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Geopolitica

La cazzata dell’invasione americana

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Gira pazzamente nel sottobosco dell’informazione minoritaria la notizia: 30.000 soldati americani sbarcano in Europa, chissà cosa preparano, la coincidenza con lo scoppio del COVID-19 è molto sospetta… Insomma, si ammicca, qui c’è il rischio di una invasione da parte del diabolico Impero Americano.

 

La riteniamo una inutile cazzata.

30.000 soldati americani sbarcano in Europa… Si ammicca: qui c’è il rischio di una invasione da parte del diabolico Impero Americano. La riteniamo una inutile cazzata.

 

Abbiamo riserve immani – storiche, metafisiche, religiose perfino – riguardo agli Stati Uniti d’America, l’eterna sete di sangue del loro apparato, la Cultura della Morte che li domina.

 

Tuttavia, non ne possiamo davvero più di questo pavlovismo antiamericano, quello per cui ora parte della cosiddetta controinformazione strizza addirittura l’occhio all’untore del mondo, la Cina Popolare (che, come andiamo ripetendo, sta diffondendo l’idea che il vero responsabile è l’Italia, dove ha comprato tanti maggiordomi al potere).

 

Usiamo, per cortesia, la ragione:

30.000 soldati in Americani non invadono un tubo

 

1) 30.000 soldati in Americani non invadono un tubo: per invadere l’Europa quanti ne hanno usati 75 anni fa? Risposta: 2 milioni. Cosa possono fare con 30.000 soldati?

 

2) Gli americani dispongo già di centinaia di migliaia di soldati in Europa. In Italia sono 12.000, ufficialmente (più quasi seimila civili), in Germania solo più di 50.000 (30.000 per le fonti ufficiali). Poi ci sono Spagna, Regno Unito, Belgio, Polonia, Romania…

Gli americani dispongo già di centinaia di migliaia di soldati in Europa

 

Secondo Foreign Affairs, «gli Stati Uniti mantengono circa 320.000 militari in Europa, circa il dieci percento del totale europeo». Secondo altre fonti sarebbero 63.000, ma è molto facile capire che il numero esatto un esercito mica può darlo.

 

3) L’amministrazione Trump (che, beninteso, non decide tutto, perché limitata e sabotata dal mortifero Stato profondo della cosiddetta Washington Beltway) è la più isolazionista che si ricordi in tempi recenti. Sulla promessa di portare a casa i suoi boys, come chiama i soldati il Presidente, sta sostenendo un allucinante patto con i Talebani a Kabul, che ha già creato, la settimana scorsa, attentati con morti e feriti (rivendica l’ISIS afghana, ma chissà…).

L’amministrazione Trump  è la più isolazionista che si ricordi

 

4) L’amministrazione Trump si sta giocando tutto sul contenimento del COVID-19, con il Presidente che si è già azzardato (errore fatto anche dai nostri, dal quale non ha imparato) a minimizzare. La sua rielezione, come hanno capito benissimo i democratici che neanche tanto segretamente tifano Coronavirus, si gioca tutta sull’epidemia: l’esporre cittadini americani, per quanto militari, in Europa non giova certo alla prospettiva elettorale.

 

L’amministrazione Trump si sta giocando tutto sul contenimento del COVID-19

Considerate anche anche Donald Trump è notoriamente un germophobe, una persona con la fobia dei germi: lo disse lui stesso quando saltò fuori la storia mai verificata di un suo video in Russia con delle prostitute che gli fanno la pipì addosso. Chi lo conosce conferma che la sua avversione personale per le minacce microbiologiche personali è bella alta.

 

5) Ci tocca ricordare che a livello della strategia ultima, quella termonucleare, l’Europa è una potenza capace di distruzione massiva. Non ridete: tecnicamente è così.  Perché, ahinoi, ha perso quelle di Londra, ma possiede tuttora le bombe della Francia – con Macron che si è pure di recente offerto, bizzarramente solo in apparenza, di fornire a tutta l’Europa il suo ombrello atomico.

Ci tocca ricordare che a livello della strategia ultima, quella termonucleare, l’Europa è una potenza capace di distruzione massiva

 

Si tratta, con ogni evidenza, di una esercitazione, una delle tantissime, seppur davvero grande, che fanno in Europa: per tenersi buoni Polacchi e Baltici, per mandare avvertimenti a Putin: l’enantiodromia (la «corsa degli opposti») tra le superpotenze atomiche si basa su questo.

 

Pensate solo che in un anno si registrano più 500 sconfinamenti di caccia russi in aerea NATO. Provocazioni, moderne versioni della tribale usanza di andare dinanzi agli avversari e battersi il petto, fatte con MiG e F-35 invece che con urla, clave e le mani nude. L’effetto è sui Russi, ma anche sui piccoli alleati strategici europei e non solo.

La UE in questo momento latita in maniera rivoltante

 

Ciò detto, poniamo qui un abissale quesito: se si trattasse davvero di una fantascientifica invasione, fatta con un sessantesimo dei soldati con cui l’hanno realizzata l’ultima volta, sarebbe in reazione al crollo dell’autorità Europea, in primis la UE, che in questo momento latita in maniera rivoltante – La Von der Leyen riceve la bambina Greta Thunberg, agli eurodeputati lombardo-veneti viene negato l’accesso agli spazi di Bruxelles, i vertici euromani come aiuto ci mandano briciole che sono già nostre.

 

La sovranità (nazionale, economica, famigliare, financo biologica) è andata da un bel pezzo, molto spesso fagocitata dalla Cultura della Morte UE. Il governo italiano ha soppresso temporaneamente alcuni diritti Costituzionali

Possiamo invocare il culto (quasi sempre scemo) dell’identità? Possiamo avere sussulti a difesa della sovranità, nell’ora del caos?

 

Davanti alla catastrofe della UE, e dei suoi camerieri italiani, no, non crediamo. La sovranità (nazionale, economica, famigliare, financo biologica) è andata da un bel pezzo, molto spesso fagocitata dalla Cultura della Morte UE. Il governo italiano ha soppresso temporaneamente alcuni diritti Costituzionali, alla faccia delle marcette per la «Costituzione più bella del Mondo».

 

Se un esercito straniero – uno qualsiasi! – ci liberasse della UE e dai suoi servi, mentre il Continente è decimato dalla peste e dalla conseguente carestia, quanti penserebbero che si tratta di un male?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

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Geopolitica

L’UNICEF denuncia come Israele ignora il cessate il fuoco ONU e continua il massacro di Gaza

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In una conferenza stampa tenuta il 26 marzo a Rafah James Elders, portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), ha fornito un rapporto completo sulla devastazione a cui sta assistendo ora, dopo un’assenza di tre mesi. Lo riporta EIRN.

 

Elders ha riferito che i combattimenti notturni tra lunedì sera, 25 marzo e martedì 26 marzo avevano prodotto «un numero a due cifre di bambini uccisi», avvenuti «solo poche ore dopo l’approvazione della risoluzione» del Consiglio di Sicurezza.

 

Il funzionario UNICEF ha dichiarato che a Rafag ora si «discute infinitamente di un’operazione militare su larga scala». Questa è «una città di bambini. Ci sono 600.000 ragazze e ragazzi», ha detto, ma è «irriconoscibile a causa della congestione, delle tende agli angoli delle strade e dei terreni sabbiosi. La gente dorme per strada, negli edifici pubblici, in ogni altro spazio vuoto disponibile»

 

«A Rafah c’è circa un bagno ogni 850 persone. Per quanto riguarda le docce, il numero è quattro volte superiore: una doccia ogni 3.600 persone. Questo è un disprezzo infernale per i bisogni umani fondamentali e la dignità».

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«Un’offensiva militare a Rafah?» si è chiesto l’Elders. «Offensiva è la parola giusta. Rafah, sede di alcuni degli ultimi ospedali, rifugi, mercati e sistemi idrici rimasti a Gaza».

 

Il portavoce UNICEF ha anche visitato Khan Younis, a nord di Rafah, che secondo lui era irriconoscibile. «Esiste a malapena più. Nei miei 20 anni con le Nazioni Unite, non ho mai visto una tale devastazione. Solo caos e rovina, con macerie e detriti sparsi in ogni direzione. Annientamento totale».

 

L’ospedale Nasser, «un luogo così critico per i bambini feriti dalla guerra», non è più operativo. Infatti, solo un terzo degli ospedali di Gaza sono «parzialmente funzionanti». Cinque ospedali sono sotto assedio da parte delle forze israeliane.

 

Visitando la città di Jabalia, nel nord di Gaza, Elders ha riferito che tra l’1 e il 22 marzo, a un quarto delle 40 missioni di aiuto umanitario nel Nord di Gaza è stato negato l’ingresso nella Striscia. Ha assistito a centinaia di camion delle Nazioni Unite e di ONG internazionali, che trasportavano aiuti umanitari salvavita, rimasti indietro sul lato israeliano del confine, in attesa di entrare a Gaza.

 

Se il vecchio valico di Erez, a 10 minuti di distanza, fosse aperto, «potremmo risolvere questa crisi umanitaria nel nord nel giro di pochi giorni», ha detto Elders. Il portavoce dell’UNICEF ha concluso: «la privazione, la disperazione forzata, significa che la disperazione pervade la popolazione. E i nervi delle persone sono scossi da attacchi incessanti».

 

«L’indicibile viene regolarmente detto a Gaza. Dalle adolescenti che sperano di essere uccise; sentirsi dire che un bambino è l’ultimo sopravvissuto dell’intera famiglia. Tale orrore non è più unico qui (…) In tutto questo, tanti palestinesi coraggiosi, generosi e instancabili continuano a sostenersi a vicenda, e le agenzie sorelle delle Nazioni Unite e l’UNICEF continuano a farlo».

 

«Come abbiamo sentito ieri: il cessate il fuoco deve essere sostanziale, non simbolico. Gli ostaggi devono tornare a casa. Alla gente di Gaza deve essere permesso di vivere» ha dichiarato il funzionario onusiano.

 

«Nei tre mesi tra le mie visite, ogni numero orribile è aumentato drammaticamente. Gaza ha infranto i record dell’umanità nei suoi capitoli più oscuri. L’umanità deve ora scrivere urgentemente un capitolo diverso».

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Immagine di RafahKid Kid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic; immagine tagliata

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Geopolitica

Putin: non ci sono «nazioni ostili» per la Russia, solo «élite ostili»

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La Russia non ha intenzione di cancellare la cultura di nessun paese, ha detto mercoledì il presidente Vladimir Vladimirovich Putin durante un viaggio di lavoro nella regione di Tver. Mosca capisce la differenza tra il popolo e le élite e rispetta la cultura di ogni nazione e considera la propria come parte del patrimonio mondiale, ha aggiunto l’uomo del Cremlino, secondo quanto riportato da RT.   Il presidente stava parlando con gli artisti regionali quando è stata sollevata la questione dei tentativi di «cancellare» la cultura russa da parte di alcuni paesi occidentali. Secondo Putin, Mosca non ha intenzione di rispondere allo stesso modo.   «Non abbiamo nazioni ostili, abbiamo élite ostili in quelle nazioni», ha detto il presidente, aggiungendo che il governo russo «non ha mai cercato di cancellare» alcun artista o spettacolo culturale straniero. «Al contrario, crediamo che la cultura russa faccia parte di quella globale e ne siamo orgogliosi».

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Le autorità russe cercano di tenere conto del contesto culturale globale e di «non escludere nulla», ha continuato. Coloro che cercano di abolire la cultura di una nazione abitata da circa 190 milioni di persone «non sono saggi», ha detto il presidente, riferendosi alle azioni occidentali durante il conflitto in Ucraina.   Le nazioni occidentali hanno ripetutamente cercato di vietare le esibizioni di artisti e musicisti russi, così come di quelli ritenuti sostenitori di Mosca. Più di recente, il cantante italiano Enzo Ghinazzi, meglio conosciuto come Pupo, si è visto annullare un’imminente esibizione in Lituania per un concerto tenuto al Cremlino a marzo.   Pupo era arrivato in Russia per «trasmettere il messaggio che la pace tornerà nel mondo», disse all’epoca all’agenzia russa TASS. Il cantante toscano si era anche pronunciato contro un «embargo sulla cultura di qualsiasi popolo», definendo tale posizione «sbagliata». La sede lituana destinata ad ospitare la sua esibizione ha successivamente annunciato che sarebbe stata cancellata, definendola una «buona notizia» per coloro che si opponevano alla campagna militare della Russia in Ucraina.   Pupo è popolarissimo in Russia come in altri Paesi del passato blocco sovietico, dove la canzone «Gelato al cioccolato spopola», ma non è chiaro quanto sia qui diffusa la teoria, smentita a più riprese dagli interessati, secondo cui il pezzo sarebbe stato scritto da Cristiano Malgioglio dopo un viaggio in Africa. Qualcuno può pensare, addirittura, che la canzone possa diventare incompatibile con le attuali leggi russe.   Tuttavia, mentre Pupo canta, il resto del mondo censura russofobicamente senza alcuna pietà.   All’inizio dello stesso mese, la Corea del Sud ha cancellato una serie di spettacoli di Svetlana Zakharova, una famosa ballerina del Teatro Bolshoi russo, dopo che l’Ucraina aveva espresso rabbia per gli eventi pianificati.   Molte istituzioni culturali occidentali hanno cercato di rimuovere completamente le opere legate alla Russia dalle loro gallerie e teatri sin da quando è scoppiato il conflitto tra Russia e Ucraina nel febbraio 2022.

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L’Orchestra Filarmonica di Cardiff in Galles ha eliminato la musica di Tchaikovskij da un concerto, la Royal Opera House britannica ha cancellato una tournée del Bolshoi Ballet e la Carnegie Hall e la Metropolitan Opera di New York hanno smesso di consentire alla maggior parte dei musicisti e delle organizzazioni russe di esibirsi.   Nel settembre 2022 in Australia un pittore australiano costretto a rimuovere il suo murale che mostra soldati russi e ucraini che si abbracciavano.   È successo, nell’estate di due anni fa, anche in Italia: è il caso del Teatro Comunale di Lonigo, dove doveva andare in scena Il lago dei cigni. Lo spettacolo, con protagonisti artisti ucraini, invece è saltato e sostituito con un balletto francese, su ordine diretto del governo di Kiev, che a quanto sembra decide anche quello che devono e non devono vedere gli spettatori italiani, anche se hanno già pagato il biglietto. «Oltre a Lonigo annullate anche tutte le altre date in Italia. In breve ai ballerini ucraini è stato ordinato dal loro Paese di non rappresentare più l’autore russo» ha scritto Vicenza Today.   La campagna ha raggiunto un livello tale da attirare critiche da parte di alcuni leader occidentali. Nell’aprile 2023, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo definì un «gesto sbagliato». Nell’agosto dello stesso anno, il cancelliere tedesco Olao Scholz si oppose a tali iniziative definendo la cultura russa parte della «nostra comune storia europea».

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
   
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Geopolitica

Il presidente serbo lancia l’allarme: minacce dirette alla Serbia e ai serbi bosniaci

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La Serbia sta attraversando giorni estremamente difficili, ha dichiarato il presidente Aleksandar Vucic, aggiungendo che sono in gioco gli interessi nazionali del Paese. Lo riporta RT.

 

La Nazione balcanica si è costantemente opposta ai tentativi della sua provincia separatista del Kosovo di aderire agli organismi internazionali, ma la regione ha recentemente fatto progressi in questo senso.

 

Mercoledì il leader serbo ha pubblicato un messaggio criptico su Instagram, avvertendo che «si prospettano giorni difficili per la Serbia» e che «in questo momento non è facile dire che tipo di notizie abbiamo ricevuto nelle ultime 48 ore».

 

 

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Gli sviluppi «minacciano direttamente gli interessi nazionali vitali sia della Serbia che della [Republika] Srpska», ha osservato Vucic, senza fornire ulteriori dettagli, dicendo solo che presenterà ai suoi concittadini le sfide future nei prossimi giorni.

 

La Republika Srpska è una regione parzialmente autonoma dominata dai serbi all’interno della Bosnia ed Erzegovina.

 

«Sarà dura… Combatteremo, la Serbia vincerà», ha aggiunto Vucic.

 

Anche se non è chiaro a cosa si riferisse Vucic, è pronto a incontrare mercoledì alti diplomatici di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Italia, secondo il sito web Pink.rs. Si prevede che l’ordine del giorno dell’incontro verterà sulla richiesta del Kosovo di aderire al Consiglio d’Europa, organismo internazionale di vigilanza sui diritti umani.

 

Secondo Pink, Vucic «non perderà l’occasione di ripetere (…) che si è trattato di una mossa perfida che ha anche un peso simbolico poiché è stata compiuta proprio il giorno che è stato scritto a lettere nere nella memoria collettiva dei serbi».

 

Il giornale si riferiva al 25° anniversario dell’inizio della campagna di bombardamenti della NATO contro l’ex Jugoslavia per quello che il blocco ha definito «uso sproporzionato della forza» contro un’insurrezione di etnia albanese in Kosovo.

 

Verrà discussa anche la decisione della commissione permanente dell’Assemblea parlamentare della NATO di elevare la regione separatista del Kosovo allo status di membro associato. La decisione finale sulla questione è attesa per la fine di maggio.

 

Nel frattempo Radio Sarajevo ha fatto intendere che il presidente serbo avrebbe reagito alla decisione dell’alto rappresentante della Bosnia ed Erzegovina Christian Schmidt di modificare la legge elettorale del paese. L’Ufficio dell’Alto Rappresentante è un’organizzazione internazionale che sovrintende all’accordo di Dayton del 1995, che ha posto fine a una sanguinosa guerra nella Nazione balcanica.

 

Schmidt ha dichiarato martedì che utilizzerà la sua autorità per introdurre riforme del voto digitale come parte di un progetto pilota nel paese.

 

La mossa è stata accolta con il rifiuto del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, che ha detto che Schmidt non ha nulla a che fare con il processo elettorale, aggiungendo che «appartiene alle persone che vivono in Bosnia ed Erzegovina».

 

In una intervista all’agenzia russa TASS dello scorso mese il Vucic aveva dichiarato che la comunità internazionale non è più interessata a porre fine ai conflitti e vede invece la pace come un ideale «indesiderato».

Come riportato da Renovatio 21, settimane fa il presidente serbo aveva rincarato la dose accusando l’Occidente di perseguire una politica di «militarizzazione totale» per sconfiggere la Russia, che mette la regione e il mondo sull’orlo del disastro e sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.

 

«Quello che sta succedendo adesso è una follia», aveva detto ai media regionali. «Tutti pensavano che Putin sarebbe stato sconfitto facilmente. Ora vedono che non è così».

 

Sei mesi fa il presidente serbo aveva detto che le forze di pace NATO hanno dato agli albanesi del Kosovo «carta bianca» per uccidere i serbi. «Il Kosovo vuole iniziare una guerra NATO-Serbia» aveva detto un anno fa il Vucic.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’Italia pare essere già schierata nel teatro balcanico: il premier Giorgia Meloni aveva prima alzato la voce quando truppe italiane del contingente KFOR erano state ferite in un moto dei serbi kosovari, poi l’estate scorsa ha compiuto un bizzarro, enigmatico viaggio privato dal premier albanese Edi Rama, risaputo uomo proveniente dalle file dello speculatore internazionale Giorgio Soros.

 

In una intervista di mesi fa con Tucker Carlson il presidente ungherese Viktor Orban aveva rivelato che con il presidente serbo Vucic sarebbe d’accordo nel considerare un attacco al gasdotto South Stream, che porta il gas dalla Russia in Ungheria e Serbia, come un atto di guerra, al quale, dice, «reagiremo».

 

Tre mesi fa si era assistito ad un probabile tentativo di «maidanizzazione», a Belgrado a seguito delle elezioni. Alti funzionari serbi avevano descritto le proteste come un tentativo di «rivoluzione colorata» e hanno affermato di essere stati avvertiti dalla Russia: il presidente serbo Vucic aveva affermato che la protesta è stata sponsorizzata dalle potenze occidentali che volevano rimuoverlo dall’incarico per i suoi cordiali rapporti con la Russia e per il rifiuto di abbandonare le rivendicazioni della Serbia sul Kosovo, citando i rapporti dei servizi segreti stranieri.

 

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Immagine di European Union via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata

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