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Bioetica

La morte del giusto: vi racconto di mio nonno

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DAT, «fine-vita», «cure palliative». Sono termini che sentiamo sempre più spesso. La dimensione della morte oggi conosce  una fioritura di declinazioni in ambito medico ed amministrativo.

Vorrei parlarne partendo proprio da un’esperienza personale, che mi ha toccato molto da vicino – dal momento che riguardava un mio familiare. Mio nonno.

Egli è mancato pochi giorni fa.

 

Era stato ricoverato poco prima in ospedale per acciacchi della vecchiaia – in particolare riconducibili ad un importante scompenso cardiaco diagnosticato da tempo. Una volta «stabilizzata» la terapia per un’insufficienza renale e un versamento pleurico nei polmoni, è stato dimesso dal reparto di medicina in cui era ricoverato.

 

La parola che ricorre è questa: «stabilizzare».
Poco importa se le sue condizioni fisiche fossero precarie: l’importante, per i medici, era quello di «stabilizzare» la sua terapia.

Malati e gli anziani diventano di fatto tutti terminali da «curare» con cure palliative

D’altronde ormai negli ospedali funziona così. Se si viene ricoverati in diabetologia per problemi di insulina, e allo stesso tempo si hanno, ad esempio, dei calcoli ai reni, i medici della diabetologia – statene certi – si occuperanno di stabilizzare il livello di glicemia nel sangue, ma non si preoccuperanno affatto di ciò che non compete al proprio reparto. E, quindi, ecco pronta la dimissione una volta sistemato l’orticello clinico di propria competenza.

 

Ma torniamo a noi. La prassi prevede che, ad una dimissione dall’ospedale, corrisponda la lettera di dimissione solitamente redatta e firmata dal primario del reparto. Leggendo la lettera di dimissione del nonno, mi è subito caduto l’occhio su un dato particolare: vista la gravità dello scompenso cardiaco, vista l’insufficienza renale, e visto il rischio di emorragie, alcuni farmaci – in particolar modo l’anticoagulante che prendeva di prassi – sono stati sospesi per evitare, a quanto ho capito, un male peggiore.

 

Fino a qui, non avendo le competenze ma confrontandomi poi insieme alla mia famiglia con altri medici, tutto par essere logico: tolgo da una parte per non rischiare qualcosa di peggio dall’altra.

 

Ciò che invece mi ha colpito di più – e vengo qui al dunque – è stata una frase inserita nel riassunto medico, che diceva più o meno così: sospesi questi farmaci, consigliamo invece di continuare con l’accompagnamento delle cure palliative già iniziate.

Mio nonno è stato considerato come un terminale pur non essendolo

 

In buona sostanza, mio nonno è stato considerato come un terminale pur non essendolo. In buona sostanza, i malati e gli anziani diventano di fatto tutti terminali da «curare» con cure palliative.

 

Ma cosa cosa sono e a cosa servono, soprattutto, nella maggior parte dei casi, queste «cure palliative»?

 

Parlando con franchezza, potremmo dire che sono terapie in grado di allontanare i sintomi di una determinata malattia, la quale dovrebbe essere sempre considerata grave o, comunque, ad uno stadio terminale. Spesso «cura palliativa» corrisponde a «morfina».

Terminali o non terminali, l’unica volontà è quella di non far sentire dolore al paziente, smettendo le cure terapeutiche e tentando di allontanare i sintomi del male che li affligge

 

Aldilà delle chiacchiere e i sermoni che potrebbero e vorrebbero farvi, le cure palliative servono al  cosiddetto  «accompagnamento alla morte», oggidì tanto in auge. Come detto, però, ormai pare non esserci più limite di casi o situazioni: terminali o non terminali, l’unica volontà è quella di non far sentire dolore al paziente, smettendo le cure terapeutiche e tentando di allontanare i sintomi del male che li affligge. Ciò, ai più, potrebbe apparire comprensibilmente come cosa buona e giusta.

 

Quello che si deve però capire sono le conseguenze dell’allucinante uso improprio che si fa di questi farmaci potentissimi, con l’annessa logica di utilizzo. Se è vero che la morfina allevia il dolore, va compreso che, anche laddove il dolore potrebbe essere minimo – come nel caso del nonno che non era ad uno stadio «terminale» –il farmaco potrebbe dare gravi disturbi alla coscienza e alla vigilanza dei pazienti.

Vogliono eliminare il dolore in cambio dell’incoscienza

 

Ed è in effetti proprio questo il punto. Vi è una ragione «filosofica»,  dietro all’accanimento delle «cure palliative». Io la ritengo una filosofia diabolica.

 

Vogliono eliminare il dolore in cambio dell’incoscienza, in cambio di un percorso che «accompagni» alla «dolce morte».
Il dolore non deve più esistere, ma il prezzo da pagare diventa l’impossibilità di essere lucidi e vigili proprio negli ultimi momenti della vita terrena e, in ultimo, nell’istante della morte.

 

Stiamo parlando di una questione di vitale importanza che non può essere banalizzata.

Il nemico che la medicina moderna vuole abbattere è l’agonia

Il nemico che la medicina moderna vuole abbattere è l’agonia: non vogliono più che esista l’agonia; non vogliono che si affronti la morte con le capacità umane di intendere e di volere

 

Ed ecco perché, allora, possiamo presupporre che il vero nemico contro cui la medicina moderna vuole scontrarsi è Dio: sì, perché negli ultimi istanti della vita di un uomo si decide tutto: il suo passato, il suo ultimo presente, la sua Vita eterna. La grazia di una Buona Morte sta proprio nell’ultima possibilità che Dio offre all’uomo di combattere contro se stesso, di dare all’Angelo Custode la possibilità di assistere nell’ultimo e tremendo scontro un’anima, strappandola dal finale e subdolo tentativo di attacco dei demoni.

Gli fanno credere che l’anzianità sia una malattia

 

L’agonia, per quanto può spaventare, può essere riscatto, redenzione, e, per chi crede, imitazione di Cristo sulla Croce dove, versando il Suo Sangue e patendo lucidamente e coscientemente una morte atroce, il Salvatore ha salvato il mondo.

 

La medicina moderna vuole sottrarre questa possibilità a tutti, vuole fare addormentare nella «dolce morte» i pazienti senza dare a ciascuno la possibilità di fare lucidamente i conti con se stessi prima dell’Eterno Giudizio.
Qui si nasconde il vero e drammatico inganno delle cosiddette «cure palliative».

La medicina moderna vuole sottrarre questa possibilità a tutti, vuole fare addormentare nella «dolce morte» i pazienti senza dare a ciascuno la possibilità di fare lucidamente i conti con se stessi prima dell’Eterno Giudizio.

 

Addormentarsi nell’oblio del nulla eliminando il patibolo della Croce che tutto sana, che tutto monda. Si soffoca la dimensione spirituale sacrificandola sugli altari della medicina ufficiale, che vorrebbe costringere l’Uomo, come Pellegrino di questa terra, a non essere altro che materia vivente.

 

 

Grazie al Cielo, pur avendo subito queste cose, mio nonno è sfuggito alla medicalizzazione di stato, è sfuggito al freddo e bianco ambiente ospedaliero che riduce le anime a numeri e che confina la morte ad un fatto normale, privo di importanza soprannaturale.

 

Grazie al Cielo, mio nonno ha fatto la morte del giusto, morendo come un cristiano «di una volta».
È morto a casa sua, nel suo letto. Sfinito dalla vita ma pronto per la morte, ricevendo i Sacramenti di sempre con lucidità e volontà, e avendo consapevolezza che il tremendo momento era ormai giunto.

 

Possano i nostri anziani tornare a morire nelle loro case. Possano essere risparmiati dalla coercizione sanitaria che vincola, tormenta, fa vivere gli ultimi anni della vita terrena fuori e dentro dagli ospedali, con esami continui, controlli continui, abituando le persone ad uno stato di perenne morte in vita, abbattendo gli anziani psicologicamente, facendogli credere che la malattia sia l’anzianità, e che l’anzianità da malati debba essere l’unica ragione su cui fondare il resto della propria esistenza.

 

Possano i nostri anziani ritornare a morire nel Signore, con la vicinanza dei propri familiari nel focolare domestico e con il conforto di Dio attraverso i Sacramenti e la preghiera.

 

Scrive il libro dell’Apocalisse (14, 17)

«Beati d’ora in poi, i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono»

 

Cristiano Lugli

 

 

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Bioetica

Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni. 

 

Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.

 

Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?

 

Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza. 

 

«Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»

 

Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:

 

«Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».

 

Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:

 

«In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».

 

Michael Cook

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

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Bioetica

Approvato il progetto di inclusione dell’aborto nella Carta europea

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Mercoledì 11 aprile 2024 gli eurodeputati hanno adottato, con 336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astensioni, una risoluzione che chiede l’inclusione dell’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che stabilisce “diritti, libertà e principi riconosciuti” negli Stati membri.

 

La risoluzione, promossa dai liberaldemocratici (Renew), dai socialdemocratici (S&D) e dalla sinistra, afferma che «controllare la propria vita riproduttiva e decidere se, quando e come avere figli è essenziale per la piena realizzazione dei diritti umani per le donne, le ragazze e tutte coloro che possono rimanere incinte».

 

I promotori hanno motivato la loro posizione con documenti delle Nazioni Unite che invitano a mantenere la «decisione individuale di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza».

 

La mozione cita anche la decisione della Francia di includere l’aborto nella Costituzione come esempio da seguire, sostenendo la «necessità di una risposta europea al declino dell’uguaglianza tra uomini e donne».

 

Minaccia ai gruppi pro-vita

I deputati sono preoccupati anche per «l’aumento dei finanziamenti ai gruppi contrari all’uguaglianza di genere e all’aborto» in tutto il mondo e nell’UE. Chiedono alla Commissione di garantire che le organizzazioni che «lavorano contro l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne» non ricevano finanziamenti dall’UE.

 

Il testo insiste affinché gli Stati membri e le amministrazioni aumentino la spesa per programmi e servizi sanitari e di pianificazione familiare.

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Contro gli «agenti religiosi ultraconservatori»

La mozione adottata parla ancora di «forze regressive e attori religiosi ultraconservatori e di estrema destra» che «stanno cercando di annullare decenni di progressi nel campo dei diritti umani e di imporre una visione del mondo dannosa sui ruoli degli uomini e delle donne nelle famiglie e nella vita pubblica».

 

Il testo adottato dal Parlamento europeo critica alcuni Stati membri: Polonia, Malta, Slovacchia e Ungheria, le cui politiche sull’aborto sono più conservatrici della maggior parte degli altri. Esorta i governi europei a «rendere obbligatori i metodi e le procedure di aborto nel curriculum dei medici e degli studenti di medicina».

 

Nel 2022, il Parlamento Europeo aveva già adottato una risoluzione a favore dell’aborto, che condannava la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire Roe vs Wade.

 

Una risoluzione che, si spera, non dovrebbe essere adottata

Questa risoluzione chiede solo una modifica alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, senza avere il potere di apportare tale modifica. La risoluzione adottata propone che l’articolo 3.2a sia modificato come segue:

 

«Tutte le persone hanno diritto all’autonomia corporea, all’accesso libero, informato, pieno e universale alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi e a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale».

 

Per apportare una modifica alla Carta dei diritti fondamentali sarebbe necessaria l’approvazione unanime dei 27 Stati membri. Alcuni Paesi in cui la vita dei bambini non ancora nati è meglio tutelata – Malta, Ungheria e Polonia – non dovrebbero, al momento, dare il loro consenso.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Bioetica

Il Gambia potrebbe revocare il divieto di mutilazione genitale femminile

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.   Negli Stati Uniti, in Australia e in Europa non può esserci causa più popolare, più umana e più progressista dell’abolizione della mutilazione genitale femminile (MGF). Molti paesi lo hanno vietato; le ONG educano le persone al riguardo. Le Nazioni Unite hanno proclamato la Giornata internazionale della tolleranza zero nei confronti delle mutilazioni genitali femminili.   Tuttavia tale consenso è crollato in Gambia. Il parlamento di questo paese dell’Africa occidentale a maggioranza musulmana ha appena votato a stragrande maggioranza per revocare il divieto delle MGF del 2015.   Molti parlamentari affermano che le MGF sono necessarie per «sostenere la lealtà religiosa e salvaguardare norme e valori culturali». Il disegno di legge sarà esaminato da una commissione parlamentare prima del voto finale.   In breve, il Gambia potrebbe diventare il primo paese a sfidare il consenso internazionale sulle MGF.

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Da un punto di vista politico, il dibattito sul divieto delle MGF rappresenta un enigma per i valori democratici. Il divieto è stato imposto da un autocrate che ha governato dal 1996 al 2017, Yahya Jammeh. Pertanto i cittadini del Gambia si trovano di fronte alla scelta tra una politica impopolare imposta loro da un dittatore o una politica popolare adottata democraticamente.   Come riportato dal quotidiano locale The Point, un deputato ha dichiarato nel corso del dibattito:   «Il 99,9% non è d’accordo con il divieto della circoncisione femminile. Ciò è presente nel Women Act dal 2015 ma non nella Costituzione. La Costituzione è la legge suprema del popolo; la libertà dei diritti e la legge religiosa, l’Assemblea nazionale non dovrebbe emanare alcuna legge che sia contro la volontà dei cittadini. Lo scopo di ciò non è basato sulla salute ma piuttosto contro la nostra religione».   Un altro ha detto: «non possiamo condannare la nostra tradizione. Anche i bianchi hanno la loro tradizione. Non possiamo imporre ciò che la gente non vuole».   Tuttavia, Jaha Durekeh, la fondatrice della ONG Safe Hands for Girls, una giovane donna diventata famosa in tutto il mondo per la lotta alle MGF, protesta dicendo che le MGF non sono autenticamente islamiche.   «Amo l’Africa e amo il mio Paese, e non lo faccio per promuovere alcuna agenda occidentale. È piuttosto triste che la nostra gente pensi che non abbiamo la mente per pensare con la nostra testa e difendere la nostra gente».   Michael Cook   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni. SOSTIENI RENOVATIO 21
 
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