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Che cos’è il «Clinton Body Count?»

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Con l’arresto di Ghislaine Maxwell è riapparsa immediatamente in rete la satira più nera: ecco le foto ritoccate dove, come in un messaggio di richiesta di amicizia su Facebook, Hillary manda alla ritrovata Maxwell una «suicide request», una richiesta di suicidio.

 

Va detto che fecero lo stesso l’anno scorso quanto presero Epstein: in rete circolavano elogi funebri satirici della Clinton settimana prima che Epstein venisse ritrovato «suicidato» in carcere.

 

Un libro di imminente uscita –  A Convenient Death: The Mysterious Demise of Jeffrey Epstein – racconterebbe che la Maxwell era amante del marito di Hillary. I giornali ultimamente tendono a dimenticare un particolare assurdo emerso quando perquisirono il misterioso palazzo di Epstein in Upper West Side (il quartiere degli ultra-ricchi) a Nuova York: saltò fuori un quadro che dipingeva Bill Clinton con indosso delle scarpe col tacco a spillo. Sul significato di questa opera, moltissimi si stanno ancora interrogando.

 

Tuttavia è inevitabile che riaffori ora anche la ciclica storia della «Clinton Body Count», «la conta dei morti dei Clinton».

 

Ma che che cos’è? Se leggiamo su Wikipedia, la parola «teoria del complotto» è piazzata sulla prima riga: si tratta di una «una teoria complottistica (…) che afferma che l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e sua moglie Hillary abbiano ucciso cinquanta o più dei loro collaboratori». Secondo l’enciclopedia online, il Chicago Tribune e il sito di debunking Snopes avrebbero smontato la lista.

 

Noi ve la forniamo lo stesso, visto che oramai è stata già pubblicata da tutti. Tre anni fa la CBS di Las Vegas pubblicò per intero questo elenco di persone in relazione con Bill e Hillary Clinton  morti in circostanze misteriose durante tutta la durata del potere della coppia, dagli esordi nel piccolo stato dell’Arkansas alla Casa Bianca ed oltre. La lista finì citata anche in un bizzarro documentario inglese sulle teorie cospirative intorno al potere americano andato in onda nel Regno Unito nella settimana del voto americano nel 2016.

 

 

1- James McDougal – morto per un apparente attacco cardiaco, mentre era in isolamento. Fu un testimone chiave nelle indagini di Kenneth Starr, il procuratore che voleva incastrare Bill Clinton passato poi incredibilmente ad avvocato difensore di Epstein al suo primo processo in Florida. Coinvolto nel caso Whitewater, uno scandalo immobiliare dei Clinton

È inevitabile che riaffori ora anche la ciclica storia della «Clinton Body Count», «la conta dei morti dei Clinton»

 

2 – Mary Mahoney – Un’ex stagista della Casa Bianca assassinata nel luglio 1997 in una caffetteria Starbucks a Georgetown. L’omicidio avvenne  subito dopo la pubblicazione di una sua storia di molestie sessuali alla Casa Bianca.

 

3 – Vince Foster – Ex consigliere della Casa Bianca e collega di Hillary Clinton presso lo studio legale Rose di Little Rock. Morì per una ferita da arma da fuoco alla testa, venne categorizzato come  suicidio.

 

4 – Ron Brown – Segretario al Commercio ed ex Presidente dei Democratici. Morto ufficialmente per l’impatto di un incidente aereo. Un patologo vicino alle indagini ha riferito che c’era un buco nella parte superiore del cranio di Brown che ricordava una ferita da arma da fuoco. Al momento della sua morte Brown era indagato e parlava pubblicamente della sua volontà di concludere un accordo con i pubblici ministeri. Morirono anche il resto delle persone a bordo dell’aereo e pochi giorni dopo il controllore del traffico aereo si suicidò.

 

5 – C. Victor Raiser, II – Raiser, uno dei principali responsabili dell’organizzazione di raccolta fondi di Clinton, morì in un incidente aereo privato nel luglio 1992.

 

6 – Paul Tulley – Direttore politico del Comitato nazionale democratico trovato morto in una stanza d’albergo a Little Rock, nel settembre 1992. Descritto da Clinton come «caro amico e consigliere fidato».

 

Giornale dell’epoca titola «Dubbi sul “suicidio ” di Foster»

 

7 – Ed Willey – Addetto alla raccolta fondi dei Clinton, trovato morto nel novembre 1993 nel profondo del bosco in Virginia per una ferita da arma da fuoco alla testa. Si è suicidato. Ed Willey morì lo stesso giorno in cui sua moglie Kathleen Willey affermò che Bill Clinton la approcciò nell’ufficio ovale alla Casa Bianca.

 

8 – Jerry Parks – Capo della squadra di sicurezza governativa di Clinton a Little Rock. Gli spararono in macchina in un incrocio deserto fuori Little Rock Park. Il figlio disse che suo padre stava costruendo un dossier su Clinton. Dopo la sua morte i file furono misteriosamente rimossi da casa sua.

 

9 – James Bunch – Deceduto per suicidio da arma da fuoco. È stato riferito che aveva un «Libro nero» che conteneva nomi di persone influenti che visitavano prostitute in Texas e Arkansas.

 

10 – James Wilson – Fu trovato impiccato nel maggio 1993. È stato riferito che aveva legami con Whitewater, lo scandalo legato agli investimenti immobiliari in Arkansas di Bill e Hillary Clinton e dei loro soci.

 

11 – Kathy Ferguson – Ex moglie del soldato dell’Arkansas Danny Ferguson, fu trovata morta nel maggio 1994, nel suo salotto con un colpo di pistola alla testa. Fu considerato un suicidio anche se c’erano diverse valigie piene, come se stesse andando da qualche parte. Danny Ferguson era un co-imputato insieme a Bill Clinton nella causa di Paula Jones, una donna che si disse molestata da Bill Clinton. Kathy Ferguson era un possibile testimone corroborante di Paula Jones.

 

12 – Bill Shelton – Arkansas State Trooper e fidanzato di Kathy Ferguson. Critico dell’idea secondo la quale la sua fidanzata si sarebbe uccisa, è stato trovato morto nel giugno 1994 per una ferita da arma da fuoco davanti alla tomba dell’amata.

 

13 – Gandy Baugh – L’avvocato dell’amico di Clinton Dan Lassater, è morto saltando fuori da una finestra di un alto edificio nel gennaio 1994. Il suo cliente era un distributore di droga condannato.

 

Se leggiamo su Wikipedia, la parola «teoria del complotto» è piazzata sulla prima riga la Clinton Body Count è una «una teoria complottistica (…) che afferma che l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e sua moglie Hillary abbiano ucciso cinquanta o più dei loro collaboratori»

14 – Florence Martin – Ragioniere e subappaltatore per la CIA, era legato al caso Barry Seal, Mena ( Arkansas) un caso di traffico di droga aeroportuale. (vedi sotto)

 

15 – Suzanne Coleman – Secondo quanto riferito, aveva una relazione con Clinton quando era procuratore generale dell’Arkansas. Morì per una ferita da arma da fuoco alla parte posteriore della testa: la morte venne schedata come suicidio. Era incinta al momento della sua morte.

 

16 – Paula Grober – Interprete vocale di Clinton per non udenti dal 1978 fino alla sua morte, il 9 dicembre 1992. Morì in un incidente automobilistico.

 

17 – Danny Casolaro – Giornalista investigativo, stava  indagando sull’aeroporto di Mena e sull’autorità di finanziamento dello sviluppo dell’Arkansas. Si è tagliato i polsi, a quanto pare, nel mezzo della sua indagine.

 

18 – Paul Wilcher – L’avvocato che indaga sulla corruzione all’aeroporto di Mena con Casolaro e la «October surprise» del 1980 fu trovato morto in bagno il 22 giugno 1993, nel suo appartamento di Washington DC aveva consegnato un rapporto a Janet Reno 3 settimane prima della sua morte.

 

19 – Jon Parnell Walker – Investigatore dello Scandalo Whitewater per la risoluzione Trust Corp. Saltò dal suo balcone dell’appartamento di Arlington, in Virginia, il 15 agosto 1993. Stava indagando sullo scandalo Morgan Guaranty, un altro scandalo che investiva i McDougal, amici dei Clinton implicati anche nel Whitewater.

 

20 – Barbara Wise – Staff del dipartimento del commercio. Ha lavorato a stretto contatto con Ron Brown e John Huang. Causa della morte: sconosciuta. Morì il 29 novembre 1996. Il suo corpo nudo e percosso fu trovato chiuso nel suo ufficio presso il Dipartimento del Commercio.

 

21 – Charles Meissner – Assistente del Segretario al Commercio che ha concesso a John Huang un nulla osta di sicurezza, è morto poco dopo in un piccolo incidente aereo.

 

22 – Dr. Stanley Heard – Il presidente del Comitato consultivo nazionale per la cura della chiropratica è morto con il suo avvocato Steve Dickson in un piccolo incidente aereo.

La morte di Barry Seal

 

23 – Barry Seal – Pilota della compagnia aerea commerciale TWA che agiva come corriere della droga da Mena (Arkansas). Testimoniò il coinvolgimento della CIA nelle attività di contrabbando di droga dal Sudamerica, cartello di Pablo Escobar in luso. È morto per tre ferite da arma da fuoco. Di recente Tom Cruise ci ha fatto un film, American Made, che include anche le figure di Clinton (di cui si vede una telefonata che libera Seal appena arrestato) e di Bush.

 

24 – Johnny Lawhorn, Jr. – Meccanico, trovò un assegno intestato a Bill Clinton nel bagagliaio di un’auto lasciata nel suo negozio di riparazioni. Fu quindi trovato morto dopo che la sua macchina colpì un traliccio telefonico.

 

25 – Stanley Huggins – Altro investigatore del caso Madison Guaranty. La sua morte fu un presunto suicidio e il suo rapporto non fu mai pubblicato.

 

26 – Hershell Friday – L’avvocato della raccolta fondi di Clinton morì il ​​1 ° marzo 1994, quando il suo aereo esplose.

 

Don Henry e Kevin Ives

27 – Kevin Ives e Don Henry – Noto come caso dei «ragazzi dei binari». I rapporti dicono che i ragazzi potrebbero essersi imbattuti nell’operazione di droga dell’aeroporto di Mena Arkansas. Un caso controverso: secondo il rapporto iniziale sulla morte, si sarebbero addormentati sui binari della ferrovia. Rapporti successivi affermano che i 2 ragazzi erano stati uccisi prima di essere messi sui binari. Molti sospettano che la testimonianza potesse arrivare davanti a un Gran Giurì. La loro morte potrebbe aver ingenerato, sostiene qualcuno, le seguenti morti di persone che avevano informazioni sul caso.

 

28 – Keith Coney – Morì quando la sua moto sbatté sul retro di un camion, luglio ‘88. Potrebbe aver avuto informazioni su Ives/Henry.

 

29 – Keith McMaskle – Pugnalato 113 volte, novembre 1988. Potrebbe aver avuto informazioni su Ives/Henry.

 

30 – Gregory Collins – Morì per una ferita da arma da fuoco del gennaio 1989. Potrebbe aver avuto informazioni su Ives/Henry.

 

31 – Jeff Rhodes – Gli hanno sparato, lo hanno mutilato e trovato bruciato in una discarica nell’aprile 1989. Potrebbe aver avuto informazioni su Ives/Henry.

 

32 – James Milan – Trovato decapitato. Tuttavia, il medico legale ha stabilito che la sua morte era dovuta a «cause naturali». Potrebbe aver avuto informazioni su Ives/Henry.

 

34 – Richard Winters – Un sospettato nelle morti di Ives / Henry. Fu ucciso in una rapina organizzata nel luglio 1989.

Bodyguard dei Clinton,  mestiere tra i più pericolosi al mondo

 

Vi è quindi una lista di  bodyguard dei Clinton,  mestiere tra i più pericolosi al mondo. 

 

35 – Major William S. Barkley, Jr.

 

36 – Capitano Scott J. Reynolds

 

37 – Sergente Brian Hanley

Non dimentichiamo il caso sospetto più recente, Seth Rich, assassinato e «rapinato» (di nulla) il 10 luglio 2016. Per alcuni era coinvolto nell’hacking delle email dei democratici.  Il fondatore di Wikileaks Assange afferma di avere informazioni in merito; sappiamo dov’è Assange ora

 

38 – Sergente Tim Sabel

 

39 – Generale Maggiore William Robertson

 

40 – Colonnello William Densberger

 

41 – Colonnello Robert Kelly

 

42 – Gary Rhodes

 

43 – Steve Willis

 

44 – Robert Williams

 

In questa lista non sono inclusi i 4 ex-soldati al soldo della CIA uccisi a Bengasi per difendere l’ambasciatore nel fatale 2011

45 – Conway LeBleu

 

46 – Todd McKeehan

 

Infine non dimentichiamo il caso sospetto più recente, Seth Rich, assassinato e «rapinato» (di nulla) il 10 luglio 2016. Per alcuni era coinvolto nell’hacking delle email dei democratici.  Il fondatore di Wikileaks Assange afferma di avere informazioni in merito; sappiamo dov’è Assange ora.

 

Il 47° di questa fantasiosa lista mai comprovata potrebbe essere Jeffrey Epstein. Clinton, ricordiamo, ha viaggiato per almeno 27 volte sul jet di Epstein ribattezzato «Lolita Express».

In questa lista non sono inclusi i 4 ex-soldati al soldo della CIA uccisi a Bengasi per difendere l’ambasciatore nel fatale 2011. Lasciati morire senza che  dalla Sicilia non partisse nemmeno mezzo drone per togliere l’assedio sanguinario in cui erano finiti. Ciò è visibile perfino nel film fracassone che ne ha fatto Hollywood, , 13 hours , un polpettone action di pura propaganda  che sembra creato per dare la colpa alla CIA invece che al Dipartimento di Stato e agli intrighi orditi dall’allora segretario di Stato Hillary Clinton.

 

Il 47° di questa fantasiosa lista mai comprovata potrebbe essere Jeffrey Epstein. Clinton, ricordiamo, ha viaggiato per almeno 27 volte sul jet di Epstein ribattezzato «Lolita Express».

 

Il numero 48 dell’elenco complottista potrebbe essere invece Ghislaine Maxwell?

 

Il numero 48 dell’elenco complottista potrebbe essere invece Ghislaine Maxwell? Oppure la Maxwell puntellerà la difesa dei Clinton e colpirà qualche altro potente della terra, fors’anche Donald Trump?

Oppure la Maxwell puntellerà la difesa dei Clinton e colpirà qualche altro potente della terra, fors’anche Donald Trump?

 

 

 

 

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Geopolitica

Putin ha parlato con il presidente iraniano

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Il presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin ha parlato con il suo omologo iraniano, Ebrahim Raisi, in seguito all’attacco di droni e missili di Teheran contro Israele. Lo riporta RT, che cita l’apparato comunicativo del Cremlino.

 

Sabato l’Iran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, come «punizione» per il bombardamento del consolato iraniano a Damasco, in Siria, che all’inizio del mese ha ucciso sette ufficiali di alto rango della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), cioè i pasdaran.

 

Raisi ha telefonato a Putin martedì pomeriggio per discutere della «situazione aggravata» nella regione e delle «misure di ritorsione» adottate da Teheran, secondo la lettura della chiamata.

 

Putin «ha espresso la speranza che tutte le parti mostrino ragionevole moderazione e non permettano un nuovo round di scontro, carico di conseguenze catastrofiche per l’intera regione», ha affermato il Cremlino.

 

Raisi «ha osservato che le azioni dell’Iran sono state forzate e di natura limitata», aggiungendo che Teheran «non era interessata a un’ulteriore escalation delle tensioni».

 

Entrambi i presidenti hanno convenuto che la causa principale dell’attuale conflitto è il conflitto israelo-palestinese irrisolto, chiedendo un «cessate il fuoco immediato» a Gaza, la fornitura di aiuti umanitari e la creazione di condizioni per una soluzione politica e diplomatica.

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Israele ha promesso di fornire una risposta «chiara e decisiva» all’attacco iraniano, che secondo il governo dello Stato Ebraico è stato in gran parte intercettato. Tuttavia, secondo quanto riferito, l’esercito israeliano sta lavorando a un piano che sarebbe accettabile per gli Stati Uniti.

 

Nel frattempo, l’esercito iraniano ha descritto l’attacco come un grande successo. L’«Operazione Vera Promessa» ha dimostrato che le difese israeliane erano «più fragili di una ragnatela», ha detto martedì in una conferenza stampa il generale di brigata Kioumars Heydari, comandante delle forze di terra iraniane.

 

«Le forze armate iraniane hanno infranto il tabù sulle capacità del regime israeliano, hanno dimostrato la loro potenza, hanno chiarito che l’era del mordi e fuggi è finita e hanno definito nuove regole per la regione», ha detto lo Heydari, secondo l’agenzia iraniana Tasnim News.

 

Subito dopo l’attacco iraniano erano circolate su vari gruppi Telegram italiani affermazioni totalmente false secondo cui Putin avrebbe dichiarato subito di appoggiare totalmente l’Iran. Si trattava di una fake news vera e propria mandata in giro tranquillamente da canali e influencer della «dissidenza» rispetto a NATO, vaccini, etc.

 

Chiediamo ai lettori di non frequentare i propalatori di bufale (come quella, di qualche settimana fa, che annunziava solennemente che il re britannico era morto, o quella, circolata l’altro ieri, per cui a spirare stavolta sarebbe stato invece il Klaus Schwab) e concentrarsi su Renovatio 21, vera fonte limpida, veritiera ed approfondita che vuole restare anni luce distante dai drogati di dopamina schermica e dalle panzane stupidi irresponsabili.

 

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Geopolitica

L’Ucraina vuole dall’Occidente le stesse garanzie di Israele

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Kiev vuole garanzie di sicurezza da parte dei suoi sostenitori occidentali simili al livello di protezione che gli Stati Uniti forniscono a Israele, ha detto mercoledì il capo dello staff del presidente Volodymyr Zelens’kyj, Andrey Yermak.   Il governo ucraino sta negoziando una serie di trattati intesi a suggellare l’allineamento filo-occidentale del paese fino a quando non gli verrà concessa la piena adesione alla NATO. Funzionari di Kiev affermano che gli accordi garantiranno assistenza militare a lungo termine da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, indipendentemente dai cambiamenti politici che potrebbero altrimenti spingere i donatori a tagliare gli aiuti.   «Un accordo tra Stati Uniti e Ucraina non deve funzionare peggio del memorandum americano con Israele, la cui efficacia è stata confermata dalle azioni congiunte degli alleati durante la deviazione dell’attacco di massa contro Israele da parte dell’Iran», ha scritto lo Yermak sui social media.

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Teheran ha lanciato una raffica di droni e missili contro Israele lo scorso fine settimana come rappresaglia per l’attacco aereo del 1° aprile sul suo consolato a Damasco, di cui ha attribuito la colpa allo Stato ebraico.   La mossa attesa da tempo ha provocato solo «danni minori», secondo Israele, poiché Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno utilizzato le loro risorse militari per aiutare a fermare la maggior parte dei proiettili iraniani.   Secondo gli esperti della difesa locale, le intercettazioni sono costate a Israele un miliardo di dollari.   Come riportato da Renovatio 21, nelle scorse ore, lo Zelens’kyj ha condannato gli attacchi iraniani dichiarandosi completamente dalla parte di Israele e tracciato paralleli tra le azioni di Teheran e le tattiche della Russia in Ucraina   I funzionari occidentali hanno chiarito che Kiev non dovrebbe aspettarsi il tipo di intervento di cui ha beneficiato Israele la settimana scorsa.   «Mettere le forze della NATO direttamente in conflitto con le forze russe – penso che sarebbe un’escalation pericolosa», ha detto lunedì il ministro degli Esteri britannico David Cameron. Invece di «aerei occidentali sui cieli che cercano di abbattere qualcosa», l’Ucraina ha bisogno di sistemi di difesa aerea, ha spiegato.   Kiev sollecita da mesi gli Stati Uniti ad andare avanti con lo stanziamento di oltre 60 miliardi di dollari in aiuti, che è stato bloccato dal presidente della Camera Mike Johnson. Le discussioni a cui lo Yermak ha partecipato riguardavano «il piano d’azione subito dopo che il Congresso degli Stati Uniti avrà preso una decisione sugli aiuti militari per l’Ucraina», ha detto.   Alcuni media statunitensi hanno ipotizzato che Johnson potrebbe cedere alle pressioni pro-Kiev e sottoporre al voto il disegno di legge approvato dal Senato dopo l’attacco iraniano. Il disegno di legge prevede fondi per Ucraina, Israele e Taiwan.   Come riportato da Renovatio 21, secondo alcuni, come la deputata trumpiana della Georgia Marjorie Taylor-Greene, il Johnson potrebbe essere sotto ricatto.

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I rapporti tra Kiev ed Israele sono stati, in questi due anni di guerra, altalenanti. Ad inizio del conflitto l’atteggiamento dello Stato ebraico era ben diverso: dopo una visita al Cremlino, l’allora premier Naftali Bennet di fatto consigliò a Zelens’kyj di arrendersi; il Paese resisteva alle pressioni di Biden per la fornitura di armi agli ucraini, e l’immancabile collegamento dello Zelens’kyj (che è di origini ebraiche, come lo è il suo mentore, l’oligarca Igor Kolomojskij, cittadino israeliano che nel Paese fu visitato molteplici volte dal futuro presidente ucraino) con la Knesset, cioè il Parlamento israeliano, incontrò una certa freddezza.   Ora il quadro sembra cambiato. Dopo Naftali Bennet, il premier è divenuto Yair Lapid, che sembra avere rapporti estremamente cordiali con il Paese occidentale più ferocemente nemico della Russia, la Gran Bretagna. Con il nuovo governo Netanyahu le cose cambiano ulteriormente: a fine 2023 Israele ha detto a Zelens’kyj di non volere la sua visita.   Come riportato da Renovatio 21, nel 2023 Zelens’kyj non è stato incluso nella lista dei 50 «ebrei più influenti» del 2023 compilata ogni anno dal quotidiano israeliano Jerusalem Post. Lo Zelens’kyj era in cima alla lista nel 2022 nel conflitto in corso tra Mosca e Kiev, quest’anno invece ne è stato escluso, ed è stata data menzione invece a Evgenij Prigozhin, che era anch’egli di origine ebraiche. Nello Stato Ebraico l’attuale presidente ucraino avrebbe comprato una casa per i genitori.   Putin ha accusato l’Occidente di usare le origini ebraiche di Zelens’kyj per distrarre dal ritorno del nazismo in Ucraina. Tre mesi fa una timida critica, superficiale e con paraocchi, era stata tentata anche dall’ambasciatore israeliano a Kiev. Nel frattempo, una delegazione del battaglione Azov, un tempo denunciato da vari quotidiani internazionali come neonazista, è andata in visita in Israele.   Zelens’kyj lo scorso mese ha dichiarato di voler perseguire un «modello israeliano», facendo dell’Ucraina un alleato finanziato e armato pesantemente dagli USA.   Israele in questi mesi aveva dichiarato di non voler fornire il sistema di difesa antiaerea «Iron Dome» agli ucraini per timore che potesse cadere poi in mano iraniana. A inizio anno Tel Aviv aveva rifiutato la pressione USA per fornire batteria di difesa aerea all’Ucraina.   Come riportato da Renovatio 21circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbe ora fuggita all’estero, ha rivelato un rabbino di Kiev al Washington Post a inizio mese.

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Geopolitica

Milei offre «chiaro e inflessibile sostegno a Israele» contro l’Iran: l’ambasciatore dello Stato Ebraico partecipa a una riunione del «gabinetto di crisi» argentino

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Il presidente argentino Javier Milei ha interrotto la sua visita negli Stati Uniti il ​​13 aprile, è tornato a Buenos Aires e ha incontrato immediatamente l’ambasciatore israeliano Eyal Sela la mattina del 14 aprile, per offrire il suo sostegno illimitato a Israele, che aveva appena subito l’attacco dei droni iraniano.

 

La mossa di Milei ha scioccato le «istituzioni della politica estera argentina, nonché settori patriottici», scrive EIRN.

 

Negli USA, Milei aveva avuto solo il tempo per ricevere a Miami un premio come «Ambasciatore Internazionale della Luce» da una gruppo locale di ebrei Lubavitcher – religione dei suoi principali consiglieri spirituali, che lo starebbero portando alla conversione al giudaismo – e poi incontrare a Houston, in Texas, Elon Musk (che si è dichiarato un fan del suo discorso a Davos lo scorso gennaio), prima di salire su un aereo per tornare a casa per annunciare che l’Argentina si stava allineando con Israele in la sua guerra contro il mondo islamico.

 


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La prima pagina del quotidiano argentino Página 12 di ieri mostrava una foto di Milei, vestito con la divisa dell’esercito che indossava quando ha incontrato il comandante del Comando meridionale degli Stati Uniti, generale Laura Richardson, nella città più meridionale di Ushuaia, sotto il titolo «Milei se fue a la guerra», cioè «Milei è andato in guerra».

 

 

Secondo quanto riportato, l’accaduto ha fatto infuriare molti funzionari professionisti del servizio estero presso il ministero degli Esteri argentino. Dopo aver incontrato Sela in privato al palazzo presidenziale e aver fatto pubblicare una foto dei due abbracciati, il Milei ha poi compiuto il passo senza precedenti di invitare l’ambasciatore dello Stato Ebraico a partecipare a una riunione del «gabinetto di crisi» di emergenza da lui istituito per monitorare e rispondere, gli eventi del fine settimana.

 

Sono state rese pubbliche fotografie che mostrano Sela seduta al tavolo con Milei e i membri del gabinetto, mentre li informavano sulla situazione.

 

Successivamente, l’ambasciatore israeliano ha partecipato a una «conferenza stampa», che è stata registrata, ma non includeva la stampa, durante la quale ha espresso la gratitudine del primo ministro Benjamin Netanyahu e del presidente Isaac Herzog al presidente Milei per «il suo chiaro e inflessibile sostegno a Israele e per essere stato dalla parte giusta della storia», ha riferito Página 12.

 

Come riportato da Renovatio 21, della conversione al giudaismo di Javier Milei si parla da tanto tempo, e abbondano immagini e video in cui il personaggio sventola in pubblico grandi bandiere israeliane.

 

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Sul Milei vi sarebbe l’influenza del rabbino Shimon Axel Wahnish, rabbino capo della comunità ebraica marocchina dell’Argentina (ACILBA), «un moderno dottore ortodosso in psicologia dell’educazione, Wahnish è stato direttore e professore presso un centro studi ebraico per giovani studenti universitari presso i Sucath David Programs» scrive Tablet Magazine, che riporta come dopo il loro incontro nel 2021, Milei abbia cominciato lo studio della Torah proprio sotto la guida di rabbi Wahnish.

 

Secondo il sito ispanofono La Politica online, il rabbino Tzvi Grunblatt (anche lui della corrente dell’ebraismo Lubavitch) avrebbe accompagnato il presidente eletto «durante il Forum Economico Latam dove il libertario è stato il relatore principale. La Fondazione Chabab era co-organizzatrice dell’evento insieme a Dario Epstein, consigliere di Milei».

 

Secondo il sito ebraico Anash, i rapporti di Milei con il rabbinato andrebbero oltre la guida spirituale del rabbino Wahnish.

 

«L’economista ed ex esperto televisivo e radiofonico ha stretti legami con il capo argentino Shliach Rabbi Tzvi Grunblatt» scrive il sito. «Secondo quanto riportato dalla stampa argentina, il rabbino Grunblatt ha contribuito a creare legami tra Milei e importanti uomini d’affari come Eduardo Elsztain». Elzstain, argentino di origine ebraica (il nonno fuggì dalla Russia sconvolta dalla rivoluzione del 1917) è considerato a capo del più grande impero economico del Paese, che spazia dagli immobili all’agricoltura, da settore minerario a quello bancario.

 

La società dell’Elzstain chiamata Inversiones y Representaciones S.A. (IRSA), la più grande società immobiliare argentina, è quotata alla Borsa di New York. CRESUD, azienda leader nel settore agroalimentare che opera in Argentina, Bolivia, Paraguay e Uruguay di cui Elzstain è presidente, è pure quotata al NASDAQ. L’uomo d’affari ebreo-argentino è presidente inoltre di BrasilAgro (Companhia Brasileira de Propriedades Agrícolas), anch’essa quotata alla Borsa di Wall Street. Il partenariato pubblico-privato Banco Hipotecario, la principale banca ipotecaria argentina, vede Elsztain come il maggiore azionista privato.

 

Devoto alla religione giudaica, si dice che il ricco Elzstain abbia costruito una sinagoga appena fuori da casa sua. Sua sorella vive in Israele. Il businessman sarebbe affiliato al movimento ebraico Chabad Lubavitch, corrente dello chassidismo nata nel XVIII secolo e ora avente come base principale Nuova York, in particolare nel quartiere di Crown Heights, a Brooklyn.

 

Elsztain ha vissuto a New York nel 1989-90. Durante quel periodo, nel 1990, «si presentò a un incontro con il leggendario investitore George Soros», secondo il quotidiano israeliano Haaretz. Un articolo del quotidiano La Nacion afferma che Elsztain incontrò Soros «attraverso contatti… nella comunità ebraica di Buenos Aires». In ogni caso, Soros «fu convinto a lasciare che l’ambizioso giovane gestisse 10 milioni di dollari per lui», cosa che Elsztain fece «con grande successo», riporta l’enciclopedia online.

 

Oltre a Soros, Elsztain ha anche lavorato a stretto contatto con il magnate immobiliare statunitense Sam Zell (vero nome Shmuel Zielonka), miliardario americano attivo in molte cause filantropiche per l’ebraismo in America e in Israele.

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Elszstain avrebbe contatto anche con il manager di hedge fund Michael Steinhardt, miliardario pure lui attivo assai nelle cause ebraiche, con donazioni per più di un centinaio di milioni, ad esempio con viaggi gratuiti di 10 giorni offerti ad ebrei di età tra i 18 e i 26 anni. Steinhardt fa parte del «Mega Group», un club vagamente organizzato di 20 tra gli uomini d’affari ebrei più ricchi e influenti, formato da Leslie Wexner, il padrone del marchio di lingerie Victoria’s Secret considerato mentore (e forse vittima?) di Jeffrey Epstein, cui cedette la lussuosissima magione di Nuova York.

 

Un altro contatto riconosciuto dell’Elsztain è il magnate di Hollywood Edgar Bronfman junior, ex CEO della Warner e di Seagram, il colosso del whisky costruito dal padre, Edgar Bronfman senior, che come presidente del World Jewish Congress (di cui Elsztain nel 2005 sarebbe divenuto tesoriere), aveva avviato un’attività diplomatica con l’Unione Sovietica per portare alla legittimazione della lingua ebraica nell’URSS e ha contribuito a far sì che gli ebrei sovietici potessero legalmente praticare la propria religione, come così come emigrare in Israele. En passant, ricordiamo che le due sorelle di Bronfman jr. sono state oggetto delle cronache recenti perché coinvolte a vario titolo nello scandalo della setta psico-sessuale NXIUM, della quale tuttavia il defunto padre sembrava diffidare molto.

 

Secondo quanto riportato, Elsztain partecipa annualmente al World Economic Forum di Davos, e avrebbe partecipato anche ai Business Summit dei G20. Nel 2008 ha incontrato Hugo Chavez – un uomo che per il forsennato antisocialista Milei dovrebbe rappresentare il male… – per discutere dell’antisemitismo, lodando la volontà di ascolto che il caudillo di Caracas aveva per la causa della comunità ebraica.

 

Secondo la stampa argentina, Elsztain sarebbe divenuto un visitatore regolare della Casa Rosada, ossia il palazzo presidenziale, quando al potere vi era Christina Kirchner, divenendone, secondo articoli apparsi all’epoca «un alleato strategico». Si tratta della massima rappresentante di quel sistema che il Milei, grillescamente, diceva di voler rottamare.

 

Il Milei è comparso questa settimana anche nel programma YouTube dell’ebreo sionista americano Ben Shapiro, il cui grande gruppo editoriale di supposta «controinformazione» di area conservatrice, il Daily Wire, sta perdendo colpi dopo che è stata allontanata la stella del gruppo Candace Owens, commentatrice nera accusata di essere antisemita per la sua opposizione al sostegno degli USA e Israele nel massacro dei palestinesi e per aver detto, questione interessante, che «Cristo è re».

 

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Lo Shapiro aveva organizzato anni fa una grande intervista rilassata con il premier israeliano Beniamino Netanyahu, portandosi appresso anche un altro idolo degli spettatori conservatori di YouTube, lo psicologo canadese Jordan Peterson, allora appena uscito da anni di depressione nascosta ai fan così come dalle traversie, anche gravi, dalla conseguenza dolorosissima dipendenza da psicofarmaci cagionatagli dalle scelte mediche.

 


L’operazione dello Shapiro – mantenere israelizzata la destra americana – era già allora piuttosto chiara, ora è più spudorata che mai, e al contempo, fragile, perché non tutti paiono obbedire al filogiudaismo di default installato in questi decenni. Anzi: ha destato stupore come il pubblico di un comizio di Trump abbia cominciato a cantare «Genocide Joe!», riferendosi al supporto di Biden al massacro dei palestinesi da parte degli israeliani.

 

 

Sorprendentemente, il Trump riferendosi ai supporter che scandivano lo slogan, ha dichiarato «non hanno torto».

 

A Buenos Aires – a quarta città al mondo per numero di cittadini di religione ebraica che, per coincidenza, è anche il luogo di origine dell’attuale papa – invece si ascolta tutt’altra musica.

 

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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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