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“Herd Immunity” o “Nerds Immunity”?

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Il dibattito sui vaccini porta sempre più, inevitabilmente, ad uno scontro frontale tra chi sposa come “dogma di fede” l’infallibilità dei vaccini e chi prova a dissentire anche di una sola virgola da questa assurda pretesa.
Chi contesta l’ipotesi è solitamente privo di argomenti, se non quelli che, ripetutamente, si vanno sentendo alla televisione per bocca delle varie Lorenzin e Boldrini – quest’ultima che si inventa pure il reato di fake news per non permettere più a nessuno di confutare qualcosa che è ritenuto scientificamente ineccepibile, quando in realtà di ineccepibile non ha niente. La medicina – andiamo anche noi ripetendolo per vedere se qualcuno ha la cortezza di comprendere un dato oggettivo – NON è una scienza, men che meno una scienza esatta. I vaccini agiscono in campo medico e quindi è beninteso che non godano di alcun marchio di infallibilità, ancor meno con i criteri demenziali con cui vengono somministrati e promossi, ovvero tramite profilassi di massa.
Le credibilità di coloro i quali, privi di argomenti, dicevamo, sobbalzano dallo scranno non appena viene messo in dubbio un qualche risvolto della profilassi vaccinista, viene avulsa hic et nunc dallo stesso rifiuto di entrare in non pochi argomenti che evidenzierebbero la fallacia di certi aspetti circa il vaccino, esigendo appunto che puri “atti di fede” vengano considerati e immagazzinati come verità scientifiche. Come dice un tale, “medicina e religione sono due cose diverse”.
Purtroppo però, il belame compulsivo e sistematico di chi ha accettato questi dogmi, si fa via via sempre più prorompente e spietato con chi non si allinea sulla stessa scia d’onda. Basti vedere i recenti casi, anche quelli che coinvolgono i grillini che di fatto non hanno detto niente di significativo e rilevante: con la loro classica sagacia da rompi scatole del “devo avere l’ultima parola io”, hanno chiesto di fare più informazione sui vaccini, epperò considerati da loro come grande risorsa insuperabile. Stiamo parlando della solita vigliaccaggine penta-stellata, tirante del sasso e ritirante della mano, giusto per accaparrare qualche voto in più facendo la parte dei controcorrente. Eppure contro questa presa di posizione ridicola è sobbalzato il New York Times, il Pd, questo e quell’altro, a ricordare che nulla deve essere detto: va bene così, l’informazione non ci deve essere giacché l’ “atto di fede” implica l’affidamento totale e perpetuo, senza bisogno di conoscere e vedere. Ergo, ai caproni basta dire che i vaccini hanno debellato questa e quest’altra ancora malattia; sono sicuri, efficaci e comportano pochi rischi      ( vedasi a questo proposito il bugiardino del Tripedia ( difterite, tetano, pertosse ) ove è scritto, cito: “Le reazioni avverse riportate durante l’uso post-approvazione del vaccino Tripedia includono porpora trombocitopenica idiopatica, SIDS [ che sta a significare Sudden Infant Death Syndrome, cioè la sindrome da morte improvvisa del neonato ndA ], reazione anafilattica, cellulite, autismo [avete letto bene: AUTISMO ndA], convulsioni/convulsioni da grande male, ENCEFALOPATIA, ipotonia, NEUROPATIA, sonnolenza e apnea” ), e potete star certi che questi si accoderanno issando e sventolando il vessillo della sicurezza farmacologica, nonostante questa “vanti” l’insufficienza di studi epidemiologi seri, oltre che l’assenza di veri e propri sistemi di controllo a garanzia di un’effettiva sicurezza ed efficacia di un farmaco, quale è il vaccino, con una natura preventiva e non curativa ( ancora non si capisce infatti come qualcosa che previene possa debellare un’epidemia già in atto in tutta la sua ferocia, come l’esempio del vaiolo spesso cavalcato ).
In questo caso sì, vale il modus di Joseph Goebbels, nonostante qualcuno cerchi di rigirarlo erroneamente a suo piacimento, per utilizzarlo contro una minoranza zittita ed inascoltata: basta ripetere un certo numero di volte qualunque cosa per farla diventare nozione accettata come vera e indiscutibile. I dati confermano che questo vale per chi sostiene l’infallibilità dei vaccini, non per chi non la sostiene.
Il caso più esilarante lo vediamo proprio nell’argomento che vorremmo brevemente trattare in questa sede, quello che coinvolge tanti pecoroni: la cosiddetta “herd-immunity”, che tradotto suona“immunità di gregge”.
In questo specifico caso, l’”articolo di fede” proposto e accettato dai laboriosi studiosi da social network, sarebbe quello che, se non si sottopone a vaccino profilassi almeno il 95% del popolo bue nei riguardi di una determinata malattia infettiva, l’ecatombe sanitaria bussa violentemente alla porta del suolo nazionale – ma che dico: continentale!
E perché proprio il 95%? Perché non il 90, il 97, il 98, il 98,5%? Da dove proviene questo misterioso dato che si rifà ad un 95% per ottenere assoluta sicurezza sanitaria? Chi cerca trova, dicono, ma in questo caso si può star certi che non si troverà un benemerito nulla, giacché non esiste alcun dato oggettivo a probare questo dato. Nessuna indagine, nessuna pubblicazione scientifica sul tema basata su fatti veri, reali.
Se risaliamo agli Anni Trenta troveremo un tale di nome Hedrich, che pubblicò un articolo (Hedrich AW . Monthly estimates of the child population “susceptible” to measles, 1900–1931, Baltimore,Maryland. Am J Hyg 1933;17:613-636) in cui pose il limite al 53%, rifacendosi su di un’esperienza del tutto personale, accaduta nei pressi di Baltimora. Da questo dato, pur fantasioso che sia, ad un 95%, ci passa di gran lunga un oceano.
Medesimamente si può citare l’ottimo testo Janeway’s Immunobiology di Kenneth Murphy, della Washington School of Medicine di Saint Louis, testo la cui autorevolezza è riconosciuta universalmente e dove viene riferito come valore percentuale per raggiungere la c.d. immunità di gregge l’80%. Anche nel suddetto caso però si lascia spazio all’opinione, poiché nulla di quanto asserito circa il dato percentuale necessario è giustificato e basato su fatti; le ipotesi e i pareri personali, pur essendo comunemente cavalcati, in campo scientifico non trovano degna cittadinanza e, essendo che tutto va rigorosamente dimostrato, hanno altrettanta vita breve.
Alla stregua di Goebbels però, ancora volta, il mantra del 95% come immunità di gregge viene ripetuto in tutti i salotti di sottocultura medico-mediatica, ripetuto a gran voce dal sequel di uditori che ormai non vogliono sentir altro. Il 95% deve essere raggiunto, punto e basta! Il perché non si sa, ma non importa: fides est fides. 
Porsi qualche domanda? E perché mai! Che importa se il famoso caso di poliomielite, accaduto in Albania più o meno vent’anni fa ( e rimasto poi unico ), si è verificato laddove la copertura vaccinale toccava il 99%? E che altro importa se in Svizzera – cantone tedesco – ed in Austria, Paesi in cui la gente si vaccina molto meno contro le malattie tradizionali, abbassando di gran lunga la soglia di “immunità”, non sia giammai stata in corso un’epidemia od un aumento di casi di infezione? Orbene, nessuno di questi dati è mai preso in considerazione, ma anzi tuttalpiù è messo a tacere.
Sappiamo altresì che in Austria la media dei casi di morbillo tocca l’8,75 per ogni milione di abitanti, con una copertura vaccinale che si aggira intorno al 76%. La Germania invece, coperta per il 97%, di casi ne ha 12,22 per milione di abitanti.
Pare strano che questa piccola disfatta di sicurezze circa l’immunità di gregge, non venga presa in considerazione da niuno.
Fra tutto questo calderone di ipotesi e di dati scartati dagli scalda salotto e dai perdi-giorno del commento compulsivo, esiste pure un altro fatto: non sostanziale, eppure certamente interessante quantomeno per arricchire un panorama  tendenzialmente spocchioso e fatto di paraocchi. Nell’universo mondo delle malattie esistono, si sa, quei soggetti detti “portatori sani” di una malattia, ovverosia coloro i quali che, pur risultando asintomatici, hanno dentro di loro i germi di una determinata patologia. Questo avviene anche per malattie importanti come la poliomielite, prima ancora che per la meningite di cui esistono tanti portatori sani. Per quanto riguarda la prima, è doveroso ricordare l’ultimo caso di poliomielite verificatosi in Italia nel 1982, contratta da un padre di famiglia che venne a contatto con le feci del piccolo figlio vaccinato. Così come riconosciuto dallo stesso Tribunale di Milano.
Non è quindi da escludere, come nel caso del morbillo di cui già si è abbondantemente parlato su queste pagine, che la popolazione vaccinata covi in potenza la possibilità di trasmettere la malattia contro la quale è vaccinata. Il caso di Disneyland, lo ripetiamo a chi fosse sfuggito, ha ancora molto da insegnare.
Verosimilmente, circa l’efficacia dei vaccini, va anche presa in considerazione la loro attività reale: come con ogni farmaco ( e i vaccini ripetiamo ancora che sono tali ) accade che non su tutti i soggetti siano efficaci e, se lo sono, non lo saranno mai in egual misura. Numerosi sono i casi dimostrati di vaccinati che dal vaccino non hanno sortito nessun vantaggio preventivo. D’altrocanto è pure vero che l’efficacia di un atto sanitario come il vaccino può scemare con il tempo, facendo conseguentemente scemare anche l’immunità conquistata.
Va da sé che, se la copertura della popolazione deve essere mantenuta, sarebbe necessario eseguire controlli periodici per verificare il perdurare dell’immunità, ma visto che il risultato sarebbe quello poc’anzi citato, e cioè lo scemare di essa con il passare del tempo, l’unica proposta a non risultare ridicola come tutte quelle attuali sarebbe la ripetizione delle vaccinazioni a vita, con continui e regolari richiami.
Tolto questo il resto sono chiacchiere, di gran lunga grossolane e prive di un contraddittorio che abbia almeno una caratteristica potersi ritenere tale. Invece che sparare a mò di mitragliatrice sputa scemenze, bisognerebbe piuttosto rendersi conto di quanto gli anticorpi dei nostri figli siano pressoché azzerati già dalla nascita. Essi si ammalano già da neonati delle malattie che un tempo erano destinate a bambini un po’ più grandicelli, a causa del risultato ottenuto dalla vaccinazione compulsiva e massiva alla quale sono sottoposti. In questo modo, ovvero senza lasciar che gli anticorpi si formino sul “campo di battaglia”, si renderanno sempre più prorompenti agenti patogeni di scarsa importanza, almeno originariamente.
Ma tutto ciò è oscuro ( e resterà sicuramente tale ) per i greggi al pascolo nei social, che brucano ogni cosa gli viene propinata dall’alto del Ministero della Sanità, dai Veronesi e dall’Unione Europea assolutamente “pro-vax”. Questi luminari dell’aborto, della fecondazione in vitro, dell’eutanasia, della sodomia esa- e plurivalente, dell’immigrazione di massa presa a carico dalle ONG e della massoneria imperante, avranno tutti certamente buone intenzioni. Saranno tutti certamente dediti a pensare all’altrui salute e al bene del popolo.
In questo incubo, convinti di essere in un bel sogno da cui destarsi non vogliono, continueranno ad albergare tutti coloro i quali contribuiscono abbondantemente al raggiungimento della “Nerds Immunity”.
Cristiano Lugli
Articolo precedentemente pubblicato qui.

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Reazioni avverse

Cicatrici cardiache rilevate oltre 1 anno dopo la vaccinazione COVID-19: studi

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Cicatrici cardiache sono state rilevate più di un anno dopo la vaccinazione contro il COVID-19 in alcune persone che avevano sofferto di miocardite a seguito di un’iniezione, hanno riferito i ricercatori in nuovi studi. Lo riporta la testata americana Epoch Times.

 

La miocardite, come noto, è una forma di infiammazione del cuore, di cui molto si è parlato negli ultimi anni.

 

Un terzo dei 60 pazienti con imaging cardiaco di follow-up eseguito più di 12 mesi dopo la diagnosi di miocardite presentava un persistente potenziamento tardivo del gadolinio (LGE), che è, nella maggior parte dei casi, riflettente cicatrici cardiache, hanno riferito ricercatori australiani in una prestampa di un nuovo studio pubblicato il 22 marzo.

 

Il tempo mediano dalla ricezione di un vaccino all’imaging di follow-up è stato di 548 giorni, con l’intervallo più lungo di 603 giorni.

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«Abbiamo scoperto che l’incidenza della fibrosi miocardica persistente è elevata, osservata in quasi un terzo dei pazienti a più di 12 mesi dalla diagnosi, il che potrebbe avere implicazioni per la gestione e la prognosi di questo gruppo prevalentemente giovane», scrivono i ricercatori. «Le implicazioni cliniche a lungo termine della LGE in questa condizione sono ancora sconosciute, ma è stato dimostrato che la LGE conferisce una prognosi peggiore nella miocardite non associata al vaccino COVID-19, soprattutto se persiste oltre i sei mesi», hanno aggiunto in seguito, facendo riferimento a diversi documenti precedenti.

 

I ricercatori in uno degli articoli precedenti, ad esempio, hanno scoperto che l’LGE era un «potente prognostico» di esiti avversi nei pazienti con miocardite.

 

Prima del nuovo test, nove pazienti erano stati accertati come affetti da miocardite e 58 pazienti erano stati etichettati come probabilmente affetti da miocardite. I risultati di LGE persistente hanno portato a riclassificare 16 casi da miocardite probabile a miocardite certa.

 

Sono state esclusi i pazienti in gravidanza o allergici agli agenti utilizzati nei test del gadolinio.

 

Tra un sottogruppo di 20 pazienti sottoposti a imaging subito dopo la vaccinazione, 19 avevano LGE. Nell’imaging di follow-up, LGE non era più visibile in 10 di questi pazienti. In cinque è stato ridotto, ma in quattro è rimasto invariato.

 

Andrew Taylor, professore alla Central Clinical School della Monash University, e i suoi coautori hanno condotto lo studio reclutando pazienti a cui era stata diagnosticata una miocardite associata alla vaccinazione COVID-19 tra agosto 2021 e marzo 2022. I pazienti sono stati invitati a sottoporsi a imaging presso l’Alfred Ospedale o Royal Children’s Hospital di Melbourne, Australia.

 

La popolazione dello studio con imaging di follow-up comprendeva 44 adulti e 16 adolescenti. «La maggior parte dei pazienti aveva ricevuto un’iniezione Pfizer-BioNTech. Una minoranza aveva ricevuto una vaccinazione Moderna o AstraZeneca. Le società non hanno risposto alle richieste di commento» scrive Epoch Times.

 

I limiti del documento, che è stato pubblicato prima della peer review, includevano possibili errori di selezione, poiché la partecipazione allo studio era volontaria. Gli autori non hanno elencato conflitti di interessi o finanziamenti.

 

In un altro articolo recente, ricercatori canadesi hanno riferito di aver riscontrato che circa la metà dei pazienti sottoposti a imaging a causa di una possibile miocardite post-vaccinazione presentavano LGE persistente nell’imaging di follow-up. Complessivamente, 60 pazienti sono stati inclusi nello studio retrospettivo. Di questi, sette hanno riportato sintomi persistenti.

 

In un sottogruppo di 21 pazienti per i quali erano disponibili risonanze magnetiche di follow-up, 10 avevano LGE persistente, hanno detto i ricercatori. D’altra parte, la funzione del ventricolo sinistro, che pompa il sangue, si era normalizzata in tutti i pazienti.

 

La persistente LGE «probabilmente riflette la fibrosi sostitutiva», o cicatrici cardiache, hanno scritto la dottoressa Kate Hanneman, del Dipartimento di imaging medico dell’Università di Toronto, e i suoi coautori, citando alcuni degli stessi articoli del gruppo australiano, incluso lo studio che ha rilevato che i pazienti con LGE persistente avevano un rischio più elevato di esiti avversi, nonché un articolo su ciò che rappresenta quando LGE viene rilevato alla risonanza magnetica in pazienti con miocardite.

 

«Tuttavia, il significato della LGE è incerto nei pazienti post-miocardite con recupero della normale funzione sistolica ventricolare sinistra», hanno affermato i ricercatori, che hanno quindi richiesto ulteriori studi per valutare i pazienti con LGE persistente e un ventricolo sinistro recuperato.

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«Lo studio ha incluso pazienti adulti che sono stati indirizzati a una rete ospedaliera con sospetta miocardite e che presentavano nuovi sintomi cardiaci come dolore toracico entro 14 giorni dalla vaccinazione COVID-19» scrive il giornale americano. «Tutti i pazienti hanno ricevuto l’iniezione Pfizer o Moderna».

 

I limiti dello studio, pubblicato dal Journal of Cardiovascular Magnetic Resonance, includevano la mancanza di miocardite confermata dalla biopsia.

 

Gli autori non hanno dichiarato alcun finanziamento e hanno elencato solo un interesse in competizione, ovvero che un autore è un editore associato della rivista.

 

Gli autori corrispondenti dei due articoli non hanno risposto alle richieste di commento.

 

«La mia preoccupazione nel leggere questi due studi è che il danno miocardico e le cicatrici sono presenti in un numero significativo di individui feriti da vaccino COVID fino a 18 mesi dopo la vaccinazione. Ciò suggerisce un potenziale danno cardiaco permanente derivante dai vaccini», ha dichiarato in una e-mail a Epoch Times la dottoressa Danice Hertz, responsabile della ricerca per il gruppo statunitense React19. «Le implicazioni a lungo termine non sono ancora note ma devono essere studiate attentamente».

 

I nuovi documenti si aggiungono a studi precedenti, che avevano scoperto che l’LGE persiste per mesi in alcune persone dopo un’iniezione di COVID-19.

 

Ricercatori nello stato di Washington hanno riferito nel 2022 che l’LGE persisteva nei bambini fino a otto mesi dopo la vaccinazione. Nello stesso anno, i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno affermato che più della metà dei 151 pazienti sottoposti a imaging di follow-up presentavano LGE residuo, che è stato descritto come «suggestivo di cicatrici miocardiche».

 

Ricercatori di Hong Kong nel 2023 avevano riferito di aver scoperto che circa la metà dei 40 pazienti sottoposti a risonanza magnetica di follow-up mesi dopo la vaccinazione avevano LGE.

 

I sintomi sono persistiti anche in alcuni pazienti con miocardite post-vaccinazione.

 

Il CDC, descrivendo i risultati preliminari aggiornati del suo studio a lungo termine, ha affermato all’inizio del 2023 che c’erano pazienti che soffrivano ancora di sintomi più di un anno dopo l’iniezione.

 

Ricercatori in Australia alla fine del 2023 hanno affermato che i sintomi persistevano almeno sei mesi dopo un’iniezione nella maggior parte dei pazienti seguiti.

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Come riportato da Renovatio 21, i dati dell’esercito americano confermano il picco di infiammazioni cardiache con l’introduzione del siero COVID. Già due anni fa uno studio sull’esercito americano confermava l’infiammazione cardiaca legata ai vaccini COVID. I dati tratti Defense Medical Epidemiology Database (DMED) pubblicati a marzo indicavano che le diagnosi della forma di infiammazione del cuore erano aumentate del 130,5% nel 2021 rispetto alla media degli anni dal 2016 al 2020.

 

La miocardite, che alcuni ritengono che in forma migliore può essere causata anche dall’infezione di COVID-19, è una malattia che può portare alla morte. Casi certificati di morti per miocardite da vaccino mRNA si sono avuti sia tra giovani che tra bambini piccoli.

 

La consapevolezza del ruolo del vaccino nella possibile manifestazione di questa malattia cardiaca, specie nei giovaniè diffusa presso praticamente tutte le istituzioni sanitarie dei Paesi del mondo.

 

Disturbo fino a poco fa abbastanza raro, abbiamo visto incredibili tentativi di normalizzare la miocardite infantile con spot a cartoni animati.

 

Alcuni casi suggeriscono che, anche anni dopo, persone affette da miocardite post-vaccinale non sono ancora guarite.

 

Come riportato da Renovatio 21, la miocardite nello sport è oramai un fenomeno impossibile da ignorare.

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Vaccini

Vaccini antinfluenzali collegati a un elevato rischio di ictus negli anziani: studio della FDA

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Alcune persone che hanno ricevuto un vaccino contro il COVID-19 erano a maggior rischio di ictus, ma un’analisi ha rilevato che il rischio era collegato alla vaccinazione antinfluenzale, hanno affermato i ricercatori della Food and Drug Administration (FDA) statunitense in un nuovo studio. Lo riporta la testata statunitense Epoch Times.   I ricercatori, analizzando i dati del programma sanitario pubblico americano Medicare, hanno rilevato un elevato rischio di ictus tra gli anziani a seguito della somministrazione di un vaccino bivalente contro il COVID-19 e disponibile dall’autunno del 2022 all’autunno del 2023.   Gli studiosi avrebbero scoperto che «c’era un rischio elevato di ictus non emorragico o attacco ischemico transitorio nelle persone di età pari o superiore a 85 anni dopo la vaccinazione bivalente Pfizer e nelle persone di età compresa tra 65 e 74 anni dopo la vaccinazione Moderna» scrive Epoch Times. I ricercatori hanno quindi esaminato quali persone hanno ricevuto un vaccino antinfluenzale contemporaneamente a un vaccino COVID-19 e avrebbero visto che il rischio elevato persisteva solo tra le persone che avevano ricevuto i vaccini contemporaneamente.

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I vaccini antinfluenzali ad alte dosi sono destinati principalmente agli anziani, mentre i vaccini antinfluenzali adiuvati sono un altro tipo di vaccino antinfluenzale.   «Il significato clinico del rischio di ictus dopo la vaccinazione deve essere attentamente considerato insieme ai benefici significativi derivanti dalla vaccinazione antinfluenzale», hanno affermato i ricercatori, aggiungendo in seguito che «sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio l’associazione tra vaccinazione antinfluenzale ad alte dosi o adiuvata e ictus».   Lo studio è stato pubblicato dal Journal of American Medical Association. In precedenza era stato archiviato come preprint.   Le limitazioni includono l’esclusione dei casi affetti da COVID-19 nei 30 giorni precedenti l’ictus nonché la limitazione dello studio alle persone vaccinate. Il metodo utilizzato dai ricercatori, una serie di casi autocontrollati, ha utilizzato le persone vaccinate sia come gruppo primario che come gruppo di controllo.   I ricercatori hanno considerato gli ictus verificatisi entro 42 giorni dalla vaccinazione come possibilmente collegati alla vaccinazione, mentre gli ictus verificatisi tra 43 e 90 giorni dopo la vaccinazione come non correlati alla vaccinazione.   Il documento includeva casi di ictus tra il 31 agosto 2022 e gennaio o febbraio 2023, a seconda del tipo di ictus. Dopo le esclusioni, sono stati inclusi 11.001 casi di ictus.   Gli unici conflitti di interesse elencati dai ricercatori riguardavano il fatto che alcuni di loro lavoravano per Acumen. Il documento è stato finanziato dalla FDA attraverso un accordo di cui Acumen è l’appaltatore. «La FDA ha avuto un ruolo nella progettazione e nella conduzione dello studio; interpretazione dei dati; preparazione, revisione o approvazione del manoscritto; e decisione di sottoporre il manoscritto per la pubblicazione. La FDA non ha avuto alcun ruolo nella raccolta, gestione o analisi dei dati», secondo lo studio.   Il possibile rischio di ictus per il vaccino bivalente della Pfizer e per gli anziani è stato segnalato per la prima volta all’inizio del 2023, scrive ET. La FDA e i Centri statunitensi per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) hanno affermato che all’epoca era apparso un segnale di sicurezza in un sistema di monitoraggio del governo. Il CDC ha successivamente affermato che i dati del sistema suggerivano che il rischio elevato derivava dalla somministrazione di un vaccino antinfluenzale con un vaccino anti-COVID-19.   Ricercatori francesi hanno affermato di aver esaminato se la somministrazione di un vaccino bivalente fosse collegata a un tasso più elevato di ictus e di altri eventi cardiovascolari rispetto alle vecchie versioni del vaccino e hanno scoperto che la somministrazione del primo era in realtà collegata a un tasso inferiore, riporta sempre Epoch Times.   «A 21 giorni dalla dose di richiamo, non abbiamo trovato prove di un aumento del rischio di eventi cardiovascolari tra i soggetti che hanno ricevuto il vaccino bivalente rispetto a quelli che hanno ricevuto il vaccino monovalente», hanno affermato in una lettera pubblicata dal New England Journal of Medicine.

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La dottoressa Kathryn Edwards e Marie Griffin della Vanderbilt University, che non erano coinvolte negli studi della FDA o in quelli francesi, hanno affermato in un editoriale pubblicato da JAMA questa settimana che i risultati della ricerca sono rassicuranti ma che il monitoraggio continuo dei vaccini antinfluenzali tra gli anziani «fornirebbe dati aggiuntivi sull’influenza rischio di ictus».   Come riportato da Renovatio 21, nel 2023 è emerso che, secondo dati, vi sarebbe stato un numero di morti 45 volte superiore dopo le iniezioni COVID in soli 2 anni rispetto a tutti i decessi correlati al vaccino antinfluenzale dal 1990.   Il CEO di Moderna Stéphane Bancel un anno fa aveva ammesso pubblicamente che di fatto il vaccino mRNA COVID sarebbe diventato come l’antinfluenzale, con le persone «vulnerabili» che lo faranno ciclicamente.   La Casa Bianca di Biden due anni fa era arrivata a fare la grottesca raccomandazione teologico-vacccinale per cui «Dio ci ha dato due braccia: una per il vaccino antinfluenzale, una per il vaccino COVID».   In preparazione, da anni, c’è un vaccino «antinfluenzale universale».   La correlazione tra vaccinazione contro l’influenza e mortalità da COVID-19 è stata oggetto di speculazioni già nel 2020, con uno studio del Pentagono USA che asseriva che il vaccino antinfluenzale aumentava il rischio del coronavirus del 36%.   Riguardo al vecchio vaccino antinfluenzale vi è stato in questi anni qualche dubbio, qualche storia agghiacciantequalche lotto ritirato, qualche morte sospetta, tuttavia ovviamente con «nessuna correlazione».

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Vaccini

Imprinting immunitario per i vaccinati e risposte insolite ai booster mRNA: studio

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Le persone che hanno assunto almeno tre dosi della versione originale del vaccino mRNA COVID-19 hanno avuto un forte imprinting immunitario, ha scoperto uno studio dell’Università di Washington. Lo riporta Epoch Times.

 

Di conseguenza, quando vaccinati con i più recenti richiami dell’mRNA di COVID-19 XBB.1.5, i riceventi hanno prodotto pochi o nessun anticorpo specifico per la variante XBB.1.5.

 

L’imprinting immunitario si verifica quando precedenti infezioni o vaccinazioni lasciano una memoria immunitaria così forte che il corpo continua a produrre cellule immunitarie e anticorpi mirati alla precedente esperienza immunitaria, anche se esposto a una nuova variante o vaccino.

 

L’imprinting immunitario «potrebbe essere un problema se la persona non fosse in grado di innescare una risposta immunitaria utile contro una nuova variante», ha detto alla testata statunitense il dottor Stanley Perlman, immunologo e microbiologo dell’Università dell’Iowa. Non è stato coinvolto nello studio.

 

Anche se ciò non si è verificato in questo studio, la maggior parte degli anticorpi prodotti dopo la vaccinazione avevano come bersaglio la variante originale del COVID-19 e non XBB.1.5.

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«L’imprinting non è un concetto nuovo, ma la situazione che stiamo osservando sembra essere piuttosto unica», ha affermato David Veesler, che ha un dottorato in biologia strutturale, è professore e presidente del Dipartimento di Biochimica dell’Università di Washington e ricercatore con l’Howard Hughes Medical Institute, in un comunicato stampa.

 

L’imprinting immunitario è un fenomeno ben noto che può verificarsi con altre infezioni e virus. Nuove infezioni influenzali distinte dalle varianti precedenti possono superare l’imprinting derivante dalle vaccinazioni e dalle infezioni antinfluenzali.

 

Tuttavia, nello studio UW, l’imprinting immunitario persisteva anche tra i soggetti infettati dalle nuove varianti di omicron.

 

«È completamente diverso da ciò che sappiamo del virus dell’influenza», ha affermato Veesler.

 

«L’imprinting immunitario persiste dopo esposizioni multiple ai picchi di Omicron attraverso la vaccinazione e l’infezione, inclusa la vaccinazione di richiamo post XBB.1.5, che dovrà essere presa in considerazione per guidare la futura vaccinazione», scrivono gli autori dello studio.

 

Allo studio hanno partecipato più di 20 persone con una storia di tre o più vaccini mRNA della variante Wuhan. La maggior parte era stata infettata da infezioni da COVID-19 pre e post-omicron.

 

Oltre ai vaccini originali a mRNA, la maggior parte dei partecipanti ha assunto il richiamo bivalente o il richiamo XBB.1.5. Al momento dello studio, tutti i partecipanti avevano effettuato da quattro a sette iniezioni.

 

Gli autori hanno scoperto che la maggior parte degli anticorpi prodotti dopo l’inoculazione dell’mRNA XBB.1.5 erano i migliori nel neutralizzare la variante originale di Wuhan COVID-19.

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Gli anticorpi avevano la seconda maggiore potenza neutralizzante contro la variante BA.2.86 omicron. Gli anticorpi erano il terzo più potente contro XBB.1.5 nelle persone che avevano assunto il vaccino XBB.1.5.

 

Questi anticorpi erano cross-reattivi, nel senso che potevano anche legarsi ad altre varianti, comprese le varianti XBB.1.5. Tuttavia, erano presenti pochi o nessun anticorpo specifico per XBB.1.5.

 

Alcune persone hanno prodotto nuove cellule immunitarie che hanno riconosciuto solo XBB.1.5. Tuttavia, dei 12 partecipanti valutati, solo cinque avevano cellule immunitarie che riconoscevano XBB.1.5 ma non la variante Wuhan.

 

«La maggior parte degli anticorpi richiamati dai richiami vaccinali aggiornati sono cross-reattivi e aiutano a bloccare nuove varianti, il che è positivo. Tuttavia, potremmo fare un lavoro ancora migliore? La risposta è molto probabilmente sì», ha affermato Vessler.

 

Una possibile spiegazione è che il vaccino mRNA crea un effetto di imprinting immunitario più robusto rispetto ai vaccini precedentemente noti. Gli autori hanno citato un altro studio che ha scoperto che l’inoculazione con virus COVID-19 uccisi ha prodotto un effetto di imprinting ridotto negli esseri umani.

 

«I vaccini inattivati ​​inducono una risposta immunitaria più debole, quindi ci sono meno possibilità che la risposta sia influenzata» verso una variante, ha detto il dottor Perlman.

 

«I vaccini mRNA potrebbero essere stati così efficaci e suscitato risposte immunitarie così forti che l’imprinting potrebbe essere più forte di quello che siamo abituati a vedere con i vaccini per altri virus come quello dell’influenza», ha affermato Veesler.

 

L’imprinting immunologico, conosciuto anche come «peccato originale antigenico» (e noto anche come effetto Hoskins), si riferisce alla tendenza del sistema immunitario umano a fare affidamento sulla memoria immunologica anziché generare nuovi anticorpi in risposta a una seconda esposizione al patogeno, anche se questo presenta caratteristiche diverse rispetto a quello originario.

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Questo fenomeno costringe il sistema immunitario a utilizzare la stessa risposta immunitaria contro lo stesso antigene, impedendogli di sviluppare nuove risposte contro il patogeno (come virus o batteri) che nel frattempo può aver subito mutazioni. Il peccato originale antigenico è stato osservato in virus come l’influenza, la dengue, l’HIV e molti altri.

 

Questo principio fu per la prima volta formulato nel 1960 dal virologo ed epidemiologo Thomas Francis (1900-1969) nel suo articolo «On the Doctrine of Original Antigenic Sin» («Sulla dottrina del peccato originale antigenico»), e prese il nome per analogia con il concetto teologico del peccato originale.

 

«Nella vita, durante la prima infezione dal virus dell’influenza di tipo A, il bambino produrrà anticorpi diretti principalmente contro l’antigene dominante del patogeno» sosteneva, secondo Richard Krause, lo studioso che guidò lo sviluppo del vaccino polio con il suo studente Jonas Salk. «L’impronta del primo ceppo di virus nel sistema immunitario condizionerà le future risposte immunitarie. Questo è quello che intendiamo come “peccato originale antigenico”».

 

Detto anche primary addiction, il concetto sottolinea la propensione del sistema immunitario a utilizzare preferenzialmente la memoria immunologica basata su una precedente infezione quando viene incontrata una seconda versione leggermente diversa di quell’agente patogeno estraneo (ad esempio un virus o un batterio). Ciò lascia il sistema immunitario «intrappolato» dalla prima risposta che ha dato a ciascun antigene e incapace di innescare risposte potenzialmente più efficaci durante le infezioni successive. Gli anticorpi o le cellule T indotti durante le infezioni con la prima variante dell’agente patogeno sono soggetti al congelamento del repertorio, una forma di peccato antigenico originale.

 

Già in passato La relativa inefficacia del richiamo bivalente contro la variante SARS-CoV-2 Omicron nei pazienti che avevano precedentemente ricevuto vaccini COVID-19 è stata attribuita all’imprinting immunologico in un articolo («Vaccini bivalenti contro il Covid-19: un avvertimento») pubblicato nel febbraio 2023 dal prestigioso New England Journal of Medecine a firma dell’ultravaccinista Paul Offit.

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