’acredine al personaggio non manca mai: «Volevo condividerlo con voi, i miei amici di Londra più stretti che sanno del mio impegno per l’Italia da Londra, i miei colleghi e i miei parenti che spesso non capiscono perché mi presto a insulti dai media (corrotti) italianiper il mio impegno civile.»

A premiarlo è Mattarella (il Capo di Stato con il carisma di un frigorifero), tuttavia si tratta di una sorta di «commendatore dell’oblò». L’ordine è infatti firmato, ben cinque mesi prima, dal Presidente Napolitano.

Esattamente lo stesso Napolitano che pochi giorni fa è stato premiato a Berlino dalla Henry Kissinger Academy, creatura del decano del mondialismo più assassino, che lo chiamava «il mio comunista preferito».

Che volete farci, è un mondo impazzito: l’ultimo gesto di un presidente che inneggiava ai carri sovietici di Budapest, è premiare un vampiro della più forsennata speculazione capitalista.

Il suo maestro Soros, che da Budapest era scappato, l’anno passato è divenuto socio della Coop. Serra, ai tempi dei guai di Ligresti, faceva un tifo sfrenato per l’acquisizione di Fonsai da parte di UNIPOL, il gruppo assicurativo del fu Partito Comunista Italiano.

Deve essere la fase terminale e umoristica della social-democrazia, dissolte beotamente nel gioco distruttore del grande capitale internazionale, inghiottita da ladri devastatori a cui si è prostituita per due Leopolde. La fase Parvus, dal nome del dissoluto finanziere che preparò, tra orge e affari, la Rivoluzione Russa: e proprio Parvus, ironia, è il nome di un hedge fund civetta partecipato anche da Serra.

Anche queste sono storie degne del deserto politico ed ideale che stiamo attraversando.

Tra pupazzi e vermi di ogni sorta, parassiti e profittatori si fanno largo con prepotenza, e con sempre meno pudore.

A spese di tutti noi.

 

NOTE

 

(1) Nel 2007, dopo aver tentato con boria mai vista una scalata contro la Generali del gerontocratico Antoine Bernheim (quello il cui figlio, pure banchiere, scrive saggi sul cannibalismo), Serra e il suo socio Halet guidano un tentativo capovolgere ABN AMRO attaccando il presidente Rijkman Groenink . Lo fanno assieme al fondo The Children’s Fund (TCI) di Chris Hohn, figlio di un metalmeccanico giamaicano che dice di regalare il 90% dei guadagni alle organizzazioni di charity.

Continua il Corriere: «Non è comunque un mistero, se ne trova traccia nei rari documenti ufficiali disponibili, che il TCI di Hohn sia anche il perno di un incrocio azionario con altri hedge fund. Come Parvus, creato dall’ ex Merrill Lynch Edoardo Mercadante, di cui possiede il 18%, il KDA Capital dell’ ex Fidelity David Baverez e, appunto, l’ Algebris di Serra. Negli ultimi due risulta presente con l’ 1% dei diritti di voto». La scalata venne poi portata da Royal Bank of Scotland, Santander e la seconda banca del Benelux Fortis.

Parvus – nome dell’indimenticato Izrail Lazervich Helfland, ricco rivoluzionario socialista odessita che lavorava con la Nestle e indulgeva in orge sfrenate mentre progettava l’appoggio tedesco a Lenin – è certamente un bel nome per un consorzio della crapula mondialista.

 

Roberto Dal Bosco

 

Articolo precedentemente pubblicato da EFFEDIEFFE.COM

 

 

Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

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Economia

FMI e Banca Mondiale si incontrano a Washington «all’ombra della guerra»

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I capi delle due più grandi istituzioni finanziarie mondialiste, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale si starebbero incontrando a Washington in queste ore per discutere il rischio sistemico che comporta la guerra in corso. Lo riporta il giornalista britannico Martin Wolf, che serve come principale commentatore economico del Financial Times.

 

L’articolo si intitola oscuramente «L’ombra della guerra si allunga sull’economia globale».

 

L’editorialista britannico afferma che «i politici stanno camminando sulle uova» per una serie di ragioni, incluso il fatto che «un quinto della fornitura mondiale di petrolio è passata attraverso lo Stretto di Hormuz, in fondo al Golfo, nel 2018. Questo è il punto di strozzatura della fornitura di energia globale».

 

«Una guerra tra Iran e Israele, che includa forse gli Stati Uniti, potrebbe essere devastante» avverte l’Economist. «I politici responsabili dell’economia mondiale riuniti a Washington questa settimana per le riunioni primaverili del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sono spettatori: possono solo sperare che i saggi consigli prevalgano in Medio Oriente».

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«Se il disastro fosse davvero evitato, come potrebbe essere l’economia mondiale?» si chiede la pubblicazione britannica.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo scorso dicembre il FMI pubblicò un rapporto i cui dati suggerivano come il dollaro stesse perdendo il suo dominio sull’economia mondiale.

 

Durante le usuali incontri primaverili tra FMI e Banca Mondiale dell’anno passato si era discusso, invece, delle valute digitali di Stato – le famigerate CBDC.

 

Il progetto di una CBDC globale, una valuta digitale sintetica globale controllata dalle banche centrali, ha lunga storia. Nel 2019, prima di pandemia, dedollarizzazionesuperinflazione e crash bancari che stiamo vedendo, l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ne aveva parlato all’annuale incontro dei banchieri centrali di Jackson Hole, nel Wyoming nel 2019.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’euro digitale sembra in piattaforma di lancio, e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde sembra aver ammesso che sarà usato per la sorveglianza dei cittadini.

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Immagine di World Bank Photo Collection via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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Economia

La Bank of America lancia un allarme sul petrolio a 130 dollari

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Una guerra totale tra Israele e Iran potrebbe far salire i prezzi del petrolio di 30-40 dollari al barile, hanno detto ai clienti gli esperti della Bank of America in una nota di ricerca vista dall’emittente statunitense CNBC.   Teheran e Gerusalemme Ovest si scambiano minacce da quando l’Iran ha condotto il suo primo attacco militare diretto contro lo Stato Ebraico lo scorso fine settimana, in rappresaglia per un sospetto attacco aereo israeliano sulla missione diplomatica iraniana in Siria all’inizio di questo mese.   Se le ostilità si trasformassero in un conflitto prolungato che colpisse le infrastrutture energetiche e interrompesse le forniture di greggio iraniano, il prezzo del Brent di riferimento globale potrebbe aumentare «sostanzialmente» a 130 dollari nel secondo trimestre di quest’anno, ha affermato martedì una nota di ricerca della Bank of America, secondo cui CNBC, aggiungendo che il petrolio greggio statunitense potrebbe salire a 123 dollari.   Secondo quanto riferito, lo scenario presuppone che la produzione petrolifera iraniana diminuisca fino a 1,5 milioni di barili al giorno (BPD). Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), l’Iran, membro fondatore dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), produce circa 3,2 milioni di barili di petrolio al giorno.   L’anno scorso Teheran si è classificata come la seconda maggiore fonte di crescita dell’offerta al mondo dopo gli Stati Uniti.   Se un conflitto portasse a sconvolgimenti al di fuori dell’Iran, come ad esempio la perdita del mercato di 2 milioni di barili al giorno o più, i prezzi potrebbero aumentare di 50 dollari al barile, secondo la nota. Il Brent alla fine si attesterà intorno ai 100 dollari nel 2025, mentre il benchmark statunitense West Texas Intermediate (WTI) scenderà a 93 dollari, secondo le previsioni.

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Il prezzo del greggio Brent è salito a oltre 91 dollari al barile all’inizio di questo mese dopo che Teheran ha minacciato ritorsioni contro Israele. Tuttavia, come ha sottolineato il team di economia globale della banca, nei giorni successivi allo sciopero di ritorsione i prezzi del petrolio greggio sono crollati a causa «delle limitate vittime e dei danni» che ha causato.   Gli analisti hanno avvertito che la reazione del mercato «potrebbe non riflettere le implicazioni economiche e geopolitiche a medio termine» del primo attacco militare diretto dell’Iran contro Israele.   Se una guerra fosse limitata alle due nazioni, la Bank of America vedrebbe un impatto minimo sulla crescita economica degli Stati Uniti e sulla politica monetaria della Federal Reserve. Una guerra regionale generale, tuttavia, potrebbe avere un impatto sostanziale sugli Stati Uniti, secondo l’istituzione.   I futures del Brent venivano scambiati a 86,6 dollari al barile alle 11:29 GMT sull’Intercontinental Exchange (ICE). I futures WTI venivano scambiati a 82 dollari al barile a New York, scrive RT.   Come riportato da Renovatio 21, i prezzi del petrolio sono stati scossi anche dagli attacchi ucraini alle infrastrutture petrolifere russe, una politica bellica rivendicata dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba nella richiesta di fornire ulteriori armi a Kiev. La spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe è stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.   Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Economia

Il prezzo dell’oro tocca il massimo storico

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Ieri il prezzo dell’oro ha raggiunto il massimo storico, superando i 2.400 dollari l’oncia, mentre continua la corsa globale ai beni rifugio.

 

I prezzi spot dell’oro sono aumentati del 2,4% raggiungendo il massimo storico di 2.431,52 dollari l’oncia prima di pareggiare alcuni guadagni. I prezzi sono aumentati del 4% durante la settimana e del 16% finora quest’anno, superando l’aumento del 13% registrato per tutto il 2023, scrive RT.

 

Gli analisti attribuiscono il rally alla domanda degli investitori di beni rifugio in un contesto di incertezza globale e crescenti tensioni geopolitiche in Medio Oriente.

 

Funzionari statunitensi hanno affermato venerdì che l’Iran potrebbe lanciare un massiccio attacco contro Israele entro le prossime 24-48 ore. Teheran ha minacciato una dura risposta da quando Israele ha ucciso due generali iraniani in un attacco aereo all’inizio di questo mese.

 

«I fattori positivi per l’oro superano quelli negativi. Le crescenti tensioni in Medio Oriente sono il principale motore della recente impennata dell’oro», ha detto alla Reuters Chris Gaffney, presidente dei mercati mondiali di EverBank.

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La responsabile dell’analisi di mercato di StoneX Financial Ltd., Rhona O’Connell, ha anche affermato che «il rischio geopolitico è il fulcro qui» e che in un anno con più di 50 elezioni locali e nazionali, le continue tensioni in Medio Oriente si stanno aggiungendo «altra benzina sul fuoco».

 

Alcuni esperti hanno indicato che anche i continui e forti acquisti dalla Cina hanno sostenuto i prezzi, scrive Russia Today.

 

Gli investitori tradizionalmente si rivolgono all’oro in tempi di incertezza del mercato per coprire i rischi e come riserva di valore. Per migliaia di anni, i lingotti sono stati visti come un rifugio sicuro durante periodi di instabilità economica, crisi del mercato azionario, conflitti militari e pandemie.

 

Anche altri metalli preziosi sono in crescita, con l’argento che è salito del 4% a 29,60 dollari l’oncia, il suo prezzo più alto dall’inizio del 2021. Il palladio è salito del 2,7% a 1.075 dollari e il platino è salito sopra il livello psicologico chiave di 1.000 dollari l’oncia al suo massimo in quasi quattro mesi.

 

Come riportato da Renovatio 21, alcuni analisti avevano previsto che i prezzi dell’oro avrebbero potuto nei mesi successivi raggiungere la cifra record di 2.500 dollari l’oncia, spinti dalla domanda degli investitori di beni rifugio sulla scia dell’incertezza globale e delle tensioni geopolitiche.

 

Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno la Russia aveva parlato di un ritorno all’economia basata sul valore dell’oro. Gli economisti russi Sergej Glazev e Dmitrij Mitjaev avevano sostenuto l’uso dell’oro per proteggere il sistema finanziario russo mentre «salta giù» dal sistema basato sul dollaro in bancarotta e aiuta a stabilire una nuova architettura finanziaria internazionale. La proposta era quella di una sorta di «rublo d’oro 3.0».

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