Famiglia
Coronavirus, la famiglia in prima linea
Pubblichiamo la lettera che il cofondatore e portavoce di Renovatio 21 ha scritto al giornale di informazione sanitaria Nurse Times.
Scegliere di lavorare in questo campo vuol dire scegliere di essere in prima linea, o quantomeno di correre il rischio di potercisi ritrovare
Gentile Direttore,
Lo stato di emergenza in cui ci siamo trovati e in cui ci troviamo è qualcosa che, possiamo dirlo, non ha precedenti storici. Lungi da me il voler entrare nell’agone dell’epidemiologia o della scienza più in generale: sono un semplice operatore socio-sanitario che lavora in una Casa Residenziale per anziani in provincia di Reggio Emilia e, come tale, vorrei rimanere nel campo che più mi riguarda, ovvero quello sociale.
Il COVID-19, oltre ad avanzare rischiando di creare un collasso sanitario ed economico, investe anche la dimensione sociale, facendo a brandelli tutto ciò che è l’apparato aggregativo, emotivo e psicologico della nostra società
Il COVID-19, oltre ad avanzare rischiando di creare un collasso sanitario ed economico, investe anche la dimensione sociale, facendo a brandelli tutto ciò che è l’apparato aggregativo, emotivo e psicologico della nostra società già parecchio martoriata.
In questo preciso momento storico ci sono tante figure professionali da ringraziare, particolarmente coinvolte nell’ambito sanitario e, appunto, socio-assistenziale. Professionisti che stanno impiegando forze, energie, emozioni e testa in un delirio caotico all’interno del quale è persino difficile muoversi.
Credo però, in fondo, che ciascuno di questi professionisti non senta nemmeno il bisogno di essere ringraziato giacché scegliere di lavorare in questo campo vuol dire scegliere di essere in prima linea, o quantomeno di correre il rischio di potercisi ritrovare. Etica e professionalità impongono senso del dovere e tanto, tanto cuore.
Vi è però sicuramente un’altra categoria che ora sta in prima linea, e di cui credo di potermi permettere di parlare per conoscenza diretta: tutti i familiari che ora, a causa di questa emergenza, sono costretti – per ragioni ed azioni ovviamente volte alla prevenzione e quindi al miglior bene – a non vedere i loro cari a tempo indeterminato.
Vi è però sicuramente un’altra categoria che ora sta in prima linea: i familiari che ora sono costretti – a non vedere i loro cari
Questo fenomeno avviene ora, in questo preciso istante per quanto riguarda le strutture residenziali per anziani.
Le visite sono chiuse per evitare che possa avvenire il contagio all’interno di esse, dove il danno sarebbe non certo piccolo. Una decisione più che mai urgente, indispensabile e improcrastinabile, certamente. Ma ciò non vuol dire che essa non costi dolore, sacrificio, senso di lontananza e impotenza.
È un vuoto che anche noi operatori sanitari sentiamo. Lo respiriamo nelle domande che ci fanno i nostri ospiti a proposito dei loro parenti. Lo ascoltiamo nelle telefonate commosse che ci pervengono dai familiari dei nostri ospiti, che ci chiedono come sta il proprio caro e per quanto ancora non potranno vederlo.
È un vuoto che anche noi operatori sanitari sentiamo. Lo respiriamo nelle domande che ci fanno i nostri ospiti a proposito dei loro parenti. Lo ascoltiamo nelle telefonate commosse che ci pervengono dai familiari dei nostri ospiti
Non abbiamo risposta a questo, ma abbiamo la certezza di avere una grande responsabilità verso i nostri ospiti: quella di non farli sentire soli, di far capir loro che questa guerra, stavolta, la combatteremo noi anche per loro, come loro ne hanno combattute per noi e per i nostri figli.
In contrapposizione ad un fin troppo diffuso utilitarismo, il nostro compito è anche quello di essere il collante di un tessuto sociale oggi più che mai delicato e il più delle volte trascurato.
Per questo motivo vorrei ringraziare tutti i colleghi che sono in prima linea per questo, ma anche tutti quei familiari che non senza sacrificio ora ripongono tutta la loro fiducia su di noi, trasudando lacrime, gioia ma anche tanta speranza. Affidandosi e affidando i loro cari.
Vorrei ringraziare tutti i colleghi che sono in prima linea per questo, ma anche tutti quei familiari che non senza sacrificio ora ripongono tutta la loro fiducia su di noi
Una cosa è certa: questa ben poco ordinaria circostanza ci sta insegnando che l’esistenza umana non può esser fatta solo di frenesia e consumo a breve termine.
Il mondo si è fermato, ma il silenzio che ci circonda fa più rumore che mai e ci dice che l’essenza delle cose sta nelle piccole esperienze della vita quotidiana, dove tutto sembra scontato ma, calato il velo, si rivela più fondamentale che mai.
Cristiano Lugli
Bioetica
Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni.
Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.
Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?
Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza.
«Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»
Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:
«Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».
Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:
«In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».
Michael Cook
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Famiglia
L’Irlanda vota per mantenere il linguaggio «sessista» nella sua Costituzione
Gli elettori irlandesi hanno respinto a stragrande maggioranza la proposta di rivedere la definizione di famiglia nella Costituzione del Paese e di rimuovere la menzione dei «doveri domestici» delle donne. Sia il governo che i partiti di opposizione hanno sostenuto che il testo attuale contiene un linguaggio antiquato e sessista sulle donne e sul loro ruolo nella società.
Venerdì si è svolto il referendum in materia, in significativa concomitanza con la Giornata internazionale della donna.
Agli elettori è stata offerta la possibilità di espandere la tutela costituzionale delle famiglie per includere quelle fondate su «relazioni durevoli» diverse dal matrimonio. È stato anche proposto loro di eliminare la clausola sul dovere dello Stato di «garantire che le madri non siano costrette, per necessità economica, a impegnarsi nel lavoro trascurando i loro doveri domestici».
Secondo i risultati ufficiali diffusi sabato sera, il 67,7% ha votato contro la ridefinizione della famiglia, mentre quasi il 74% ha respinto la rimozione della clausola dei «doveri domestici».
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«Penso che sia chiaro in questa fase che i referendum sull’emendamento sulla famiglia e sull’emendamento sull’assistenza sono stati sconfitti», ha detto sabato il primo ministro di origine indiana Leo Varadkar, il primo premier irlandese gay dichiarato, in una conferenza stampa a Dublino, ammettendo che le autorità non sono riuscite a convincere la maggioranza dell’opinione pubblica.
In precedenza aveva sostenuto che il voto per il «no» sarebbe stato «un passo indietro» per i diritti delle donne e aveva criticato «il linguaggio molto antiquato e molto sessista» della costituzione. Anche il vice primo ministro Micheal Martin ha espresso la sua frustrazione per i risultati, ma ha sottolineato che il governo li «rispetta pienamente».
Secondo i media irlandesi, la formulazione vaga degli emendamenti, i problemi di comunicazione e la campagna poco brillante sono stati tra i motivi per cui la gente ha votato «no».
Adottata nel 1937, la costituzione irlandese è stata fortemente influenzata dalla Chiesa cattolica e, secondo i critici, riflette posizioni conservatrici sulle questioni sociali.
Nell’ultimo decennio, tuttavia, il Paese ha legalizzato i matrimoni tra persone dello stesso sesso e ha abrogato il divieto quasi totale di aborto, dopo una campagna finanziata ampiamente da potentati economici internazionali interessati per qualche ragione a introdurre il figlicidio anche nella terra di San Patrizio.
Come riportato da Renovatio 21, ora il 95% delle donne irlandesi uccide il proprio figlio nel grembo materno se i test indicano che il bambino potrebbe avere la sindrome di Down.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
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