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Geopolitica

PERCHÉ NON VOGLIONO MARCELLO FOA?

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La reazione alla nomina di Marcello Foa a Presidente RAI è stata rivelatrice di tante, tantissime cose.

 

Non sappiamo nemmeno da dove iniziare, ma ci proviamo lo stesso, perché quest’isteria, questo infojamento totalmente imprevisto, ci racconta di tante trame diverse: partitiche, geopolitiche, financo industrial-sanitarie.

 

Colpisce il linciaggio a cui è stato costretto il Foa. Dalle connazionali corpulente che su Twitter schizzano felicemente bile perché si leva dall’Isvizzera, alle accuse di essere un «ebreo fascista», più le vignette di ogni sorta, come quella, anche divertente, in cui la sigla del TG1 invece che mostrare il globo terrestre mostra una terra piatta. Se non l’avete vista, non vi preoccupate: gira solo sulle «bubble» di quelli di sinistra, cioè il continuum social distinto, per algoritmo, da quello di destra: proprio così, oramai la società non ha più nessun comune denominatore mediatico, e questo è parte del problema di vera guerra ideologica civile che stiamo vivendo.

Questo infojamento totalmente imprevisto, ci racconta di tante trame diverse: partitiche, geopolitiche, financo industrial-sanitarie

 

In molti hanno dettagliato l’arrivo di una tempesta che travolgerà Salvini permettendo infine la nascita di un ircocervo renzusconiano – quello che in pratica PD e Forza Italia erano convinti di trovarsi pronto a marzo e per il quale apparecchiarono la presente legge elettorale. Forza Italia lavora già per questa prospettiva, basta vedere la copertina di Panorama di questa settimana, il giornale da cui deriva uno dei principali frondisti forzisti (l’altro è l’indicibile Gasparri) anti-Foa, Mulè: L’Italia è indemoniata. E non si capisce se Salvini sia l’esorcista o il demone stesso.

La copertina di Panorama

 

Renzi e Berlusconi, sussurravano tutti qualche mese fa, avrebbero pronto un partito, baciato in fronte da Verdini e dalla Massoneria. Tale agglutinazione del vecchio sistema dovrebbe tornare a prendersi il potere dopo lo sfascio programmato del governo pentaleghista.

 

La tempesta, dicono, arriverà anche per tramite dei giudici: uno strumento che sia il PD che Berlusconi, per opposti motivi, conoscono benissimo. Il riciclo coatto dello scandalo dei fondi alla Lega di Bossi sarebbe solo l’antipasto.

 

Giudici e scandali: io credo vi sia per la questione un algoritmo statistico. Se andate con la memoria indietro di una diecina di anni, rammenterete la primavera 2009. Berlusconi era atteso da Putin a Mosca per quella che era la più grande missione mai organizzata dall’Istituto del Commercio Estero (ICE). Io ero colà, ma Berlusconi non lo vedemmo: in quella ore vi fu il terremoto dell’Aquila, e Silvio vi si precipitò senza indugi. Tra foto che lo ritraevano triste a guardare il finestrino dell’elicottero e momenti di commozione con le vecchiette (oltre che a qualche barzelletta bestemmiosa su Rosi Bindi) la sua popolarità scattò alle stelle. Ad un anno dalla elezione a premier, Berlusconi aumentava di popolarità invece che calare.

 

Scattò il piano che tutti ricordiamo: apparve Noemi Letizia, la minorenne al cui compleanno presenziò Berlusconi, poi la escort pugliese (beccata poi con milioni di euro a Dubai), poi la moglie che si separa con una lettera su Repubblica, poi il bunga bunga, Fini che gli punta il dito contro e scinde il PDL, Ruby Rubacuori, il processo eterno per i diritti TV, e poi ancora lo spread, le risatine tra Sarkozy e la Merkel…

 

La popolarità di Berlusconi, raggiunta una certa soglia di allarme, fu abbattuta; la sua carriera politica pure.

 

Ora è la stessa fazione berlusconiana che vuole servire la stessa minestra a Matteo Salvini, reo di quello che – dati alla mano – è il più grande capolavoro di crescita partitica post-elettorale. Dal 17% delle elezioni ora Salvini avrebbe oltrepassato il 30%, praticamente un raddoppio, andandosela a giocare con il M5S come primo partito.

 

Dinanzi a questo disegno, vi state chiedendo ancora se fosse possibile mettere in testa alla RAI un uomo onesto come Foa?

 

Quando si fa un golpe, anche chi non  ha letto il manuale per il Colpo di Stato di Luttwak lo sa, bisogna sempre prendere i mezzi di informazione.

 

Alla campagna per la distruzione della candidatura Foa, quindi, hanno concorso varie ragioni – che qui analizzeremo in dettaglio – con tutti gli strumenti di cui si può disporre.

 

 

Assenza delle Wikipedia wars

 

Qualcuno ha notato che è stata «manomessa» la pagina di Wikipedia relativa al Foa, tuttavia qui voglio spiegare un paio di cose in base all’esperienza diretta. Personalmente, io non mi scandalizzo, se mai rifletto sull’immaturità mediatica del governo. Il sottoscritto negli anni ha partecipato mercenariamente a diverse campagne elettorali, producendo spot televisivi e pure qualche altra operazione.

 

In un caso di oramai qualche lustro fa, intuii il potere che stava assumendo Wikipedia, che stava divenendo silenziosamente quello che è oggi: la carta moschicida del giornalista, la fonte da cui puoi copiare impunemente, riducendoti il lavoro di ore, senza nessuna conseguenza. Feci aggiungere alla relativa pagina di Wikipedia una semplice riga che indicava una particolarità del candidato avversario che era stata ampiamente riportata dai giornali, ma che nessuno voleva tenere a mente…

 

Patatrac, quando l’avversario sciolse i dubbi e si candidò, i giornalisti si fiondarono su Wikipedia, e trovarono anche quel piccolo dato controverso (molto controverso, e documentato) che davano il giusto spin alla nostra contro-campagna.

 

Come si ottiene una cosa del genere? Beh, bisogna conoscere dei wikipediani. Ossia, i volonterosi estensori delle voci di Wikipedia, un club dove si è registrati e dove vale l’anzianità, etc. I wikipediani, un tempo creature di nerditudine inarrivabile, sono aumentati a dismisura, ed è facile comprendere come molte forze della società ne abbiano infiltrato le fila. Il Vaticano, si diceva, avrebbe i suoi agenti wikipediani. Così come una reale europea, beccata a far cambiare la voce che la riguardava.

 

Infatti, passati due anni, ritentai con un altro candidato di cui stavo seguendo i contenuti, in una elezione molto più importante: trovai un fuoco sbarramento mai visto prima, con wikipediani che accusavano i miei wikipediani di «propaganda politica», anche negli argomenti in cui questa proprio non vi era.

 

Sono le cosiddette wikipedia wars: ricordo ancora quella che io e un amico dovemmo subire quando immettemmo la voce «Bar Basso», storico locale di Milano dove venne inventato il Negroni Sbagliato.

 

Ora, è chiaro quindi che né la Lega né i 5 stelle (il partito di internet e della tecnologia, come no) hanno una forza wikipediana a loro favore, mentre il PD di pasdaran nell’enciclopedia mondiale ne ha frotte.

 

Come insegnano i veri giornalisti d’inchiesta negli USA – quelli che i giornaloni non vogliono più, come Wayne Madsen o il celebratissimo quanto emarginato Seymour Hersh – mai credere a quello che scrive Wikipedia. Mai: perché è già precotto da altri, da «uffici stampa» (una volta li chiamavano così) di potenze che hanno intelligenza e danaro per far trovare a chi si vuole informare una pappa pronta apparentemente incontrovertibile.

 

Wikipedia, essendo il primo risultato che dà Google ad ogni ricerca, è la spina dorsale della conoscenza mondiale. È vitale esservi dentro, è vitale dirigerla, tanto più che essa ha l’aria di essere «libera», «spontanea», pura come l’acqua minerale della pubblicità, che sgorga meravigliosamente dalla montagna della vita.

L’informazione mondiale è manipolata, e dall’elezione di Donald Trump l’ha capito il mondo intero.

 

Non è così. L’informazione mondiale è manipolata, e dall’elezione di Donald Trump l’ha capito il mondo intero.

 

Di questo si è pure occupato lo stesso Foa, che ha scritto per Guerrini e Associati (un editore «tecnico», specializzato in comunicazione) il libro Gli Stregoni della Notizia. Da qualche anno, egli portava avanti lo studio degli spin doctor, concetto conosciuto negli USA ma ancora un po’ oscuro in Italia…

 

Questo ci porta ad un altro motivo della violenta ripulsa per Foa.

 

 

Il controllo delle fake news di Stato

 

Non serve un genio per capire che una figura come Foa, il giornalista italiano più visibilmente smaliziato nei confronti dei sistemi di informazione moderni, avrebbe potuto cominciare a nuocere alle narrative che ogni giorno raggiungono le case degli italiani nell’unico mezzo che si salva dalla bubble dei social media (che tramite gli algoritmi  ci imprigionano nelle nostre stesse opinioni, perché sono quelle dei nostri amici…).

Vi sono delle narrative che devono essere portate avanti dalla TV di questo Stato europeo, stato a sovranità limitata.

 

Vi sono delle narrative che devono essere portate avanti dalla TV di questo Stato europeo, stato a sovranità limitata.

 

In particolare, le narrative a cui la TV di Stato deve fare da cassa di risonanza sono:

 

La Russia è cattiva. Prendete la notizia recente degli «estremisti di destra simpatizzanti della Lega» che combattono per Putin in Donbass, con la magistratura italiana ad indagare su una cosa talmente pacificamente risaputa che Le Iene ci fecero pure un servizio tre anni fa, con nomi e cognomi degli stessi che collaboravano volentieri. Si noti invece come chi va a fare il foreign fighter per lo Stato Curdo (molto celebrato dal residuale mondo dei centri sociali e dal gruppo Espresso) si becca invece interviste elogiative. Di Putin, comunque, parliamo più sotto.

 

Gli immigrati scappano dalla guerra e dobbiamo accoglierli. L’immigrazione è inarrestabile, immodificabile, è un dogma, è una legge della termodinamica: va accettata e basta. In questo, non è possibile non vedere come la RAI sia la cassa di risonanza dell’immane, ed antico, piano di invasione meticciante espressosi prima con l’assassinio di Gheddafi e poi con l’elezione di bergoglio, il vero principe dei contenuti immigrazionisti da rilanciare varie volte al giorno.

 

I vaccini fanno bene e chi li critica è un mostro. Anche su questo diremo due parole più sotto.

 

Si tratta quindi di assicurare l’incolumità sulla narrativa principale, cioè sulle fake news – perché queste sono bufale, come si diceva una volta, o meglio ancora manipolazioni politiche di alto livello – di Stato, trasmesse non solo in Italia.

 

Non è possibile accettare qualcuno che metta in pericolo la versione ufficiale; non è possibile perché, avrete visto, il potere mediatico è capace di cose incredibili come produrre bufale per coprire bufale: avete visto il caso di Josefa, la signorina africana ripescata in mare a favore di telecamera, che casualmente giaceva distrutta sul ponte della nave ONG con le unghie colorate. Quando questa stranezza è emersa, ci hanno detto che il colore alle unghie era in pratica parte del protocollo del salvataggio, e si aspettano pure che ci caschiamo.

 

Il Foa, a giudicare dai suoi interventi sul Giornale così come sul suo blog e i suoi account nei social network, può rappresentare una prima linea programmatica contro questa oscena, continua manipolazione.

 

Chi ha l’ordine di mantenere intatta la narrativa mondialista ha giocoforza i suoi agenti in tutti i partiti. Compreso il partito un tempo principe del centrodestra, Forza Italia.

Non escludiamo che il disegno fosse proprio questo: il decoupling definitivo tra la Lega e il partito oramai minoritario e nano Forza Italia.

 

 

Forza Italia in mano agli eurogangster

 

Il centrodestra, scrivono i giornali, è in frantumi. Non escludiamo che il disegno fosse proprio questo: il decoupling definitivo tra la Lega e il partito oramai minoritario e nano Forza Italia.

 

Varie indiscrezioni uscite sui giornali hanno parlato di una divisione interna: Ghedini era contrario alla barricata contro Foa, e parrebbe anche Berlusconi, che pure ha il dente avvelenato perché Salvini ha accettato di piazzare la delega alle Telecomunicazioni (tanto importante per l’impresa di famiglia) ad un grillino invece che ad un leghista («una sola cosa gli avevo chiesto!»).

 

Neppure Berlusconi, nel cui Giornale lavora da decenni il Foa oggi caporedattore degli Esteri, pareva insomma volere opporsi. E invece, colpo di scena: Forza Italia si allinea al PD, incurante del fatto che il gesto la apparenta definitivamente non con la parte politica vitale ma con il partito-zombie per antonomasia, quello rifiutato con disprezzo dal Paese e votato oramai solo da feudi nostalgico-cooperativi chiusi in un paio di regioni catatoniche.

 

Parrebbe quindi che ad organizzare il raid siano stati, scrive il Corriere, i «Tajani Boys», cioè a la cricca partitica che ruota intorno all’attuale Presidente del Parlamento Europeo, già Commissario Europeo ai Trasporti e all’Industria, in pratica da una decade nella stanza dei bottoni di Borsella (che è l’italiano di Bruxelles, consentiteci di usare questo nome, che rende bene una certa idea).

 

Tajani è un figuro particolare: trombatissimo nell’elezione a sindaco di Roma, viene immediatamente ripescato e premiato con questi mega-ruoli nel comando centrale dell’Europa Unita.

 

È possibile pensare che quando Berlusconi prima delle elezioni incontrò l’ebbro-sciatalgico Juncker (l’uomo che dal suo Lussembrugo ha permesso ad Amazon e alle altre multinazionali mondialiste di evadere tasse europee per miliardi di euro), ad organizzare l’incontro fosse stato Tajani. La meccanica della cosa era semplice, e sempre più comune nei momenti pre-elettorali italiani: i capi coalizione volano oltralpe (Bersani e Renzi dalla Merkel, li ricordate?) e si fanno benedire dai poteri extranazionali che ammorbano il nostro Paese.

 

Il significato era: nonostante tutto, visto il rischio di un governo populista, ti riprendiamo tra noi Silvio; mettiti con Renzi, va benissimo, ma non mandare al potere Salvini che è in sostanza quello che è la Le Pen in Francia, cioè la minaccia assoluta per l’Eurocrazia a trazione tedesca. In ballo c’era anche la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che può rendere Berlusconi di nuovo candidabile; cosa avvenuta comunque.

Tajani tra Berlusconi e Junker

 

 

 

Tajani è con evidenza il garante dell’euroganga in Forza Italia, e quindi non può che agire in modo totalmente contrario a quello che oramai nel gergo politico mondiale è chiamato «sovranismo».

 

Il lavoro di Foa rappresenta proprio questo: una minaccia sovranista, in quanto possibile megafono rispettabile (poco attaccabile, perfino ebreo!) delle idee nazionali ed internazionali di Salvini.

 

Il «sovranismo», nella politica estera mondiale, si traduce con un nome solo: Vladimir Vladimirovič Putin.

 

 

Putin Connection

 

Qualcuno può pensare che sia il filoputinismo il motivo di questa inconsulta reazione profonda contro Foa, inviato per anni a Mosca.

 

Foa non ha mai nascosto le sue simpatie per l’assetto geopolitico internazionale agito da Putin – ultimo garante di Westphalia, ha detto qualcuno, cioè garante della sovranità degli Stati e dei loro popoli – e in questo non è solo, né in Italia né nel mondo. Difficile per un analista di politica estera non rimanere ammirato, e infine convinto, dal disegno perseguito lucidamente e vittoriosamente dalla Russia: una geopolitica del rispetto, che tratta le altre nazioni non come colonie (vecchio vizio angloide duro a morire, per l’Occidente) e che è in grado di rovesciare lo scacchiere con giocate geniali, e piuttosto pulite, come l’annessione della Crimea o l’intervento in Siria.

 

Possibile che Forza Italia avesse in mente il filoputinismo di Foa? Io dico di no. Perché è vero che c’è il Tajani euroide e quindi di suo nemico della Russia, ma è altrettanto vero che il capo del partito che ha bocciato Foa è il miglior amico che Putin abbia fuori dalla Russia.

 

Silvio Berlusconi e Vladimir Putin, lo credo davvero, hanno un rapporto di amicizia vero e persistente. Qualcuno ricorda le elezioni del 2008? Prima ancora che il vincitore Berlusconi si insediasse, Putin si materializzò a Villa Certosa, tenuta sarda di Silvio, dove elogiò in conferenza stampa congiunta il futuro premier. Qualcuno ricorda forse anche che poco dopo, quando nel colpo di coda neocon dell’era Bush la Georgia attaccò i russi di Ossezia e Abcasia, Berlusconi si schierò apertamente con Putin. Quando in altre conferenze stampa congiunte chiesero a Putin della repressione in Cecenia (che la stampa mondiale, come il Partito Radicale, in mancanza di meglio crede ancora una spina nel fianco eterna di Mosca) rispose lo stesso Berlusconi, buttandosi interamente a difesa dell’amico Vladimir.

 

Putin e Berlusconi in Crimea

 

Qualcuno ricorda quando pochi anni fa Berlusconi volò nella Crimea ridivenuta russa a passeggiare con Vladimir? Io me lo ricordo perché ero a Kiev. La stizza del governo d’Ucraina (dove Berlusconi, come ovunque nel mondo russofono, dal Turkmenistan alla Siberia, è un mito) fu tale che vollero procedere legalmente per il fatto che Vladimir e Silvio si erano scolati una bottiglia di vecchio cherry. Anche qui, Berlusconi si mise in posizioni estreme – cioè, collidenti con quelle occidentaliste e americane – per amicizia con Vladimir, il quale, annunciò Silvio tanti anni fa, sarebbe stato docente alla sua «Università della Libertà» da aprirsi in una delle sue ville (una promessa mai materializzatasi: Silvio ne ha fatte tante, dalla volontà di non voler nemmeno più prendere un caffè con Bossi,  al film su Mandrake quando fondò la Penta Film, a Nesta al Milan che giurò di non voler acquistare davanti ai ciellini del Meeting di Rimini).

 

No, Foa non è stato punito per il suo putinismo, anche se chi segue la politica interna americana sa che a Washington è in corso un nuovo truce maccartismo in cui Vladimir è accusato di ogni nefandezza possibile.

No, Foa non è stato punito per il suo putinismo

 

La nomina di Gennaro Sangiuliano al TG1 ne è la prova: Sangiuliano, amico di Salvini, è autore di una celebrata agiografia letteraria del presidente Putin.

 

Rimane, di fatto, un ingrediente preciso che può fornire una spiegazione alla poderosa reazione avversa contro Foa.

 

 

Vaccini e simia dei

 

Da uomo in grado di discernere il sistema di fake news in cui viviamo immersi, il Foa non poteva non vedere come attorno alla storia dei vaccini vi sia uno strano spin.

C’è quindi una narrativa globale inviolabile, che comprende ovviamente anche la neochiesa, riguardo ai vaccini. Una narrativa granitica quanto sfacciata, impudica, creata schiacciando chiunque osi opporvisi.

 

Così, si lasciò andare, anche pubblicamente, a qualche pur timida rimostranza nei confronti della legge Lorenzin: 12 vaccini, disse, sono troppi, e poi l’obbligo in Svizzera non c’è, e pure tutto va bene. Notate che la Svizzera, che obbliga alla leva militare i suoi maschi una volta l’anno, è un paese che degli obblighi non ha paura.

 

Quindi, alla RAI (dove peraltro lavora come direttore delle relazioni istituzionali e internazionali l’Alessandro Picardi, marito della regina dei vaccini Beatrice Lorenzin) ci può andare un vaccino-scettico? Dico: stiamo parlando della RAI, che dai telegiornali ai programmi di inchiesta (ho in mente certe cose raccapriccianti viste su RAI3) mai ha mancato di far avere alla vaccinazione universale (vecchio pallino massonico dell’Ottocento) la sua dose di propaganda spintissima…

 

Il lettore deve capire che la questione dei vaccini è forse più grande di quello che sembra. Non è una questione nazionale, e nemmeno è una questione sanitaria.

 

Chi tocca i vaccini, anche con il minimo scetticismo, resta fulminato.

Chi tocca i vaccini, anche con il minimo scetticismo, resta fulminato.

 

È eclatante il caso di Andrew Wakefield, il primo medico che, inconsapevolmente, toccò questo cavo dell’alta tensione. Nel 1998 pubblicò con altri 12 un articolo scientifico in cui ipotizzava una correlazione tra l’autismo (misteriosa malattia che è in crescita esponenziale, senza che del fenomeno vi sia spiegazione alcuna) e il vaccino MPR, ossia quello del morbillo parotite rosolia.

 

Come noto, Wakefield negli anni fu radiato, combattuto, sputtanato in ogni modo possibile, sino a che dovette cambiare Paese. A differenza di altri colleghi, che dopo anni di angherie si defilarono, lui mantenne la sua idea.

 

È molto difficile trovare su Repubblica o sul Corriere il suo nome non accompagnato da parole come «discreditato» «truffatore» «fabbricatore di ricerche fasulle» et similia.

 

Ebbene, anche a livello della politica nostrana, accadde pochi mesi fa qualcosa di stranissimo. Wakefield era in Italia per presentare il suo documentario sull’autismo e i vaccini, come sempre ostracizzato dai grandi circuiti e sostenuto solo da famiglie di volonterosi. I giornali certo non facevano a gara per metterlo in prima pagina.

Incredibilmente, praticamente in simultanea con la presenza di Wakefield a Roma, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si sentì di attaccare pubblicamente chi osa dubitare dei vaccini

 

Incredibilmente, praticamente in simultanea con la presenza di Wakefield a Roma, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si sentì di attaccare pubblicamente chi osa dubitare dei vaccini: «Le affermazioni di chi li critica sono sconsiderate e prive di fondamento»).

 

Mattarella non fece nomi, eppure il riferimento alla giornata italiana di Wakefield (che non è un Presidente della Repubblica, è un medico radiato che vive in Texas lontano da tutto, un insetto) era incontrovertibile.

 

Mi sono chiesto: ma come è possibile che il Presidente si muova per una inezia del genere? Per una quessione di una nicchia insignificante di lunatici?

La risposta che mi sono dato è semplice: i vaccini sono per il sistema mondialista un argomento misteriosamente fondamentale, ed ogni critica – costi pure far muovere un presidente – deve essere ridotta a tabù.

 

La risposta che mi sono dato è semplice: i vaccini sono per il sistema mondialista un argomento misteriosamente fondamentale, ed ogni critica – costi pure far muovere un presidente – deve essere ridotta a tabù.

 

Non è accettabile per nessuna figura di potere dimostrare il minimo cedimento nei confronti dell’imperativo vaccinista. Potete, se volete prendere il caso del M5S e del loro ministro della Salute Giulia Grillo: votata in massa dai no-vax, la Grillo sta ribadendo, anche con insistenza, che di fatto la legge Lorenzin non la cambierà, perché i vaccini fanno bene, e le coperture vaccinali sono necessarie alla Nazione e al progresso.

 

Come noto, l’Italia divenne capofila di un programma mondiale di ultra-vaccinazione obbligatoria dopo che Beatrice Lorenzin, uomo del partito dei vescovi NCD e ministro della Salute, firmò l’impegno dell’Italia in tal senso a Washington, esattamente nove mesi prima (settembre 2014) di dare alla luce una coppia di gemelli eterozigoti (può sembrarvi gossip, non lo è; certo, può sembrarvi un’altra storia, ma solo fino ad un certo punto).

 

Né seguì la legge di obbligo vaccinale più draconiana del pianeta, con programmatica esclusione dei bambini non vaccinati dagli asili. La neochiesa diede una mano, rassicurando con un comunicato congiunto della CEI, della SIR e della Pontificia Accademia per la Vita (cioè, Mons. Paglia) che i vaccini, pure contenendo cellule derivate da aborti, erano da farsi, perché quei sacrifici di bambini necessari per produrre i vaccini erano episodi lontani del tempo…

 

Lo stesso Bergoglio, durante un suo viaggio in Messico si è prestato al lancio di una campagna per la vaccinazione della polio.

 

 

C’è quindi una narrativa globale inviolabile, che comprende ovviamente anche la neochiesa, riguardo ai vaccini. Una narrativa granitica quanto sfacciata, impudica, creata schiacciando chiunque osi opporvisi.

 

Foa, fors’anche inconsapevole, ha avuto la bella idea di farlo, e la modifica di Wikipedia riguardava anche questo.

 

Per chi non crede ancora nella centralità del dogma vaccinale per il potere mondialista, possiamo solo indicare superficialmente  i miliardi versati per i programmi di immunizzazione mondiale dal Bill Gates o dalla Rockefeller Foundation – sì, la dinastia ultra-antinatalista Rockefeller, quella osannata pubblicamente sempre dal nostro caro presidente Mattarella…

 

 

Per chi ha la Fede, indichiamo invece, un po’ più in profondità, la natura di un piano che vuole inoculare a tutta la popolazione planetaria pezzi di aborto; o, in altri casi, pezzi di scimmia (in particolare la scimmia verde giapponese) con i quali si fanno, per esempio, il vaccino esavalente Glaxo oggi obbligatorio in Italia.

 

Secondo alcuni l’SV40, un virus contenuto in tali cellule di scimmia usate nei vaccini, scoperto solo anni dopo le inoculazioni, potrebbe essere alla base della comparsa AIDS. Altri ricercatori lo ritengono come una possibile causa degli aumenti di cancro: si tratta di un virus silente nelle scimmie, ma attivo una volta trasferitosi dalle scimmie all’uomo.

 

Ma teorie a parte, iniettare in un essere umano un pezzo di scimmia è, oltre che un calembour biologico darwiniano, un lucido scherzo della simia dei.

… un piano che vuole inoculare a tutta la popolazione planetaria pezzi di aborto; o, in altri casi, pezzi di scimmia (in particolare la scimmia verde giapponese) con i quali si fanno, per esempio, il vaccino esavalente Glaxo oggi obbligatorio in Italia.

 

Il lettore che mi ha seguito fin qui ha capito che ci troviamo dinanzi ad un sistema, politico, geopolitico, economico, metafisico, preternaturale che non può tollerare alcun disturbo, nemmeno da una mosca come Foa.

 

Ha ragione Panorama. L’Italia è indemoniata.

 

Tuttavia, pensiamo a quello che fece il Signore, quando incontrò l’«uomo della città posseduto dai demòni» (Luca 8, 30-32)

«“Qual è il tuo nome?”. Rispose: “Legione”, perché molti demòni erano entrati in lui. E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell’abisso. Vi era là un numeroso branco di porci che pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci; ed egli lo permise. I demòni uscirono dall’uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e annegò».

 

I demòni, e i loro porci, annegheranno.

 

 

Roberto Dal Bosco

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Armenia, Pasqua di tensioni tra la Chiesa e il primo ministro

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Pašinyan «predica» utilizzando salmi e immagini del Vangelo per difendere la sua politica. Karekin II e il clero gli rispondono che il suo compito è «guarire le ferite del suo popolo che subito gravi perdite». Dietro allo scontro la ferita della rinuncia al Nagorno Karabakh mentre è tornata a salire la tensione con l’Azerbaigian.

 

Molti sacerdoti della Chiesa Apostolica armena hanno reagito alla «predica politica» del primo ministro Nikol Pašinyan durante le celebrazioni della Pasqua, che in armeno è chiamata Zurb Zatik, «Liberazione dalla Sofferenza» e si celebra secondo il calendario gregoriano, in quanto gli armeni non hanno seguito gli ortodossi di tradizione bizantina nel difendere il «vecchio calendario». Lo stesso patriarca, il katholikos Karekin II, nel suo messaggio pasquale ha ammonito i fedeli che «ci troviamo in tempi difficili e pieni di imprevisti per l’Armenia».

 

La sera della vigilia pasquale, il Čragalujts, Pašinyan ha incontrato i membri del suo partito dell’Accordo Civile nella città di Artašat, centro amministrativo della regione di Ararat, e nel corso della discussione ha fatto ricorso inaspettatamente al Discorso della Montagna di Gesù, dichiarando che «la dimensione politica delle fondamenta del cristianesimo per me non è meno importante di quella spirituale», in quanto «Gesù Cristo non è soltanto il Figlio di Dio, ma anche la figura ideale del leader».

 

Il Signore era anche «un grandissimo rivoluzionario, che per un certo periodo è andato in giro per il mondo, cambiandolo profondamente con le sue azioni». Il premier ha quindi paragonato il destino del Salvatore con quello del suo partito, che diverse volte «era morto» e poi «è sempre risorto», vedendo un particolare significato nelle parole del Vangelo che proclamano «Beati i perseguitati per la giustizia, poiché di essi è il Regno dei Cieli», parole «che mi hanno sempre dato tanta forza nei momenti più difficili», ha concluso Pašinyan.

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In questi giorni diversi membri del clero hanno commentato queste parole, a cominciare dal capo del servizio informativo della curia di Ečmjadzin, la sede patriarcale, il sacerdote Esai Artenyan, che ha ricordato come «Cristo fu crocifisso proprio perché non voleva essere un rivoluzionario, e prendere il potere… nel Vangelo ci sono molte testimonianze del fatto che gli ebrei volessero che Gesù diventasse re, ma il Signore si è rifiutato, speravano che li guidasse alla rivolta contro l’imperatore e li liberasse dal giogo dei romani, ma Cristo è il re celeste, come Lui stesso più volte ha spiegato». Padre Esai non ha fatto il nome di Pašinyan, ma i suoi follower sulle reti social hanno capito a chi si riferiva.

 

Del resto non è la prima polemica che nasce tra il premier e la Chiesa armena, e Pašinyan ha perfino rifiutato di partecipare alle celebrazioni pasquali, limitandosi a rivolgere un saluto a tutti i credenti in un breve video pubblicato nei giorni precedenti, in cui invece di congratularsi ha letto il testo del salmo 25, «Signore, fammi giustizia, nell’integrità ho camminato». Il premier ha cominciato nei suoi discorsi a citare passi di letteratura religiosa da alcuni anni, senza spiegarne le motivazioni.

 

Mentre Pašinyan teneva il suo «discorso della montagna» ai piedi dell’Ararat, il patriarca Karekin II guidava i fedeli nel corteo della veglia con le lampade accese al cero pasquale, e anche nella sua omelia non sono mancati i commenti alla situazione politica, esortando i fedeli a «dare la giusta risposta alle realtà che ci affliggono, il compito del nostro popolo è quello di superare le divisioni interne e l’incomunicabilità, guarire le ferite del popolo che ha sofferto di gravi perdite, rafforzando la Patria unendo le forze». La grazia del Risorto deve fare in modo che «non ci riduciamo a essere una nazione debole e sconsolata, che mette in pericolo il futuro e l’indipendenza della nostra Patria».

 

La Chiesa ha sempre criticato l’arrendevolezza del governo sulla questione dell’Artsakh, la «terra dei nostri guerrieri e dei nostri martiri», ha ricordato il katholikos.

 

Nel Nagorno Karabakh stanno «le tombe scavate per noi malvagi, ma la tomba di chi vince l’angoscia della morte insieme a Cristo è vuota, noi crediamo nella risurrezione». Le parole del capo dei cristiani armeni sono risuonate come un appello a riprendere la lotta contro il nemico, proprio nei giorni in cui si rinnovano i conflitti di frontiera con l’Azerbaigian. In Armenia i politici parlano con i versi dei salmi e dei vangeli, mentre i preti usano la lingua della politica e della guerra.

 

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Il ministro ucraino ricatta i Paesi occidentali sul petrolio: stop agli attacchi alle infrastrutture russe se forniscono più armi

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Kiev sarebbe più ricettiva agli appelli degli Stati Uniti e di altri alleati occidentali affinché smettano di attaccare le infrastrutture petrolifere russe se questi benefattori aumentassero i loro aiuti militari, ha rivelato il massimo diplomatico ucraino. Lo riporta il sito russo RT.   Il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha offerto il suo suggerimento su come l’Occidente può guadagnarsi la cooperazione dell’Ucraina in un’intervista trasmessa domenica. I suoi commenti sono arrivati ​​dopo che il capo della difesa statunitense Lloyd Austin ha espresso preoccupazione all’inizio di questo mese sul fatto che gli attacchi di droni ucraini contro raffinerie e impianti di stoccaggio del petrolio russi potrebbero innescare un aumento dei prezzi internazionali dell’energia.   «Devi pensare nei tuoi interessi», ha detto Kuleba a Rada TV. «Se i tuoi partner dicono: “Ti stiamo dando sette batterie Patriot, ma abbiamo una richiesta per te, per favore non fare questo e quello”, allora c’è qualcosa di cui parlare».   D’altro canto, se in relazione alla richiesta si propone «niente batterie, niente pacchetto di aiuti», allora non c’è niente di cui parlare. «Ognuno sopravvive come può», ha aggiunto.   Le spedizioni di armi da Washington, il principale sponsor dello sforzo bellico di Kiev contro la Russia, sono rallentate negli ultimi mesi a causa delle lotte del presidente americano Joe Biden per ottenere l’approvazione del Congresso per ulteriori aiuti all’Ucraina. I legislatori repubblicani si sono opposti alla richiesta di Biden di oltre 60 miliardi di dollari di spesa aggiuntiva dopo che la sua amministrazione ha bruciato 113 miliardi di dollari di finanziamenti precedentemente approvati.

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I donatori di Kiev avevano precedentemente espresso preoccupazione per il fatto che gli attacchi ucraini in profondità nel territorio russo con le armi fornite dai membri della NATO potessero innescare un conflitto più ampio. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato all’inizio di questo mese che Washington non sostiene gli attacchi ucraini sul suolo russo. Austin in seguito ha suggeritoche Kiev avrebbe potuto concentrarsi su obiettivi militari perché colpire le infrastrutture petrolifere avrebbe potuto turbare i mercati internazionali.   Kuleba ha detto di aver ascoltato Austin, ma non vede alcuna «relazione di causa ed effetto in questa faccenda». Quando una raffineria in Russia «esplode», i problemi che ne derivano si limitano al mercato energetico russo, ha affermato, e in ogni caso l’Ucraina deve dare priorità ai propri interessi.   Gli attacchi di droni ucraini hanno preso di mira diverse raffinerie russe dall’inizio di marzo. Il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ha suggerito che Kiev ha fatto ricorso al terrorismo e ad attacchi a lungo raggio contro la popolazione civile russa nel tentativo di «convincere i suoi sponsor occidentali della sua capacità di resistere all’esercito russo». E questo nonostante il fatto che Kiev non abbia ottenuto alcun successo sul campo di battaglia, ha aggiunto il ministro.   Il petrolio è particolarmente sensibile alle questioni geopolitiche: nelle ultime ore, quando si erano sparse le voci di un imminente attacco iraniano ad Israele, il prezzo del greggio era schizzato sopra i 90 dollari al barile. La tensione nel Golfo di Aden, con gli Houthi che attaccano perfino le petroliere russe, contribuisce al caos sui mercati, con Goldman Sachs che ritiene che i prezzi potrebbero perfino raddoppiare. Dopo i forti aumenti registrati nel terzo trimestre 2023, Fitch Rating ha comunicato che il petrolio potrebbe toccare i 120 dollari.   Come riportato da Renovatio 21, la spinta al prezzo del petrolio data dagli attacchi dei droni ucraini su raffinerie russe + stata evidente quattro settimane fa, con il costo dell’oro nero salito a 86 dollari dopo un episodio.   Il Kuleba, già «bambino di Chernobyl» divenuto italofono grazie a soggiorni in Irpinia, non è nuovo ad uscite non troppo diplomatiche. L’anno passato agli europei che osavano contestare la controffensiva (poi fallita) di Kiev, disse di «stare zitti».   Il mese scorso, in occasione delle parole del papa sul negoziato, il ministro di Kiev (lui) alluse ad una passata collaborazione tra Vaticano e nazisti.   Come riportato da Renovatio 21, sempre lo scorso settembre il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock in visita a Kiev è stata di fatto insultata dall’omologo ucraino Kuleba che in conferenza stampa congiunta ha accusato la Germania di perdere tempo con le decisioni sulle forniture militari, quando il risultato, disse con boria piuttosto rara in diplomazia, è noto a tutti: la Germania alla fine darà i missili all’Ucraina, ha assicurato Kuleba guardando la Baerbock, pure nota per il suo filoucrainismo totale (ha dichiarato che sosterrà Kiev anche contro il volere degli elettori, e che l’Europa è in guerra con la Russia).

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr    
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Geopolitica

Difendersi dall’attacco iraniano è costato ad Israele più di un miliardo di dollari

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Israele ha affermato di essere riuscito a difendersi dagli attacchi di droni e missili di sabato da parte dell’Iran, ma secondo quanto riferito tale sforzo è avvenuto a caro prezzo.

 

Gli intercettori, il carburante e gli altri materiali spesi per abbattere i veicoli aerei senza pilota (UAV) e i missili iraniani costano dai 4 ai 5 miliardi di shekel (da 1,06 a 1,33 miliardi di dollari), ha detto domenica il generale di brigata israeliano Reem Aminoach alla testata locale Ynet News. La stima includerebbe solo i costi diretti di Israele, senza contare il considerevole armamento utilizzato dagli Stati Uniti e da altri alleati per aiutarlo a difendersi dall’attacco.

 

Aminoach, ex consigliere finanziario del capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane (IDF), ha affermato che Gerusalemme ovest ha utilizzato munizioni come i missili intercettori Arrow e David’s Sling, che hanno costi unitari rispettivamente di circa 3,5 milioni di dollari e 1 milione di dollari. Ha incluso anche le spese di sortita per gli aerei da combattimento che hanno svolto la maggior parte del lavoro di abbattimento dei droni iraniani.

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Il generale si è lamentato del fatto che per l’Iran sarebbe stato molto più economico lanciare l’attacco piuttosto che per Israele difendersi.

 

«L’attacco è costato all’Iran meno del 10% di quanto è costato a noi difenderci», ha detto a Ynet. «In futuro – tra un anno, due o cinque anni – potranno effettuare 50 attacchi di questo tipo. E diciamo che se il budget netto dell’IDF nel 2023 fosse di 60 miliardi di shekel, con meno del doppio, non ci sarebbe alcuna possibilità di raggiungere una situazione in cui possiamo mantenere gli importi richiesti».

 

L’IDF ha affermato che il 99% degli oltre 300 droni e missili kamikaze lanciati dal territorio iraniano sono stati intercettati con successo. Tutti gli UAV e i missili da crociera sono stati abbattuti, ha detto il portavoce militare Daniel Hagari, mentre alcuni missili balistici hanno attraversato le difese israeliane.

 

Quei proiettili sono caduti sulla base aerea di Nevatim e hanno causato «solo lievi danni alle infrastrutture», ha detto il portavoce. Ha aggiunto che i droni lanciati dai militanti sostenuti dall’Iran in Iraq e Yemen non sono riusciti a raggiungere il territorio israeliano. L’unica vittima è stata una ferita da scheggia ad una bambina israeliana beduina di 10 anni che è stata colpita mentre dormiva nella sua casa nel sud di Israele.

 

L’attacco di sabato è arrivato in risposta all’attacco aereo del 1° aprile che ha ucciso sette ufficiali militari iraniani, tra cui due comandanti anziani, al consolato di Teheran a Damasco. Israele ha promesso di «esigere un prezzo» dall’Iran per la sua reazione.

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Immagine di Oren Rozen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International  

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