Epidemie
Mascherine (e falsità) per tutti
Le varie indicazioni legate alla prevenzione che si sono susseguite durante tutta l’emergenza COVID hanno subito continue variazioni, facendo certamente emergere la totale incapacità, da parte dei vari organismi di natura teoricamente scientifica — in primis l’OMS —, di comprendere il problema nei suoi punti chiave.
È indubbio che per i virus sconosciuti occorra tempo, ma è altrettanto indubbio che quando ancora non si conosceva il virus — e bene bene, a dire il vero, non lo si conosce nemmeno ora — la superficialità, nei vari apparati scientifici, ha fatto da padrona.
La superficialità, nei vari apparati scientifici, ha fatto da padrona
Tutti ricorderete il mitico spot del Ministero della Salute datato 7 febbraio e avente come testimonial il grandissimo Michele Mirabella, il quale ci suggeriva semplicemente, seduto ad un tavolo di un ristorante cinese, di lavarci bene le mani perché «non è affatto facile il contagio».
Ipse dixit: dopo un paio di settimane saremmo diventati il Paese con più contagi al mondo, guinness mantenuto fino a non molto tempo fa.
Senza contare le altre misure di prevenzione che ci sono state poi indicate, prima fra tutte per ordine di imposizione la clausura domestica senza poter uscire nemmeno di casa (mentre i casi di contagio continuavano ad aumentare all’interno di ospedali e di RSA senza che nessuno abbia mosso un dito in anticipo per evitarlo), arriviamo ad oggi, dove l’uso della mascherina è diventato irrinunciabile, una di quelle cose per cui rischi di essere guardato male, malissimo, se non ti sottometti al diktat afatto passare come irrinunziabile per il solito culto al Moloch sanitario del «bene della collettività».
Il mitico spot del Ministero della Salute datato 7 febbraio e avente come testimonial il grandissimo Michele Mirabella, «non è affatto facile il contagio»: dopo un paio di settimane saremmo diventati il Paese con più contagi al mondo
Seppur il governo non abbia ancora esteso l’obbligo a tutto il Paese, le Regioni più colpite e che hanno deciso di riaprire prima le hanno rese obbligatorie a tutta la popolazione, finanche all’aperto con benevola e caritatevole eccezione per chi sta praticando jogging — ci sarebbe mancato anche quello, cioè l’asfissiamento obbligatorio per mandato regionale.
Uno dei problemi però, aldilà degli obblighi, è la cultura della mascherina che si è associata all’obbligo di portarla: possiamo tranquillamente vedere persone, giovani, camminare da soli, andare in bicicletta da soli portando la mascherina.
Per non parlare di tutti coloro i quali, guidando senza alcun passeggero a bordo la propria automobile, indossano accuratamente la propria asfissiante maschera, chissà per quante ore al giorno e senza mai eventualmente cambiarla. Posta l’assurdità del portare la mascherina quando si è in macchina da soli, o a passeggio da soli e, ancor peggio, in bicicletta, dove il fisico e il respiro stesso è già di per sé sottoposto ad uno sforzo, in linea generale, a nostro avviso, il problema è ampliato a tutto ciò che obbliga l’utilizzo della mascherina all’aperto.
Che beneficio potrebbe avere una mascherina per chi cammina all’aria aperta senza entrare a contatto con posti particolarmente affollati o all’interno di spazi chiusi?
Aldilà del fatto che le linee guida e gli RCT (studio controllato randomizzato) ad oggi disponibili non convincano del tutto sulla bontà di tale pratica, è la stessa logica a doverci fare riflettere: che beneficio potrebbe avere una mascherina per chi cammina all’aria aperta senza entrare a contatto con posti particolarmente affollati o all’interno di spazi chiusi?
La logica, ma anche un banale ragionamento, suggerirebbero una sola risposta: a nulla. Il virus non si contrae camminando, non si contrae respirando aria allaperto, senza entrare a contatto con folle di persone.
A questo proposito vale la pena prendere in considerazione un interessante studio redatto dal Dott. Alberto Donzelli, Medico, Specialista in Igiene e Medicina Preventiva del Comitato Scientifico Fondazione Allineare Sanità e Salute, dal titolo «Mascherine “chirurgiche” in comunità/all’aperto: prove di efficacia e sicurezza inadeguate».
«Considerare le prove più valide oggi disponibili, rivalutando l’obbligo di mascherine all’aperto (…) ma evitando anche per quanto possibile usi prolungati/continuativi di mascherine all’aperto»
Nell’abstract il contributo del Dott. Donzelli mette subito in chiaro come l’obiettivo sia quello «di considerare le prove più valide oggi disponibili, rivalutando l’obbligo di mascherine all’aperto e le sue estensioni (senza discutere l’importanza di mantenere le distanze fisiche) e di attenersi alle raccomandazioni di usarle in spazi chiusi o se la distanza fisica non si può mantenere in modo continuativo, ma evitando anche per quanto possibile usi prolungati/continuativi di mascherine all’aperto».
Più avanti l’articolo si domanda: «a chi per primo spetta l’onere della prova (di efficacia e soprattutto di sicurezza)?», perché «qualcuno potrebbe obiettare che le prove per non obbligare all’uso di mascherine non sono ancora definitive».
«È vero — prosegue — ma quelle per obbligare lo sono ancor meno. E comunque un principio cui non si dovrebbe derogare è che a chi emette una raccomandazione, o addirittura l’obbligo di una misura universale e intrusiva, spetta l’onere di esibire le prove di sicurezza (primum non nocere!), oltre che di efficacia, e di stabilire il beneficio netto complessivo per la comunità, prima di obbligare ad adottarla».
Esistono prove di efficacia per quanto concerne un uso prolungato delle mascherine all’aperto e per quei soggetti non addetti a mansioni sanitarie esposte a rischio infezione?
Proprio in queste ultime considerazioni crediamo si racchiuda il nocciolo essenziale della questione, o per meglio dire di ogni questione, in particolare sanitaria o legata alla sfera della salute personale, che implichi un obbligo: esistono prove di efficacia, di beneficio netto complessivo per la comunità e sopratutto di sicurezza per la popolazione, per quanto concerne un uso prolungato delle mascherine all’aperto e per quei soggetti non addetti a mansioni sanitarie esposte a rischio infezione?
La risposta rimane la stessa.
Ci sono invece evidenze riconosciute rispetto ai danni che le mascherine possono generare, come riporta anche attraverso una serie di punti l’articolo del Dott. Donzelli:
«I due potenziali effetti collaterali già riconosciuti sono:
- dare un falso senso di sicurezza e indurre a ridurre l’aderenza ad altre misure di controllo delle infezioni, tra cui il distanziamento sociale e il lavaggio delle mani. Ci sono prove da eleganti RCT15,16 dell’importanza di questo effetto, noto come “effetto licenza” o “risk compensation”.
- Uso inappropriato. Le persone devono: non toccare le maschere indossate, cambiare di frequente quelle monouso o lavarle con regolarità, smaltirle in modo corretto e adottare altre misure di gestione, altrimenti i rischi propri e altrui possono aumentare».
«Dare un falso senso di sicurezza e indurre a ridurre l’aderenza ad altre misure di controllo delle infezioni»
«Altri potenziali effetti collaterali da considerare sono:
- Qualità e volume della conversazione tra chi indossa maschere sono molto compromessi e le persone possono inconsciamente avvicinarsi. Si può essere addestrati a contrastare l’effetto n. 1, ma può essere più difficile affrontare questo effetto.
- Indossare una maschera facciale fa entrare l’aria espirata negli occhi. Ciò genera una sensazione spiacevole e un impulso a toccare gli occhi. Se le mani sono contaminate, ci si infetta.
- Le maschere facciali rendono la respirazione più difficile. Per persone con BPCO risultano spesso insopportabili perché peggiorano la dispnea.
«Le persone devono: non toccare le maschere indossate, cambiare di frequente quelle monouso (…) altrimenti i rischi propri e altrui possono aumentare»
Inoltre una frazione di CO2 espirata è inalata a ogni ciclo respiratorio. I due fenomeni aumentano frequenza e profondità della respirazione, quindi la quantità d’aria inalata ed espirata. Ciò può peggiorare la diffusione di Covid-19 se le persone infette che indossano maschere diffondono più aria contaminata. Ciò può anche peggiorare le condizioni cliniche degli infetti se la respirazione potenziata spinge la carica virale in profondità nei polmoni.
NB: per riflettere su questo importante rischio si rimanda al primo modello teorico immunologico del Covid-19, che ne riporta una descrizione chiara e convincente.
«Ciò può anche peggiorare le condizioni cliniche degli infetti se la respirazione potenziata spinge la carica virale in profondità nei polmoni»
Gli effetti descritti al punto precedente sono amplificati se le maschere facciali sono molto contaminate (v. punto 2)
- Impedire la trasmissione interpersonale è la chiave per limitare l’epidemia, ma finora si è dato poco peso a quanto accade dopo che una trasmissione è avvenuta, quando l’immunità innata svolge un ruolo cruciale. Lo scopo principale della risposta immunitaria innata è prevenire subito la diffusione e il movimento di agenti patogeni estranei in tutto il corpo».
Questi punti sarebbero già sufficienti per convincerci che non abbiamo certezze sull’efficacia dell’obbligo della mascherina, ma di contro abbiamo invece ottime ragioni per credere che esso costituisca un danno per la salute, esponendoci inoltre irragionevolmente al rischio contagio.
«La mascherina obbliga a un continuo ricircolo respiratorio dei propri virus, aggiungendo la resistenza all’esalazione, con concreto rischio di spingere in profondità negli alveoli una carica virale elevata, che poteva essere sconfitta dalle difese innate se avesse impattato solo con le vie respiratorie superiori»
Ma l’articolo aggiunge un’osservazione importantissima:
«I soggetti infetti inconsapevoli, in cui l’emissione di virus è massima nei due giorni precedenti i sintomi (che potrebbero anche non comparire affatto!), la mascherina obbliga a un continuo ricircolo respiratorio dei propri virus, aggiungendo la resistenza all’esalazione, con concreto rischio di spingere in profondità negli alveoli una carica virale elevata, che poteva essere sconfitta dalle difese innate se avesse impattato solo con le vie respiratorie superiori, ben fornite di IgA e IgG già pronte. Per chi indossasse le mascherine molto a lungo, questo sembra un rischio assolutamente sproporzionato rispetto a quello di un contatto occasionale in strada/fuori casa con altri, che all’aperto in base alle attuali conoscenze non ha possibilità logiche né riconosciute di causare infezione».
Grazie al Cielo c’è ancora qualche medico molto preparato e qualche organismo ancora in grado di opporsi a chi presume di poter impartire lezioni e obblighi alla cieca, senza fornire evidenze e certezza di sicurezza rispetto a ciò che si impone in oltraggio alle abitudini e alle attitudini della popolazione.
Forse però non tutto è perduto, e anche la gente inizia a svegliarsi: lo abbiamo visto a Salerno, dove la polizia municipale ha rischiato il pubblico linciaggio per aver fermato una signora senza mascherina, con la rivolta della popolazione, come si può vedere nel video rilanciato anche dall’Agenzia DIRE.
Il COVID-19 è stato un virus certamente letale e contagioso, il virus dell’Ignoranza sopra al quale verranno cavalcate tutte le future campagne di «informazione» e «prevenzione» farà un danno tre volte maggiore
Ancora però non è sufficiente.
Pochi giorni fa, affacciandomi alla finestra di casa, ho visto un ragazzino che avrà avuto quindici anni in sella alla sua bicicletta, sotto il sole e in salita, con una bella mascherina “chirurgica” verde posizionata impeccabilmente su naso e bocca.
Mi ha fatto tanta pena.
Così come mi fa pena vedere quei tanti, troppi poveri bambini girare a piedi con i genitori rigorosamente mascherati.
Il virus dell’Ignoranza sopra al quale verranno cavalcate tutte le future campagne di «informazione» e «prevenzione» farà un danno tre volte maggiore e, soprattutto, incentrato su effetti collaterali a lungo termine, ovvero su tutte le generazioni che cresceranno sotto ad una maschera di falsità e di paure che difficilmente riusciranno a togliersi di dosso
Se il COVID-19 è stato un virus certamente letale e contagioso, il virus dell’Ignoranza sopra al quale verranno cavalcate tutte le future campagne di «informazione» e «prevenzione» farà un danno tre volte maggiore e, soprattutto, incentrato su effetti collaterali a lungo termine, ovvero su tutte le generazioni che cresceranno sotto ad una maschera di falsità e di paure che difficilmente riusciranno a togliersi di dosso.
O, quando lo faranno, se non interveniamo ora, sarà probabilmente troppo tardi.
Cristiano Lugli
Epidemie
Uomo muore di peste bubbonica: piaghe antiche stanno tornando?
Funzionari dello Stato americano del Nuovo Messico hanno confermato che un cittadino è morto di peste. Si tratterebbe del primo caso di decesso da peste da diversi anni. Lo riporta la testata americano Epoch Times.
Il Dipartimento della Salute del Nuovo Messico, in una dichiarazione, ha affermato che un uomo nella contea di Lincoln «ha ceduto alla peste» L’uomo, che non è stato identificato, era stato ricoverato in ospedale prima della sua morte, hanno detto i funzionari.
Hanno inoltre notato che si tratta del primo caso umano di peste nel Nuovo Messico dal 2021 e anche della prima morte dal 2020, secondo la dichiarazione. Non sono stati forniti altri dettagli, compreso il modo in cui la malattia si è diffusa all’uomo.
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L’agenzia sta ora svolgendo attività di sensibilizzazione nella contea di Lincoln, mentre «nella comunità verrà condotta anche una valutazione ambientale per individuare i rischi in corso», continua la dichiarazione. «Questo tragico incidente serve a ricordare chiaramente la minaccia rappresentata da questa antica malattia e sottolinea la necessità di una maggiore consapevolezza della comunità e di misure proattive per prevenirne la diffusione», ha affermato l’agenzia.
La peste, conosciuta come morte nera o peste bubbonica, è una malattia batterica che può diffondersi attraverso il contatto con animali infetti come roditori, animali domestici o animali selvatici.
La dichiarazione del Dipartimento della Salute del Nuovo Mexico afferma che gli animali domestici come cani e gatti che vagano e cacciano possono riportare pulci infette nelle case e mettere a rischio i residenti.
I funzionari hanno avvertito le persone della zona di «evitare roditori e conigli malati o morti, i loro nidi e tane» e di «impedire agli animali domestici di vagare e cacciare».
«Parlate con il vostro veterinario dell’utilizzo di un prodotto appropriato per il controllo delle pulci sui vostri animali domestici poiché non tutti i prodotti sono sicuri per gatti, cani o bambini» e «fate esaminare prontamente gli animali malati da un veterinario», ha aggiunto.
«Consulta il tuo medico per qualsiasi malattia inspiegabile che comporti una febbre improvvisa e grave, continua la dichiarazione, aggiungendo che la gente del posto dovrebbe pulire le aree intorno alla loro casa che potrebbero ospitare roditori come cataste di legna, mucchi di spazzatura, vecchi veicoli e mucchi di cespugli.
La peste, diffusa dal batterio Yersinia pestis, ha causato la morte di circa centinaia di milioni di europei nei secoli XIV e XV in seguito alle invasioni mongole. In quella pandemia, i batteri si diffusero tramite le pulci sui ratti neri, che secondo gli storici non erano conosciuti dalla gente dell’epoca.
Si ritiene che anche altre epidemie di peste, come la peste di Giustiniano nel VI secolo, abbiano ucciso circa un quinto della popolazione dell’Impero bizantino, secondo documenti e resoconti storici. Nel 2013, i ricercatori hanno affermato che anche la peste di Giustiniano era stata causata dal batterio Yersinia pestis.
Casi recenti si sono verificati principalmente in Africa, Asia e America Latina. I paesi con frequenti casi di peste includono il Madagascar, la Repubblica Democratica del Congo e il Perù, afferma la clinica. Negli ultimi anni sono stati segnalati numerosi casi di peste anche nella Mongolia interna, in Cina.
I sintomi di un’infezione da peste bubbonica comprendono mal di testa, brividi, febbre e debolezza. I funzionari sanitari affermano che di solito può causare un doloroso gonfiore dei linfonodi nella zona dell’inguine, dell’ascella o del collo. Il gonfiore di solito si verifica entro circa due-otto giorni.
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La malattia può generalmente essere trattata con antibiotici, ma di solito è mortale se non trattata, dice il sito web della Mayo Clinic. «La peste è considerata una potenziale arma biologica. Il governo degli Stati Uniti ha piani e trattamenti in atto nel caso in cui la malattia venga utilizzata come arma», afferma anche il sito web.
Secondo i dati dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie, l’ultima volta che sono stati segnalati decessi per peste negli Stati Uniti è stato nel 2020, quando sono morte due persone.
Come riportato da Renovatio 21, un altro caso di peste bubbonica si era avuto pochi giorni fa in Oregon.
Come riportato da Renovatio 21, altre malattie antiche si sono riaffacciate sulla scena mondiale. La lebbra, ad esempio, è riapparsa in USA, India, Gran Bretagna, con esperti che ipotizzano una possibile correlazione con la vaccinazione mRNA.
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Immagine: Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro (c. 1609-1610–c. 1675), Largo Mercatello durante la peste a Napoli (1656), Museo nazionale di San Martino, Napoli.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Epidemie
Cambiamento del comportamento sessuale post-pandemia: le malattia veneree aumentano nella UE
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Epidemie
«Alaskapox»: una nuova epidemia colpisce il Nord America
Funzionari sanitari dell’Alaska hanno documentato il primo caso mortale di virus Alaskapox (noto anche come «AKPV») in un signore anziano della penisola di Kenai, situata appena a sud della capitale dello Stato, Anchorage.
L’uomo è morto alla fine di gennaio, suscitando la preoccupazione tra i funzionari che la trasmissione del virus potesse essere più estesa di quanto si pensasse in precedenza.
Secondo il bollettino della Sezione di Epidemiologia dell’Alaska pubblicato la scorsa settimana, l’uomo immunocompromesso ha notato per la prima volta una tenera protuberanza rossa sotto l’ascella destra a metà settembre. Nelle settimane successive, si è consultato con i professionisti medici poiché la lesione è peggiorata, portando al ricovero in ospedale a novembre a causa di un’estesa infezione che ha inibito la mobilità del braccio.
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Il bollettino spiegava che la salute dell’uomo era migliorata alla fine dell’anno dopo il trattamento con farmaci per via endovenosa, ma che era morto improvvisamente alla fine di gennaio a causa di un’insufficienza renale.
«Finora sono state segnalate sette infezioni da AKPV alla Sezione di Epidemiologia dell’Alaska (SOE). Fino a dicembre 2023, tutte le infezioni segnalate si sono verificate in residenti dell’area di Fairbanks e riguardavano malattie autolimitanti costituite da eruzione cutanea localizzata e linfoadenopatia», si legge nel bollettino. notato.
«Le persone non dovrebbero essere necessariamente preoccupate ma più consapevoli», ha affermato Julia Rogers, epidemiologa statale e coautrice del bollettino. «Quindi speriamo di rendere i medici più consapevoli di cosa sia il virus dell’Alaskapox, in modo che possano identificare segni e sintomi».
Il bollettino include raccomandazioni: «i medici dovrebbero acquisire familiarità con le caratteristiche cliniche dell’Alaskapox e prendere in considerazione l’esecuzione di test per l’infezione da orthopoxvirus in pazienti con una malattia clinicamente compatibile».
Come riportato da Renovatio 21, funzionari sanitari dell’Oregon hanno confermato un caso di peste bubbonica, con un cittadino probabilmente infettato dal suo gatto domestico.
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Immagine di Beeblebrox via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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